Lo Stato dell’AKP continua l’escalation della guerra nel Kurdistan del nord – l’Europa ignora massacri della popolazione curda
[N.d.T.: L’articolo, essendo scritto da un giornalista tedesco, mira a denunciare la situazione in Germania le gravissime responsabilità del governo tedesco. La disattenzione mediatica e politica da lui denunciata tuttavia sono perfettamente applicabili anche alla situazione italiana. Di fronte alla gravità di quello che sta succedendo nelle zone curde del sudest della Turchia, distinguere tra diversi livelli di responsabilità dei vari governi europei non è che uno sterile esercizio retorico. Chi tace acconsente. Anche la stampa e media italiani.]
Lo scontro mediatico con il governo di Erdoğan gira sempre intorno alla questione della libertà di opinione. Mentre giustamente si è discusso molto su Böhmermann e Erdoğan, nell’opinione pubblica tedesca la negazione di diritti fondamentali come il diritto alla vita, nei media tedeschi viene quasi completamente ignorata. Perfino l’obiezione, sottotraccia in Germania, ma discussa apertamente nell’UE rispetto alla legge anti-terrorismo della Turchia viene ridotta ad aspetti legati alla libertà di opinione. Eppure anche l’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, ha spiegato in un comunicato stampa che una “immediata indagine e persecuzione di tutti coloro quali sono sospettati di aver leso il diritto alla vita, di cui fanno parte anche le esecuzioni e l’uso sproporzionato di violenza di mortale da parte di tribunali indipendenti è necessaria.”(http://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=19937&LangID=E)
È evidente che il comunicato stampa nel quale la Turchia viene condannata duramente, in Germania ha avuto poco riscontro dal punto di vista mediatico e non ne ha prodotto uno percepibile dal punto di vista politico. Zeid Ra’ad Al Hussein descrive in una dichiarazione ufficiale, nella sua funzione di Alto Commissario, di avere rapporti che documentano “l’uccisione deliberata di civili disarmati, incluse donne e bambini, anche da colpi di cecchini e da carri armati e veicoli militari”. Una precedente dichiarazione del 1 febbraio parla di un video registrato dal giornalista Refik Tekin: “Questo mostra un gruppo di civili apparentemente disarmati che sono guidati da una donna con una donna con una bandiera bianca. Tiravano un carretto a mano sul quale secondo il rapporto venivano trasportati cadaveri lungo una strada. Intanto venivano osservati da lontano da un carro armato. Quando arrivano dall’altro lato della strada, vengono evidentemente messi a terra in una pioggia di proiettili. Tekin continua a girare mentre sulla lente scorre sangue.” (http://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=17002&LangID=E)
Il video descritto nel rapporto si può vedere al seguente:
Nel rapporto attuale Al Hussein approfondisce ulteriormente che c’è stata una “massiccia e sproporzionata distruzione” di case della popolazione civile da parte delle forze di sicurezza. Scrive: “I più spaventosi sono i rapporti che citano testimoni e parenti a Cizre che rappresentano che a Cizre sono state bruciate oltre 100 persone in tre diverse cantine nelle quali avevano trovato rifugio, mentre erano stati circondati dalle forze di sicurezza.”
Accusa che la Turchia ha rifiutato qualsiasi proposta dell’ONU di visitare la regione e ottenere informazioni di prima mano: “Nell’anno 2016 è insolito e estremamente preoccupante non ottenere in una tale misura informazioni su quello che succede in una regione così grande e geograficamente così accessibile.”
Il governo della Turchia ha ripetutamente spiegato che l’operazione ora era conclusa, ma i combattimenti e gli assedi non si interrompono. Così l’esercito turco e la polizia ormai dal 14 marzo assediano la città di Nusaybin. (http://tr.hawarnews.com/nusaybinde-evler-yikilmaya-devam-ediyor/)
Anche nella città di Şırnak ormai assediata da 58 giorni proseguono assedio, bombardamenti e coprifuoco. In tutti questi luoghi si verificano scontri che per la loro portata sono paragonabili a quelli a Cizre. Fino ad ora l’esercito turco e le sue unità speciali non sono in grado di entrare nei quartieri chiusi da barricate, nonostante l’impiego di artiglieria pesante, carri armati, elicotteri e droni. In compenso ripiega su fuoco di artiglieria e abbattimento e incendio sistematico di edifici. Inoltre dappertutto su posizioni sopraelevante vengono posizionati cecchini. Il 12.05. pare che gli attacchi con aerei da combattimento contro la città di Nusaybin abbiano raggiunto un nuovo livello di escalation. Unità delle Unità di Difesa Civili YPS riferiscono che il quartiere Alika di Nusaybin in quel giorno è stato bombardato dal cielo dall’aviazione turca.(http://diclehaber.com/tr/news/content/view/515921?page=2&from=2975960978)
Il Presidente turco Erdoğan già il 6 aprile aveva dichiarato: “Se necessario i luoghi dove vengono condotte operazioni vanno sgomberati completamente e questi luoghi in cui comunque non può più vivere nessuno, vanno distrutti da lontano. Questi luoghi devono essere completamente abbattiti e ricostruiti ex novo.” (http://www.sabah.com.tr/gundem/2016/04/06/erdogan-uzaktan-imha-edilsin)
Il piano di una guerra di annientamento contro la società civile curda quindi è preordinato al livello più alto. Che deputati AKP, MHP e CHP, maltrattino, minaccino deputati dell’HDP nel Parlamento della Repubblica di Turchia e insieme revochino la loro immunità, mostra quanto da parte dello Stato turco siano state sbarrate le vie per una soluzione politica.
Questo non viene in alcun modo affrontato dal governo federale, neanche per allusione. I diritti umani della popolazione civile curda sembrano quindi essere stati del tutto svenduti nel baratto sui profughi. Ormai a Nusaybin e a Şırnak centinaia di case sono in macerie, ciononostante il secondo più grande esercito della NATO da due settimane non è in grado di spezzare la resistenza. Per impedire uno scivolamento completo della Turchia in una guerra civile con una situazione paragonabile alla Siria, è imprescindibile che vengano avviati colloqui immediati tra le parti in conflitto. Da parte curda la porta per un processo di pace è ancora aperta. Per questo è necessario che la comunità internazionale faccia pressione sulla Turchia perché riconosca Abdullah Öcalan come capo negoziatore e proclami una tregua. Per costruire questa pressione, ma anche per motivi politici e umani, va rimosso il divieto del PKK e messa fine all’alleanza antidemocratica e anticurda del governo federale con la Turchia.
Di Michael Knapp