Le mamme della rivoluzione

Oggi siamo rimasti a Kobane. Girare per questa città vuol dire interfacciarsi di continuo con le conseguenze della guerra. Accade vedendo edifici e strade, ma succede soprattutto attraverso i racconti delle persone che erano qui, attraverso le parole di chi l’ha vissuta sulla propria pelle, di chi ha perso i propri cari, la propria casa, di chi non ha mai lasciato la città o di chi ci è tornato da poco. Persone che hanno scritto la storia della resistenza dei nostri giorni, affrontando quello che è un nemico per l’intera umanità. Rimaniamo colpiti dal coraggio di questo popolo, un coraggio che si può trovare solo quando si lotta per un’idea più grande di noi, per un nuovo mondo migliore. Di storie da ascoltare ce ne sono molte e da ognuna abbiamo tanto da imparare ed apprendere. Una è quella di Heval Adla, una delle tre donne rimaste a Kobane durante tutta la guerra e fino alla sua liberazione.
“Quella di Kobane é stata una battaglia davvero brutale: Daesh non faceva differenza tra donne, uomini o bambini, uccideva tutti. Hanno torturato genitori di fronte ai propri figli, assassinato dei neonati, sterminato intere famiglie.

Le mamme della rivoluzione

DA KOBANELE MAMME DELLA RIVOLUZIONEOggi siamo rimasti a Kobane. Girare per questa città vuol dire interfacciarsi di continuo con le conseguenze della guerra. Accade vedendo edifici e strade, ma succede soprattutto attraverso i racconti delle persone che erano qui, attraverso le parole di chi l’ha vissuta sulla propria pelle, di chi ha perso i propri cari, la propria casa, di chi non ha mai lasciato la città o di chi ci è tornato da poco. Persone che hanno scritto la storia della resistenza dei nostri giorni, affrontando quello che è un nemico per l'intera umanità. Rimaniamo colpiti dal coraggio di questo popolo, un coraggio che si può trovare solo quando si lotta per un’idea più grande di noi, per un nuovo mondo migliore. Di storie da ascoltare ce ne sono molte e da ognuna abbiamo tanto da imparare ed apprendere. Una è quella di Heval Adla, una delle tre donne rimaste a Kobane durante tutta la guerra e fino alla sua liberazione.“Quella di Kobane é stata una battaglia davvero brutale: Daesh non faceva differenza tra donne, uomini o bambini, uccideva tutti. Hanno torturato genitori di fronte ai propri figli, assassinato dei neonati, sterminato intere famiglie.All'inizio della guerra eravamo circondati, ci hanno attaccato da tre lati e inoltre le YPG e YPJ non avevano le armi adeguate per combattere. Erdogan sosteneva che Kobane sarebbe caduta ma per fortuna c'è stata una grande risposta: ci hanno raggiunto i curdi da tutte le regioni, persone da ogni parte del mondo sono venute in nostro aiuto. C’è stato un grosso supporto internazionale ed è per questo che siamo stati in grado di vincere.Durante l'attacco eravamo rimasti in pochissimi civili in città, insieme a me c'erano altre due donne. In quei lunghi 134 giorni di guerra abbiamo cucinato e accudito le compagne e i compagni, cercando sempre di tenere alto il morale: alla fine per loro eravamo diventate come delle mamme.Alcuni giornalisti stranieri ci chiedevano come facessimo a vivere qui in tali condizioni, era impossibile accendere anche solo una sigaretta perché Daesh avrebbe potuto vederci e sparare. Eravamo nell’oscurità totale ed estremamente impaurite, ma questa è la guerra e non potevamo lasciare soli i nostri e le nostre combattenti.Daesh ha tagliato l’acqua e l’elettricità, ogni giorno c’erano tra i 30 e 40 caduti nelle file delle YPG e YPJ, un migliaio di martiri ha perso la vita in questa battaglia.Quando gli islamisti morivano in battaglia noi gli mostravamo sempre rispetto, li coprivamo e li mandavamo al confine turco con tutti gli onori dovuti. Loro invece non avevano alcuna pietà neppure per i morti, che venivano torturati, tagliati a pezzi o bruciati.In particolare voglio ricordare due nostre compagne catturate da Daesh: sono state torturate a lungo, hanno provato sofferenze indescrivibili e, infine, i miliziani prima hanno tagliato loro i capelli, poi le hanno decapitate. Le donne combattenti catturate infatti subiscono sempre maggiori violenze rispetto agli uomini a causa della paura che incutono ai miliziani di Daesh. Credono che essere uccisi dalle combattenti YPJ sia un grande disonore; secondo la loro mentalità se perdi la vita per mano di una donna, vai diritto all’inferno.Persino i giornalisti hanno visto come Daesh non avesse etica e infrangesse tutti i principi, commettendo innumerevoli crimini di guerra.’’Adva continua poi con un aneddoto “Durante la resistenza di Kobane ho sognato che Apo sfiorava la mia testa dicendomi di avere coraggio; per me è stato come un sogno premonitore che alla fine avremmo vinto su Daesh. Forse un giorno Apo tornerà qui da noi in una Kobane libera.’’La testimonianza si conclude con un pensiero rivolto a tutte le donne. "Ho resistito a lungo e quello che spero è di poter raccontare questa storia e arrivare a tutte le donne, soprattutto a quelle che non hanno avuto la possibilità di istruirsi. Vorrei che ognuna di noi potesse costruirsi gli strumenti per essere libera con se stessa e nella società, trovando sempre la forza di rivendicare l’uguaglianza con gli uomini''.

Publiée par YaBasta Bologna sur Dimanche 20 mai 2018

All’inizio della guerra eravamo circondati, ci hanno attaccato da tre lati e inoltre le YPG e YPJ non avevano le armi adeguate per combattere. Erdogan sosteneva che Kobane sarebbe caduta ma per fortuna c’è stata una grande risposta: ci hanno raggiunto i curdi da tutte le regioni, persone da ogni parte del mondo sono venute in nostro aiuto. C’è stato un grosso supporto internazionale ed è per questo che siamo stati in grado di vincere.

Durante l’attacco eravamo rimasti in pochissimi civili in città, insieme a me c’erano altre due donne. In quei lunghi 134 giorni di guerra abbiamo cucinato e accudito le compagne e i compagni, cercando sempre di tenere alto il morale: alla fine per loro eravamo diventate come delle mamme.

Alcuni giornalisti stranieri ci chiedevano come facessimo a vivere qui in tali condizioni, era impossibile accendere anche solo una sigaretta perché Daesh avrebbe potuto vederci e sparare. Eravamo nell’oscurità totale ed estremamente impaurite, ma questa è la guerra e non potevamo lasciare soli i nostri e le nostre combattenti.

Daesh ha tagliato l’acqua e l’elettricità, ogni giorno c’erano tra i 30 e 40 caduti nelle file delle YPG e YPJ, un migliaio di martiri ha perso la vita in questa battaglia.

Quando gli islamisti morivano in battaglia noi gli mostravamo sempre rispetto, li coprivamo e li mandavamo al confine turco con tutti gli onori dovuti. Loro invece non avevano alcuna pietà neppure per i morti, che venivano torturati, tagliati a pezzi o bruciati.

In particolare voglio ricordare due nostre compagne catturate da Daesh: “sono state torturate a lungo, hanno provato sofferenze indescrivibili e, infine, i miliziani prima hanno tagliato loro i capelli, poi le hanno decapitate. Le donne combattenti catturate infatti subiscono sempre maggiori violenze rispetto agli uomini a causa della paura che incutono ai miliziani di Daesh. Credono che essere uccisi dalle combattenti YPJ sia un grande disonore; secondo la loro mentalità se perdi la vita per mano di una donna, vai diritto all’inferno.”

Persino i giornalisti hanno visto come Daesh non avesse etica e infrangesse tutti i principi, commettendo innumerevoli crimini di guerra.

Adla continua poi con un aneddoto “Durante la resistenza di Kobane ho sognato che presidente Apo sfiorava la mia testa dicendomi di avere coraggio; per me è stato come un sogno premonitore che alla fine avremmo vinto su Daesh. Forse un giorno Apo tornerà qui da noi in una Kobane libera.

La testimonianza si conclude con un pensiero rivolto a tutte le donne. “Ho resistito a lungo e quello che spero è di poter raccontare questa storia e arrivare a tutte le donne, soprattutto a quelle che non hanno avuto la possibilità di istruirsi. Vorrei che ognuna di noi potesse costruirsi gli strumenti per essere libera con se stessa e nella società, trovando sempre la forza di rivendicare l’uguaglianza con gli uomini”.