La Turchia – da “zero problemi” a “zero amici”

A qualcuno potrà sembrare esagerato che la politica curda faccia continuamente riferimento alla Turchia. Ma è giustificato. Perché ovunque si tratti politicamente del Kurdistan, preso si incontrerà la mano della Turchia. Questo vale nel caso della Siria, dell’Iraq o dell’Iran e naturalmente anche quando si tratta dei curdi in Turchia. La politica ostile ai curdi del governo turco per i curdi diventa visibile ovunque sostengano i propri diritti o facciano nuove conquiste. La Turchia quindi si trova in una guerra permanente con i curdi. Per questo sarebbe troppo semplice affermare che si tratta di una guerra contro il PKK. Può darsi che per la Turchia sia tuttora prioritaria la lotta contro il PKK dato che questo sostiene la forza propulsiva dell’autonomia democratica per i curdi in Turchia, Sira, e in Iran. Ma alla fine dei conti alla Turchia non interessa questa o quella organizzazione, ma in curdi in sé.

La guerra della Turchia contro i curdi nei diversi Stati presenta differenze solo nei metodi. In Turchia sono la violenza brutale, lo stato di emergenza e le ondate di arresti. In Siria del nord/Rojava combatte militarmente le conquiste dei curdi da sola e nell’ambito di alleanze con gruppi islamisti. In Kurdistan del sud (Iraq del nord) è impegnata per una destabilizzazione e si immischia in questioni interne irakene come il referendum sui “territori contesi” secondo l’articolo 140 della Costituzione irakena. Così è intervenuta in modo molto aggressivo nel dibattito sull’innalzamento della bandiera curdo-irakena a Kirkuk. Inoltre aizza i turkmeni sunniti e gli arabi a Kirkuk contro i curdi. A Şengal (Sinjar) minaccia un’operazione militare e bombarda ininterrottamente le montagne di Qandil. In incontri segreti la Turchia ora cerca di aizzare contro i curdi anche il regime iraniano, dato che il Kurdistan orientale (Iran nordoccidentale) attualmente è l’unica parte del Kurdistan senza scontri militari tra forze curde e statali. In Iran a maggio ci sono elezioni parlamentari e presidenziali. I curdi sono impegnati a convincere il regime attraverso la loro partecipazione politica. La Turchia con gli incontri segreti vuole impedire anche la pur minima opzione di una soluzione politica della questione curda in Iran. In poche parole, i curdi nella loro politica non a torto si concentrano sulla Turchia.

La Turchia conduce una guerra contro la democratizzazione del Medio Oriente

La Siria del nord è diventata un incubo per la Turchia. Infatti lì i curdi insieme ad altri gruppi di popolazione nel dicembre 2016 hanno proclamato il sistema federale Siria del nord. In precedenza c’erano stati quasi sei anni di lavori di costruzione dell’autonomia democratica. Il panico della Turchia rispetto questa democrazia l’ha indotta a chiudere 511 km dei complessivi 900 km del confine con la Siria con un muro. In analogia con la costruzione del muro di Berlino, spera di non far arrivare le conquiste curde sul lato siriano nei territori curdi sul lato turco. Le basi dell’autonomia democratica nel Bakur (Kurdistan del nord/Turchia) qui erano state poste già nel 2005 e attuati passo per passo. Non da ultimo per questa ragione lo Stato turco alla fine del 2015 ha ridotto in macerie diverse località curde. Per questa ragione perfino l’ONU, che negli ultimi quarant’anni di lotta di liberazione nel Bakur a stento ha preso la parola, ha reagito con un rapporto agli orrori commessi dallo Stato. Con il muro sul confine turco-siriano si vogliono isolare l’una dall’altra le autonomie del Rojava e del Bakur. Contrariamente al periodo del muro di Berlino, i curdi con l’ausilio della tecnologia di telecomunicazione e di canali TV curdi possono mettersi in collegamento tra loro. Il muro dimostra solo la fobia della Turchia, sui curdi non avrà un’influenza rilevante.

La Turchia non conduce solo una guerra contro i curdi, ma allo stesso tempo contro la democrazia in Medio Oriente. Perché sia nel Bakur che in Rojava i curdi lavorano per la costruzione di una strutturale sociale democratica. Questo li distingue da tutti gli altri attori regionali e globali che attualmente si muovono nella regione. Questa democrazia viene sviluppata a partire dalla base e non conosce confini etnici o religiosi. Ma sia la Costituzione siriana che quella turca lo rifiutano. Negli Stati Nazione esistenti non c’è spazio per la democrazia e il pluralismo. In uno è dominante l’identità turca, nell’altro quella araba.

