Le lacrime del Kurdistan

12 Gennaio 2013

«Come possono i media turchi dichiarare che le vittime sono state giustiziate per motivi interni prima che le autorità francesi abbiano fornito una spiegazione ufficiale?» Erdelan Baran, del Congresso nazionale del Kurdistan in Italia, parla dell’omicidio delle tre militanti, una delle quali svolgeva una funzione analoga alla sua .

«Le tre compagne erano una speranza per il movimento kurdo, dunque questo è un assassinio delle speranze del popolo kurdo». Ha lo sguardo fermo, ma la voce che trema, Erdelan Baran, quando parla di Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Söylemez, uccise mercoledì a Parigi con un colpo alla nuca. Baran è presidente di UIKI Onlus, l’Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia. Dal ’94, l’attività di UIKI in Italia consiste nel fornire informazioni sul Kurdistan e sulla sua popolazione e nell’organizzare conferenze e seminari sulla questione kurda e sui diritti umani. Baran è anche membro del Comitato affari esteri del KNK (Congresso Nazionale del Kurdistan) con sede a Bruxelles. Prima di venire in Italia, ha lavorato per un anno e mezzo come rappresentante del DTP (Partito della Società Democratica, chiuso dal Governo turco nel 2009), a Bruxelles. «Sono nato a Elbistan – racconta ora al manifesto – una città vicino a Maras, i cui abitanti, in prevalenza di religione alevita (la seconda comunità religiosa in Turchia dopo i sunniti, il corrispettivo degli alawiti in Siria, ndr), sono stati colpiti dal genocidio del 1978. Da quel momento, le condizioni di vita sono peggiorate e la mia famiglia è emigrata in Norvegia quando ero ancora bambino».

Quale ipotesi fate del triplice omicidio di Parigi? Qualcuno ha insinuato che possa trattarsi di una lotta di frazione interna al PKK: fra chi è d’accordo con la trattativa che sembra aprirsi tra Ocalan e lo stato turco e chi invece vorrebbe continuare con la lotta armata.

Questo è il modo in cui il governo turco vuole manipolare l’opinione pubblica internazionale riguardo a quello che è successo veramente: la disinformazione è parte della guerra guerra psicologica che ha sempre messo in atto contro i kurdi. Quest’attacco è un messaggio al movimento di liberazione kurdo: il governo di Ankara non vuole risolvere la questione kurda ed insiste nel continuare a utilizzare metodi violenti, come ha fatto per molti anni. Non è la prima volta che si verificano attacchi simili, l’unica differenza è che è successo per la prima volta in Europa. Un assassinio che si accorda con quello che ha detto Erdogan qualche settimana fa: «vi prenderemo ovunque vi troviate». Queste tre compagne erano la speranza per il movimento kurdo, così come lo sono oggi molte altre militanti. Dunque si tratta di un assassinio delle speranze della popolazione kurda. Nel passato, molte altre nostre compagne sono state uccise come queste ora.

Il popolo kurdo è frazionato in diversi stati e soffre delle dinamiche interne a questi paesi che si riflettono anche nelle organizzazioni all’estero. Qual è la situazione delle rappresentanze in Europa?

Le rappresentanze dei kurdi consistono in diverse associazioni in Europa e nel mondo, ne abbiamo molte che raggruppano la popolazione di kurdi, queste sono connesse nella confederazione KON-KURD. Nello stesso tempo, c’è una rappresentanza per gli affari esteri in ogni paese che compie per così dire un’attività di lobby per far conoscere e assumere la questione kurda presso le istituzioni.I kurdi organizzano ogni anno diverse iniziative: la più grande è il festival della cultura kurda, che ha visto lo scorso anno la partecipazione di 120.000 persone nella città tedesca di Mannheim. I Kurdi in Europa sono circa 2 milioni e hanno molte associazioni e rappresentanti in diversi paesi, ma sono sotto pressione da parte dei paesi europei, le persone spesso vengono arrestate perché esiste una lista nera delle organizzazioni terroristiche redatta dall’Unione europea, usata come argomento per reprimere il movimento di liberazione kurdo. Uno degli ultimi arresti è stato quello di Adem Uzun in Francia, anche lui membro del KNK.Tutti sappiamo che questa blacklist è ingiusta. Molti attivisti kurdi sono in prigione in Germania. Il movimento kurdo non è diviso in Europa, anzi è più unito di prima, ma le pressioni arrivano dall’esterno. Il Governo turco vuole creare divisioni tra i kurdi dispiegando una guerra psicologica. Ogni volta che si affaccia la possibilità di una trattativa con il governo turco, questa viene fatta fallire.

Qual è la vostra posizione in merito agli incontri fra Ankara e Abdullah Ocalan in carcere? Qual è la situazione del movimento – sia armato – che di massa attualmente?

Non è la prima volta che avvengono degli incontri, forse adesso sono più condivisi dall’opinione pubblica. È un dato di fatto che il governo turco non voglia fare nessun passo concreto, vuole semplicemente ritardare i tempi, ogni volta che ci sono le elezioni manipola l’opinione pubblica facendo credere in qualche progresso, ma per ora non c’è stato nulla di concreto. È esattamente come dieci anni fa, quando l’AKP, il Partito per la giustizia e lo sviluppo, diceva di voler risolvere la questione kurda: oggi possiamo vederne il risultato, sfociato nel massacro di Roboski, in cui sono stati uccisi 34 civili, per la maggior parte minorenni. In questi dieci anni, l’AKP, ha semplicemente fatto ritardare i tempi nel risolvere la questione e intanto ha ottenuto e utilizzato un budget maggiore per le operazioni militari. Il PKK ha molte volte insistito nel risolvere con mezzi democratici la questione kurda: Öcalan ha pubblicato anche una road-map con le sue proposte. Questa volta è diverso, i kurdi non daranno fiducia a questo governo finché non saranno compiuti passi concreti. La situazione del movimento armato ora è quella di essere maggiormente mobilitato rispetto a prima (questo vale, per esempio, per il movimento kurdo in Siria riguardo all’autodifesa), di essere pronto a difendersi da qualsiasi attacco. Le istituzioni kurde stanno crescendo nel mondo e i kurdi in tutte le parti del Kurdistan sono ancora più connessi tra di loro. In tutto il mondo è iniziata una campagna di raccolta firme per la liberazione di Öcalan, che sta favorendo la partecipazione attiva di molte persone: queste hanno realizzato che Öcalan è un uomo che da quattordici anni sta lavorando per una soluzione pacifica in tutte le zone del Kurdistan e del Medioriente.

Fidan Dogan aveva un ruolo analogo al suo, rappresentava il KNK a Parigi. C’è pericolo anche in Italia?

Chi ha ucciso le nostre compagne è pronto ad agire ovunque, a loro non importa dove sei, dipende solo dal tipo di attività che fai. Il fatto di scegliere tre donne non è avvenuto a caso perché si trattava di rappresentanti qualificate del movimento femminile kurdo: il primo passo per la soluzione della questione kurda è la liberazione delle donne kurde e delle donne in generale. Öcalan crede fermamente che il Kurdistan non sarà libero finché le donne stesse non lo saranno.

Oggi e lunedì ci sarà una manifestazione anche in Italia, cosa chiedete?
Vogliamo chiedere al governo francese di trovare al più presto chi sta dietro questi omicidi, e dare una spiegazione sul perché questo fatto sia accaduto di giorno in un posto centrale come la Gare du Nord, che sappiamo essere sorvegliato 24h su 24h dall’intelligence francese. I kurdi vogliono una risposta in merito. Vogliamo che la comunità internazionale si focalizzi di più sulla questione kurda perché c’è uno zoccolo duro dello stato turco che insiste nel fermare ogni tentativo per una soluzione pacifica della questione kurda. Come possono i media turchi parlare di un’esecuzione interna, prima ancora che le autorità francesi abbiano fornito una spiegazione ufficiale o sia stata effettuata un’autopsia?

Geraldina Colotti-Il manifesto