Medio Oriente: il coraggio di cambiare strategia per ridare stabilità e pace alla culla della civiltà
L’irresistibile ascesa dell’ISIS e il ruolo dei kurdi nella regione
Riceviamo e pubblichiamo con molto piacere questo articolo del giornalista curdo Suveyda Mahmud inviatoci come i precedenti dalla Rojava, regione autonoma del Kurdistan siriano.Si tratta di una approfondita analisi sulla genealogia del conflitto in corso in Siria ed Iraq, sulle molteplici questioni che lo attraversano, sulle possibili prospettive politiche future in grado di bloccare l’avanzata dell’IS e riportare la pace in quella regione.Tutto cio’ mentre le organizzazioni del PKK e del YPG sembrano essere le uniche che in modo efficace stanno bloccando l’avanzata dei fondamentalisti islamici costruendo corridoi umanitari e rappresentando “de facto” l’unico aiuto per le popolazioni in fuga.
La richiesta che si alza forte alla comunità internazionale é immediato aiuto umanitario, e non armi, e riconoscimento delle istanze dei combattenti Curdi, per prima cosa accreditare il Pkk come organizzazione politica e non terroristica e riconoscimento dell’autogoverno della Rojava.
Il Medio Oriente è un luogo eccezionale nel quale si sono formate le prime culture e forme statali, e sono sorte le prime religioni. In quanto territori in cui la cultura ha lasciato delle tracce permanenti, rappresentano una ricchezza di elevato valore la cui esistenza perdura fino ai nostri giorni.
Tuttavia, sembra quasi che il cuore di questo tesoro, ossia il Medio Oriente, in ogni angolo del quale resta nascosto il senso di appartenenza collettiva e tutti i simboli relativi alle nostre radici, si ritenga adatto solo alla guerra e alla violenza.
Questi territori che furono all’avanguardia nella filosofia, nella letteratura, nell’astronomia, nella medicina e in varie altre discipline scientifiche oggi sono presi di mira da chi vorrebbe trasformarli in una terra di arretratezza, dispotismo e anti-collettivismo.
Nonostante tutte le rivolte e le crudeli guerre avvenute nel corso della sua storia, il Medio Oriente ha dimostrato la sua capacità di tenere insieme le diverse visioni del mondo, ognuna con la propria peculiarità, e di riuscire a convivere nonostante tutte le differenze; tuttavia, oggi è spinto verso altri orizzonti.
Com’è dunque giunto a questo punto il Medio Oriente? Come si è estesa la “piaga” dell’ISIS in un momento storico in cui sono iniziati i dibattiti sulla riforma dell’Islam? Si può arrestare questo corso degli eventi? Quale strategia dovranno seguire i curdi, che occupano una posizione piuttosto importante all’interno di questo equilibrio? Per poter dare risposte obiettive a tutte queste domande è alquanto fondamentale individuare il problema in maniera opportuna.
Iniziamo la nostra analisi con le caratteristiche che costituiscono il fondamento dell’organizzazione terroristica denominata ISIS (o, più recentemente, IS-Islamic State), che il giorno 10 giugno 2014 ha assunto il controllo di Mosul.
Con una tattica identificabile come tentativo di riscatto dalla sconfitta in Vietnam da parte del blocco socialista, gli Stati Uniti formarono circa centomila mujaheddin radicali provenienti da quaranta paesi islamici per contrastare l’occupazione sovietica dell’Afghanistan. I costi di questa operazione sono stati sostenuti sfruttando l’intelligence pakistana attraverso il traffico di eroina, coltivata ai confini tra Afghanistan e Pakistan, che frutta 200 miliardi di dollari l’anno.
Questo ideale “jihadista” si è diffuso rapidamente: varie persone provenienti dai più disparati luoghi del mondo e appartenenti a popoli diversi sono andati nei campi di addestramento jihadisti del Pakistan e dell’Afghanistan e in nome di questo ideale hanno raggiunto ogni parte del mondo. Questi gruppi addestrati saranno successivamente menzionati con il nome di Al Qaida e, sotto la guida di Osama bin Laden e grazie a finanziamenti sauditi, creeranno altri gruppi organizzati in vari Paesi.
Dopo l’11 settembre, in realtà, i gruppi jihadisti non hanno più avuto alcun rapporto con l’Occidente. Tuttavia questi gruppi, usando come giustificazione l’occupazione americana dell’Iraq, hanno coinvolto nella loro guerra tutto il mondo islamico. Con gli strascichi della caduta del regime Baa’th e la mancata accettazione della leadership sciita da parte dei clan sunniti, proprio facendo leva sul sostegno di questi ultimi, fu annunciata la formazione dell’ISIS.
Facendo delle rivolte arabe scoppiate nella regione e del nazionalismo sunnita perseguito già da tempo la propria bandiera, l’ISIS attualmente fa propaganda ponendosi come avanguardia della sintesi arabo-islamica. Questa organizzazione, che si sta ingrandendo utilizzando le risorse americane e l’area resa accessibile proprio dagli USA, e allo stesso tempo cerca di espellere questi ultimi dall’Iraq, ha giocato un ruolo importante nei numerosi e ormai decennali attacchi esplosivi e nelle azioni che hanno portato alla morte di decine di migliaia di persone.
Queste organizzazioni si posero, originariamente, a difesa dell’ideologia e dei metodi del jihad, volto a contrastare l’imperialismo americano, tuttavia con il tempo hanno trasformato in violenti scontri il circolo vizioso costituito dai contrasti tra sunniti e sciiti. Frazionate al loro interno in varie sezioni, queste organizzazioni, sfruttando il più piccolo dei contrasti per iniziare gli scontri e ampliandosi progressivamente con una cultura conquistatrice e aggressiva, sono facilmente finite sotto l’influenza di svariate forze.
Durante l’occupazione dell’Iraq, svariate organizzazioni già in lotta contro gli USA misero in atto ribellioni armate in risposta alla chiamata alla guerra della più radicale delle organizzazioni e sotto l’effetto delle insurrezioni popolari scoppiate nel 2011. Allo scopo di trascinare il Medio Oriente nella spirale della guerra e della violenza, il blocco imperialista che detiene la leadership negli USA, impiegando tutte le proprie forze e gettando benzina sul fuoco, ha aizzato conflitti e istigato scontri appoggiando varie organizzazioni, alcune più esplicitamente di altre.
In questo modo ha imprigionato in un circolo vizioso i popoli in rivolta contro i governi dispotici. In questo quadro, ovviamente, hanno giocato un ruolo fondamentale anche gli stati sostenitori dello status quo, interessati ad assicurarsi delle entrate a livello locale.
L’ISIS, formatosi in breve tempo all’interno delle organizzazioni jihadiste con il suo discorso e le azioni radicali, approfittando del vuoto formatosi in Siria e Iraq, con questa connotazione ha messo all’angolo Al Qaida, all’interno della quale si era sviluppato, e ha imposto la sua presenza a tutte le forze intenzionate ad agire nella regione. Traendo da queste forze sostegno logistico e militare (armi e servizi segreti), tale organizzazione, che ha cercato di presentarsi come “seconda rivoluzione wahhabita”, non si è rivolta né al blocco imperialista, né agli stati dispotici.
Il sistema governativo più adatto alla natura del Medio Oriente, trascinato in sterili scontri, è stato individuato solo nel Rojava, che ha allestito un governo democratico radicale basato sul sistema delle Comuni.
Paesi come la Turchia, il Qatar e l’Arabia Saudita, incapaci di gestire sia la politica interna sia quella estera, hanno tentato di celare la loro carenza di alternative per mezzo degli attacchi messi in atto dall’ISIS contro i curdi in Siria. Rivolgendosi alle altre organizzazioni islamiche radicali con le quali era contemporaneamente passato all’azione, appropriandosi delle loro conquiste, l’ISIS ha raggiunto il confine con la Turchia, assicurandosi in tal modo un assiduo rapporto con uno dei suoi più grandi sostenitori.
In vari campi per rifugiati, in particolare in quello di Karkamiş, nella provincia turca di Antep, questo gruppo svolge azioni di reclutamento e addestramento e il governo turco ha, in questo senso, un ruolo rilevante nella sua diffusione e sviluppo nella zona.
Questa alleanza è subentrata allo scopo di negare il diritto all’esistenza di un’entità curda democratica e indipendente, fondata sull’ideologia di Abdullah Öcalan, sul confine meridionale. Non avendo qui ottenuto i risultati sperati, malgrado i numerosi attacchi, l’ISIS è stato inviato a Mosul tramite i “centri di azione rivoluzionaria” di Turchia e Siria.
Un’altra ragione che sta chiarendo la situazione in Iraq è il fatto che l’ISIS, definito dall’ex Ministro degli Affari Esteri turco, il candidato a primo ministro Ahmet Davutoğlu, “una fanatica frangia sunnita”, abbia trovato un terreno solido sulla base del vecchio partito Baa’th, che ha acquisito nuova forza grazie ad Al-Maliki e alle sue politiche inadeguate che hanno accelerato il processo di disgregazione. Anche nei mesi invernali trascorsi, prendendo Felluja e i territori circostanti, l’ISIS ha svolto delle precise attività in particolare nell’area nota come regione di Al-Anbar.
Cosicché, in breve tempo e con inaspettata rapidità (esattamente allo stesso modo con cui avevano pianificato i centri d’azione), il 10 giugno Mosul e successivamente svariate altre città irachene sono passate nelle mani dell’ISIS. Questo stato di cose, allo stesso tempo, si traduce nella frammentazione, già pianificata dagli USA, dell’Iraq in tre aree de facto. Tale condizione è altrettanto valida per la Siria. Si tratta di un’area con centro Damasco, sotto la supervisione delle forze del regime, densamente popolata da aleviti, un’area nelle mani delle forze antagoniste denominate Gruppo Islamico e fondata sul gruppo degli Ikhwan e di altri gruppi di tendenza islamica radicale; inoltre, il Rojava, in quanto area di azione e dell’ISIS, che presenta una conformazione ancora più frammentaria. Un’altra caratteristica di questa regione è la sua stretta connessione con la sua area d’azione irachena. Tale situazione dimostra la rivalutazione delle frontiere e una tendenza ad una nuova ridefinizione dei confini della regione.
Questo contesto rivela anche la disintegrazione dei confini stabiliti in Medio Oriente nella Seconda Guerra Mondiale. Nuove frontiere, nuovi poteri, nuove alleanze e nuove guerre ci aspettano.Il Presidente degli USA Barack Obama ha sintetizzato questa situazione ormai nota a tutti con le seguenti parole: “Ormai dobbiamo scegliere dei nuovi alleati e l’Iran deve essere uno di questi”. È evidente l’intenzione di revisionare ancora una volta, nel XXI secolo, i confini del Medio Oriente tracciati nell’accordo Sykes-Picot da parte dei contraenti il patto. Da una parte differenti gruppi etnici, dall’altra un disegno che emergerà dagli scontri settari. In questo disegno rientrano anche i progetti dell’ISIS, che sarà utilizzato come una sorta di “ariete”; progetti ostacolati maggiormente dai curdi e dalle minoranze che vivono in Medio Oriente.
Il tentativo di modificare il perimetro del Medio Oriente (nel quale, tra l’altro, religioni e sette differenti convivono da millenni) per mezzo delle guerre settarie indubbiamente porterà ad una pianificazione del territorio di durata secolare e dalle conseguenze sanguinose. Vi è una chiara intenzione affinché la forza del Medio Oriente, di queste terre antiche, si consumi, trascinata in una guerra cieca, come è quella settaria, e negli scontri. È questo, appunto, il ruolo che nel XXI secolo i governi locali e le potenze internazionali hanno attribuito al Medio Oriente. Questi poteri caotici attualmente sono la causa del versamento di sangue delle popolazioni del Medio Oriente.
I curdi, con il loro atteggiamento ostinatamente contrario a questo spregevole progetto, da una parte cercano di vincere questa sterile lotta, dall’altra di creare una reale alternativa attraverso un sistema democratico fondato sui valori propri delle popolazioni mediorientali. Naturalmente vogliono raggiungere questo obiettivo sebbene siano soggetti a incursioni spaventose e irregolari.
In Kurdistan, dove vivono i curdi e svariate minoranze, l’ISIS ha creato gruppi di offensiva piuttosto diffusi. Nel mese di giugno, in seguito alla caduta di Mosul e all’impossessamento degli arsenali militari, il suo primo obiettivo era il Rojava; tuttavia a Kobanê non ha ottenuto la vittoria sperata. Costretto a ritirarsi di fronte alla dura controffensiva delle YPG e delle unioni civili rivoluzionarie costituite dal popolo per fini di autodifesa, si è successivamente posto come obiettivo Hasekê e il cantone di Cizîre.
Tuttavia a causa dei violenti scontri, uniti all’insurrezione delle YPG, anche qui non sono arrivati i risultati sperati; cosicché le mire dell’organizzazione si sono rivolte al Kurdistan meridionale e ai curdi yazidi dell’area di Şengal.
Nonostante si fosse già preventivato un attacco di grandi dimensioni nella regione, le forze di Barzani addette alla difesa dell’area si sono ritirate senza combattere, abbandonando la popolazione civile indifesa proprio come aveva fatto l’esercito iracheno a Mosul. Le forze di difesa dei curdi del Rojava, le YPG(Yêkineyên Parastina Gel – Unità di Difesa del Popolo), che già avevano sperimentato durante la guerra l’impatto degli attacchi dell’ISIS sulla popolazione, allo scopo di colmare il vuoto che si era creato e contrastare eventuali massacri, si sono trasferite nella regione e hanno organizzato le barricate dell’insurrezione.
Immediatamente dopo, l’ala armata del PKK, l’HPG (Hêzên Parastina Gel- Forze di Difesa del Popolo), con l’invio dei suoi guerriglieri nella , ha potuto evitare la tragedia umana prima che si trasformasse in un massacro. Le YPG/YPJ e l’HPG e YJA Star hanno dato vita a una resistenza contro l’ISIS, che per una settimana aveva attaccato in vari luoghi allo scopo di accerchiare Şengal e massacrarne la popolazione di credo yazidita (dichiaratamente vista come nemica dell’Islam), ed è riuscita a porre fine a questi attacchi seppure pagando il prezzo di dieci guerriglieri.
L’ISIS, preso dalle sue contraddizioni interne e dalle controversie nonostante la tendenza agli assalti, ha reso noto che, in caso di indebolimento della sua forza offensiva, la sua strategia è quella di continuare la guerra servendosi di vari gruppi, senza badare se otterrà o no risultati che daranno luogo ad un processo di disgregazione. Già prima del fallimento a Şengal, un chiaro indicatore di questa strategia è individuabile nell’offensiva subita a Maxmur dai rifugiati curdi costretti a fuggire negli anni ’90 a causa delle pressioni del governo turco e sotto la supervisione delle Nazioni Unite, oltre che nelle mire sulle grandi città curde di Hewler e Duhok e nel tentativo, dall’altra parte, di conquistare alcuni centri abitati in prossimità della frontiera iraniana.
Tutte queste offensive sono piuttosto rilevanti dal punto di vista della chiara manifestazione, da parte dello Stato turco, del suo atteggiamento e delle sue politiche, poiché questi attacchi dell’ISIS proseguono di pari passo con la strategia del “lasciare i curdi senza identità” su cui è impostata la politica estera del governo AKP e del suo leader Erdoğan (diventato dodicesimo presidente della repubblica alle ultime elezioni).
Dopo aver prefissato come obiettivo la dichiarazione democratica del Rojava, pronunciata il 12 luglio 2012, l’ISIS ha iniziato ad attaccare queste regioni. Avendo l’ISIS individuato i curdi come vittime sacrificali perché “terroristi e zoroastriani”, Şengal e i territori circostanti, che tra l’altro hanno conservato questa credenza religiosa, sono diventati il suo obiettivo come risultato di un lungo processo di preparazione psicologica. Il fatto che il campo rifugiati di Mahmura sia diventato un obiettivo dell’ISIS, non è casuale. Erdoğan, che non manca mai di pronunciare l’espressione “processo di risoluzione”, ha lavorato sempre con grande sforzo per l’evacuazione del campo profughi di Mahmura, e che tra i vari gruppi con i quali si è alleato, contribuendo allo sviluppo e all’ascesa dell’ISIS, quest’ultimo abbia scelto come capro espiatorio proprio i curdi di Turchia verso i quali nutre un forte risentimento, porta alla luce un quadro inequivocabile.
In questo contesto di caos, definito “terza guerra mondiale”, i curdi, malgrado i numerosi attacchi e la loro suddivisione in quattro parti, cercano di essere uniti e di organizzarsi tutti sotto lo stesso tetto. Attualmente il gruppo di difesa comune creato come effettiva controparte all’offensiva dell’ISIS potrebbe riunirsi e trasformarsi nel primo nucleo del mai realizzato Congresso Nazionale Curdo. Questa unione potrebbe eventualmente essere l’occasione per la realizzazione del secolare sogno curdo. Il Movimento Curdo di Liberazione, dopo aver portato avanti per anni la guerra in Kurdistan settentrionale e aver conseguito con successo l’azione di difesa dei propri territori in Siria a partire dall’anno 2011 sotto forma di organizzazione di autodifesa e con il nome di YPG, attualmente in Kurdistan meridionale è passato in primo piano come attore politico attivo grazie alla sua esperienza militare e alle sue previsioni politiche.
In particolare, la sua azione di stop alle violente offensive a Şengal, svolta davanti agli occhi del mondo intero, ha dimostrato al mondo l’efficacia della politica messa in atto dal movimento del PKK. Uno dei motivi per cui la cittadina di Mahmura è stata inserita tra gli obiettivi dell’ISIS è, difatti, la volontà di vendetta sul PKK. È noto a tutti che gli abitanti del campo rifugiati di Mahmura, che conta decine di migliaia di persone, vivono in esilio da ormai da vent’anni perché simpatizzanti del PKK.
Secondo quanto esplicitamente dimostrano tutte queste considerazioni, il blocco occidentale che detiene la leadership negli USA vive un momento di grave impasse in Medio Oriente e soprattutto nella politica irachena e siriana. La politica che segue e le alleanze che ha stretto sono ben lontane dall’essere durature. Stesso discorso vale per i governi locali. Acquisendo un certo atteggiamento in favore della continuazione dell’equilibrio ottenuto in Iran, la Turchia, seguendo una politica orientata al Sunnismo, si è ritrovata in una diversa condizione di impasse.
Con il suo motto “guiderò l’opposizione ai curdi, farò dei sunniti la guida del Paese”, la Turchia oggi costituisce lo Stato della regione dalla politica estera più infruttuosa. Per tale ragione, l’assenza di un potere serio che possa intervenire contro la situazione di stallocomporta due strade alternative. La prima di queste è il PKK, che da anni porta avanti la lotta per lalibertà ed è fondato sul sostegno delle popolazioni oppresse (soprattutto quelle del Kurdistan) e dei gruppi etnici; l’altra è l’ISIS, sorto come braccio iracheno di Al Qaida e diventato ormai un gruppo nefando.
I poteri locali ed internazionali, traendo profitti da questa situazione di caos, restano insensibili all’ascesa dell’ISIS, e anche se assumono un atteggiamento distaccato non potranno ignorare il PKK, che si organizza come un’onda silenziosa proveniente dal profondo, e che rappresenta un’alternativa concreta che, una volta sconfitto l’ISIS, costituirà un modello per il nuovo Medio Oriente. Un passo fondamentale a tale scopo sarebbe la cancellazione del PKK dalla lista delle organizzazioni terroristiche e l’avvio della lotta al vero terrorismo.
Fonte:Global Project – Suveyda Mahmud