Come terzo punto importante rispetto alla Turchia va detto che il potere AKP-MHP guidato da Erdoğan non considera il progetto democratico curdo come un ostacolo solo per motivi ideologici. Perché una vittoria sui curdi darebbe la possibilità a chi in questo blocco detiene il potere di intraprendere la riconquista delle province ottomane di Aleppo e Mosul “perse” con gli accordi di Sèvres nel 1920 e di Losanna nel 1923. La condizione di guerra sia in Iraq che in Siria, favorisce i sogni della grande Turchia.

Mentre i kemalisti come forza propulsiva della repubblica turca per decenni avevano interpretato l’accordo di Losanna come una vittoria del loro leader Kemal Atatürk, Erdoğan nell’ottobre dello scorso anno lo ha dichiarato un tradimento. Atatürk dopo la Prima Guerra Mondiale in questo modo aveva strappato alle potenze vincitrici gli attuali confini della Turchia. Entro il centesimo anniversario dell’accordo il 24 luglio 2023 ora Erdoğan vuole riavere quante più province dell’Impero Ottomano possibile. La sua attuale priorità va alla Siria del nord e all’Iraq del nord (Kurdistan del sud). Secondo lui la “provincia” Aleppo, quindi l’intera Siria del nord e la “provincia” Mosul, che corrisponde all’intero Iraq del nord, in realtà appartengono alla Turchia. Questa è anche la ragione per la quale la Turchia nello scorso anno ha inviato il suo esercito sia in Siria del nord che anche a Basiqa/Mosul. Nonostante critiche internazionali, nell’indirizzo neo-ottomano della politica di Erdoğan è cambiato poco. L’unico cambiamento è che d’ora in avanti procederà militarmente contro i curdi in modo ancora più forte.

La prima cosa che Erdoğan ora ha proclamato come dittatore garantito costituzionalmente poche ore dopo il referendum del 16 aprile, è stata l’intenzione di reintrodurre la pena di morte. Che con questo mira al Presidente dell’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK), Abdullah Öcalan, era chiaro a tutti i curdi. Il suo primo messaggio chiaro e minaccioso era rivolto contro i curdi. Nonostante il fatto che a dicembre aveva ridotto in macerie diverse città curde come Şirnex (Şırnak), Cizîr (Cizre), Colemêrg (Hakkari), Mêrdîn (Mardin) e quartieri di Amed (Diyarbakır), i curdi proprio in queste città con una chiara maggioranza hanno votato No alla modifica costituzionale. Il 18 aprile, quindi due giorni dopo il voto popolare, aerei da guerra turchi in una grande offensiva hanno bombardato le montagne di Qandil. Erdoğan ha dato sfogo alla sua rabbia contro i curdi! È arrabbiato e furioso nei loro confronti perché a milioni hanno partecipato ai festeggiamenti per il nel Bakur e qui i territori curdi hanno votato No contro il suo progetto. Eppure aveva fatto rinchiudere sindaci, politici, rappresentanti di ONG, giornalisti, cioè tutti quelli avrebbero potuto mobilitare e organizzare la popolazione per il New­roz e il referendum.

Ma la popolazione in ampie parti del Kurdistan è così politicizzata che ha potuto mobilitarsi anche senza una forza guida. Questo Erdoğan non se lo aspettava e ne è rimasto scioccato. Che come primo messaggio abbia parlato della reintroduzione della pena di morte, quindi ha un antefatto. Perché Öcalan è la linea rossa dei curdi. Erdoğan avrebbe comunque fatto di tutto per mettere a tacere i curdi. Nonostante questo non gli è riuscito. E così gli restano solo minacce contro un ostaggio politico, ovvero Abdullah Öcalan. Questo allo stesso tempo illustra la sua mancanza di vie d’uscita che lo spingono a giocare con il fuoco. Nessun curdo consentirebbe di oltrepassare la sua linea rossa. Erdoğan quindi farebbe bene a ricordarsi del 1999.
La Turchia: un problema regionale

Ma non solo i curdi hanno un problema con il governo turco dell’AKP, ma ormai quasi tutta la regione del Medio Oriente, La Turchia conduce una guerra contro la Siria dal 2012. Dato che l’Iran considera il regime Baath sotto Assad come partner strategico e garanzia per la propria espansione nella regione, ha conflitti veementi con la Turchia. Ma anche nella questione di Mosul Iran e Turchia sono in campi tra loro rivali. La Turchia vuole rendere Mosul una roccaforte sunnita, mentre l’Iran vuole farne una zona cuscinetto per la sfera di influenza sciita. Dato che Bagdad per via del suo orientamento sciita si sente vicina all’Iran, la Turchia cerca di indebolire l’Iraq attraverso il commercio del petrolio con i curdi nel nord. Il rapporto tra Bagdad e il Governo Regionale del Kurdistan (KRG) a nord è molto danneggiato. Ne è conseguenza una grande perdita di fiducia.

Anche con l’Arabia Saudita e il Qatar, finora suoi alleati strategici, la Turchia ha grandi problemi. Dopo che nel dicembre dello scorso anno ha perso la guerra ad Aleppo e a seguito di questa sconfitta ha dovuto trattare con la Russia, l’Iran e la Siria, ha fatto un cambio di parte verso il cosiddetto campo sciita. Ha rivolto le spalle al campo sunnita, motivo per cui l’Arabia Saudita e il Qatar, come nemici giurati dell’Iran, hanno cercato maggiormente appoggio dagli USA e da Israele. La Turchia ha problemi anche con l’Egitto come centro principale della politica araba, dato che attraverso i Fratelli Musulmani continua a cerca di destabilizzare il Paese dall’interno. I Fratelli Musulmani egiziani hanno mano libera in Turchia. Da qui organizzano la loro politica contro il governo egiziano.

Insomma, il motto »zero problemi con i vicini« della politica estera della Turchia per molto tempo lodata dall’occidente è cambiato: »solo problemi con tutti i vicini«. Non da ultimo ora si aggiungono anche problemi con la Grecia e la Bulgaria. Nel suo attacco generale all’accordo di Losanna Erdoğan ha fatto riferimento anche alla Grecia e ha avanzato pretese su determinate isole greche. Un’altra ragione per la lite con la Grecia è la concessione dell’asilo da parte del governo di Atene a diversi ufficiali turchi che in Turchia sono ricercati per appartenenza al movimento di Gülen. In Bulgaria la Turchia nelle elezioni di marzo si è immischiata in modo molto diretto e ha cercato di influenzare la politica attraverso la minoranza turca in Bulgaria. Inoltre il governo dell’AKP ha indotto diverse migliaia di bulgari di origine turca in Turchia che hanno la doppia cittadinanza, a fungere da minaccia contro il governo bulgaro. Con richieste radicali panturchiste e nazionaliste dovevano creare disordine in Bulgaria. Questa per protesta ha chiuso i confini.
La Turchia: un problema internazionale

Come membro della NATO la Turchia non si è attenuta né alle regole dell’alleanza militare, né alla coalizione internazionale per combattere Stato Islamico (IS). Piuttosto andando avanti da sola ha impedito qualsiasi prospettiva di una soluzione politica e continua ad alimentare IS e altre bande nel nord della Siria. Mentre per gli USA e la Russia nella guerra di terra contro IS è necessario l’aiuto delle Forze Democratiche della Siria, nelle quali sono organizzate anche le Unità di Difesa del Popolo e delle Donne (YPG/YPJ), la Turchia cerca di impedire con ogni mezzo una collaborazione internazionale con loro. La fine della collaborazione con le forze curde delle YPG-/YPJ è diventata una precondizione politica e diplomatica della Turchia. Minaccia tutti coloro che combattono insieme ai curdi contro IS. Anche se gli USA chiudono un occhio sugli attacchi turchi contro il PKK nelle montagne di Qandil, non riescono a convincere del tutto la Turchia. Sottolineano costantemente di stare dalla parte della Turchia nella lotta contro il PKK, ma non riescono ad accontentarla lo stesso.

Proprio come gli USA e la Russia, anche l’Europa ha investito molto nella guerra nel Vicino Oriente. Ci si aspetta molto dalla terza guerra di sparizione che attualmente sta infuriando lì. Ma l’Europa non era disposta a farsi carico anche delle conseguenze della guerra. Il flusso di profughi verso l’Europa non era stato calcolato, dato che ci si fidava della Turchia. Sia gli USA che singoli Stati UE per molto tempo non hanno inquadrato correttamente il governo dell’AKP. Su una cosa erano tutti d’accordo: i confini dell’accordo di Losanna del 1923 restano inviolati. Dato che il PKK critica ideologicamente in modo chiaro il modello dello Stato Nazione in sé e Öcalan sul tema dello Stato Nazione ha scritto diversi volumi critici, la Turchia non riesce più a convincere la politica internazionale con il pericolo del »separatismo curdo«. In corrispondenza con la strategia di Öcalan i curdi nel Rojava e nel Kurdistan del nord sono impegnati per l’autonomia democratica. Ma la Turchia stessa oggi non accetta più suoi confini attuali. »Non saremo prigionieri in 780 000 chilometri quadrati«, ha affermato il Presidente Erdoğan a novembre dello scorso anno, »Crimea, Caucaso, Aleppo, Mosul saranno pure oltre i confini turchi, ma sono dentro i confini dei nostri cuori.« Già in precedenza si era lasciato andare ad affermazioni come »Mosul è nostra« e »I confini di questo Paese non li abbiamo accettati volontariamente«. Le aspirazioni egemoniche della Turchia si rivelano sempre più come fattore di disturbo per i Paesi vicini, ma anche molto oltre.
La Turchia: un problema dell’Europa

Nell’ambito dei negoziati per l’ingresso nell’UE, l’UE e singoli Stati europei fino al 2012 sono riusciti in una certa misura ad influenzare la Turchia. Questo è cambiato con la guerra in Siria. Fino ad allora l’UE attraverso i suoi pacchetti di riforme ha potuto immischiarsi anche nelle “questioni interne” e condeterminare temi di politica economica del Paese. Ma con il conflitto in Siria il rapporto è stato quasi capovolto. I chiari appelli di singoli Paesi UE per un No al recente referendum costituzionale in Turchia in effetti erano espressione di rabbia e disperazione. Gli scontri condotti in modo molto aggressivo a livello verbale ne sono una chiara prova. Nel No al referendum costituzionale è interessante che la Germania sia stata quella che ha alzato di più la voce. Anche se altri Stati europei come la Francia, la Gran Bretagna, l’Olanda, l’Austria, gli Stati scandinavi, ecc. si sono schierati dalla parte del No, la Germania era in prima linea. Di certo in questo ha un ruolo anche il numero elevato di cittadini turchi che vivono in Germania. Ma la causa è più profonda. In fin dei conti perfino i curdi si sono meravigliati della portata che aveva il clima ostile a Erdoğan in Germania. Per le organizzazioni curde in Germania a un certo praticamente non è più stato necessario mostrare la vera faccia di Erdoğan e del suo AKP. Altri lo facevano già a sufficienza. Anche se la critica dell’AKP “curda” si distingue da quella »tedesca«, per i curdi è stato utile che la maschera di Erdoğan cadesse anche qui. Il Presidente turco non dispone di cultura politica, meno che mai di norme etiche. I paragoni con i nazisti lo dimostrano in modo impressionante. Perché in effetti Erdoğan stesso è sulla strada migliore per diventare l’Hitler del 21° secolo.

Erdoğan considera la situazione caotica del Medio Oriente come occasione adatta per realizzare il suo sogno di un »grande Impero turco«. Per percorrere questa strada instaura un sistema autocratico con lui come »leader forte« al vertice. Perché tutto possa funzionare senza intoppi, elimina l’opposizione. E con la modifica costituzionale ora ha rimosso gli ultimi ostacoli costituzionali per la sua politica di espansione nazionalista. I paralleli con la Germania dell’inizio degli anni ’30 sono evidenti.

In Europa soprattutto la Germania viene sfidata dalla strategia turca. Crede ancora di poter mantenere in piedi come d’abitudine la centenaria fratellanza d’armi con la Turchia. Ma il partner di lunga data è cambiato in modo radicale, è andato fuori controllo e persegue la sua politica in solitaria. I vecchi accordi strategici ora vengono considerati da Ankara un ostacolo sul suo cammino per diventare una grande potenza regionale.

Erdoğan è convinto che né la Germania né gli USA né altri Stati capiscano la Turchia. È consapevole del fatto che la Turchia con il suo carattere di Stato Nazione del secolo scorso è in pericolo. Il quasi centenario Stato Nazione turco come »piano« del sistema di Stati europeo è stato messo in discussione dalla rivoluzione curda democratica in Turchia e in Siria. Anche se dall’altro lato la decadenza degli Stati Nazione arabi in Siria e in Iraq risvegliano anche l’appetito della Turchia, complessivamente prevale in modo evidente la paura, soprattutto dei curdi, dato che lo Stato Nazione turco del 1923 sta comunque scoppiando. Nessuno dei gruppi etnici e religiosi finora oppressi si vuole sottomettersi dopo la quasi centenaria politica di negazione di Ankara. Tutti vogliono diritti autonomi e di conseguenza una Turchia decentralizzata. Questo l’AKP l’ha visto e sentito chiaramente già nelle elezioni parlamentari del 7 giugno 2015, quando con il Partito Democratico dei Popoli (HDP) sono stati eletti nel Parlamento turco ottanta deputati come rappresentanti di diverse comunità etniche e religiose che secondo la Costituzione turca finora non esistono. Questo successo la leadership dello Stato Nazione lo ha percepito come uno sconvolgimento della dottrina nazionalista dello Stato. Lo Stato considerava la democrazia un pericolo e ha indetto elezioni anticipate. