Noi curdi chiediamo il formale riconoscimento del modello di autonomia democratica del Rojava

di Patrizia Fiocchetti – Incontro Ozlem Tanrikulu, la Presidente di Uiki Onlus (Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia) il 28 gennaio alla Casa delle donne Lucha y Siesta in occasione della presentazione del libro Tutta la mia vita è stata una lotta di Sara | Sakine Cansiz SARA1, (I vol., ed. Mezopotamien Verlag), cofondatrice del movimento di liberazione curdo e del movimento delle donne curde, assassinata a Parigi il 9 gennaio 2013 insieme alle sue compagne Fidan Dogan e Leyla Saylemez. Ultimo dei suoi incontri romani, avviene all’indomani dell’annuncio della liberazione di Kobane.

Signora Tanrikulu, alla luce della ribalta mondiale raggiunta in questi giorni dal Rojava e dal suo modello di autonomia sociale grazie alla resistenza opposta dagli uomini e le donne curde a Kobane contro le forze dell’IS, le chiederei innanzitutto una sua riflessione sul significato del ruolo svolto dalle combattenti curde.

Quello che il mondo ha visto in questi ultimi mesi, la resistenza armata delle donne curde contro un nemico terrificante, la loro determinazione a difendere la propria terra fino a morire, è il frutto di un processo iniziato molti anni fa proprio da Sara (Sakine Cansiz) in campo politico, con la nomina di donne a posti chiave di rappresentanza all’interno del partito o dell’organizzazione di appartenenza. Ciò ha portato alla creazione di un contesto sociale in cui realizzare la rivoluzione delle donne. È stato necessario un radicale processo individuale, innanzitutto, e poi corale con lo studio e l’analisi della condizione femminile nella storia per arrivare a comprendere il motivo per cui noi donne siamo state ridotte in condizione di vera e propria schiavitù. In Medio Oriente non si gode del diritto di scelta sia nell’ambito del privato famigliare che nel contesto rappresentativo, ma la presa di coscienza delle motivazioni politiche e culturali che hanno condotto a questo stato delle cose ci ha permesso di compiere quel primo passo strategico verso un reale cambiamento. Combattere per la propria autodifesa e a salvaguardia del progetto realizzato nel Rojava fa parte di questo percorso, non ne è l’apice né l’aurora. Kobane è stata attaccata da un nemico brutale che ha sferrato nel cuore del Medio Oriente la propria azione distruttiva contro i valori rappresentativi della civiltà umana. Le uccisioni, le razzie, i rapimenti di ragazze poi vendute o stuprate senza distinzione di appartenenza religiosa o etnica di cui siamo stati testimoni non potevano lasciare indifferenti. Le donne curde, accanto agli uomini non dimentichiamolo, sono scese nel campo di battaglia e si sono misurate contro le forze dello Stato Islamico pronte a uccidere o morire. Il mondo le ha acclamate ma se non avessero avuto coscienza di sé, del sistema sociale che stanno costruendo e, d’altra parte, conoscenza profonda delle motivazioni che muovono gli invasori, non avrebbero mai imbracciato un’arma. Ci tengo a sottolineare nuovamente il punto essenziale da cogliere: è l’atto del decidere in sé. Battersi è stato un passo obbligato per le donne di Kobane.

La ferma resistenza dei combattenti delle Unità di protezione del popolo (Ypg) e delle Unità di protezione delle donne (Ypj) contro un nemico messo al primo posto da tutte le cancellerie occidentali, Stati Uniti in testa, potrebbe a suo parere portare a rivedere l’iscrizione del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) nella lista delle organizzazioni terroristiche internazionali arrivando a una sua definitiva cancellazione?

Vorrei innanzitutto dare un breve accenno alla evoluzione politica del PKK. Dalla sua costituzione fino al 2005 il partito ha perseguito un preciso obiettivo: dar vita allo stato del Kurdistan unito. Ma nell’ambito del processo evolutivo al suo interno nonché di fronte alla trasformazione del contesto regionale, il PKK ha compreso il limite del suo progetto e passando attraverso un’analisi coraggiosa per quanto dolorosa, è giunto alla formulazione di un modello politico decisamente differente, il sistema di autonomia democratica. Il PKK è stato per la prima volta iscritto in una lista di organizzazioni terroristiche nel 1993 dal governo tedesco, poi sono arrivati altri paesi tra cui gli Stati Uniti. Ma in questi giorni abbiamo assistito a quel, possiamo dire, stravagante fenomeno per cui l’aviazione americana ha partecipato alla liberazione di Kobane. Certo, indirettamente dal cielo ha aiutato i “terroristi” curdi a contrastare il comune nemico incarnato dall’ISIS, ma è innegabile che ciò abbia costituito un riconoscimento internazionale senza precedenti. Vorrei evidenziare il fatto che a Kobane si combatteva già da tempo: gli scontri avvenuti nel periodo precedente le manifestazioni internazionali del primo novembre in solidarietà con il popolo di Kobane, tra i militanti dell’Ypg e Ypj e le forze dello Stato Islamico non hanno trovato spazio sugli organi di stampa internazionali. Le nostre donne e i nostri uomini erano caduti sul campo di battaglia senza che l’opinione pubblica mondiale ne avesse notizia. Per cui rispondo alla domanda dicendo che noi curdi abbiamo dimostrato i valori in cui crediamo, abbiamo lottato a costo della nostra vita per difendere l’umanità. Ma per contrastare in modo efficace questo pericoloso fenomeno rappresentato dall’ISIS devono crearsi le condizioni politiche che certamente non possono vedere accostato il nome del nostro partito al terrorismo. Mantenere il PKK nella lista delle organizzazioni terroristiche mondiali rappresenta un’offesa contro l’umanità.

Ritornando ai fatti di Kobane, qual è la sua analisi della situazione sul terreno? Quali le sfide che dovrete affrontare oggi a seguito della liberazione della zona?
Vorrei fare alcune precisazioni riguardo alla situazione a Kobane: l’annuncio dato il 27 gennaio, si riferisce alla liberazione della città. Ben 300 villaggi intorno a essa sono ancora occupati dalle forze dello Stato Islamico. La notizia era importante sia perché cadeva nel primo anniversario della nascita del sistema cantonale del Rojava, sia perché rispondeva a quei Paesi che ne auspicavano la capitolazione. Quindi, la lotta continua e non bisogna abbassare la guardia. A questo si affianca la preoccupante condizione dei profughi: lungo il confine la gente festeggia la vittoria e desidera ritornare alle proprie case che sono state però distrutte. Continuano a vivere in tendopoli in Turchia o nei pressi del confine con la Siria in una grave situazione di indigenza; necessitano di medicine, vestiario, riscaldamento. E questo ci porta alla vera sfida che ci attende, parlo della ricostruzione indubbiamente difficile da organizzare mentre dobbiamo, come ho detto, continuare a combattere. Riassumendo: impellenza di ricostruire Kobane rasa al suolo, la battaglia che va avanti per liberare la cinta intorno alla città, il soccorso ai profughi e il loro rientro.

Cosa vorrebbe chiedere alle donne e uomini italiani e europei? Quale il suo appello?
Innanzitutto il riconoscimento ufficiale del sistema di autonomia democratico, il modello cantonale del Rojava. Ciò permetterebbe scambi diretti con gli altri Stati rendendo, ad esempio, più efficace e rapida la stessa azione di far giungere gli aiuti umanitari ai campi profughi, senza dover sottostare al transito sempre problematico in più paesi.

In secondo luogo, mi rivolgo alle amiche italiane. In quanto donne dobbiamo capire che senza l’aiuto reciproco non saremo forti abbastanza per il raggiungimento degli obiettivi di piena parità dei diritti. La nostra lotta è anche in vostro nome così come la vostra lo è nel nostro. Abbiamo fatto una disamina storica della questione femminile e dei vari movimenti di donne nel mondo arrivando a trovare la nostra specificità nelle esperienze da noi vissute, sicuramente differenti dalle vostre. È necessario camminare le une accanto alle altre, procedere insieme. Per questo, prossimamente l’Organizzazione delle donne curde rivolgerà un appello ufficiale alle organizzazioni femminili di tutto il mondo per il lancio di questa campagna: dedicare l’8 marzo 2015 alle donne curde che hanno protetto e difeso l’umanità.

L’appello è stato diffuso anche in Italia al link: http://www.uikionlus.com/dedichiamo-la-giornata-internazionale-delle-donne-2015-alla-rivoluzione-delle-donne-nel-rojava-e-alla-resistenza-delle-unita-di-difesa-delle-donne-ypj/

 

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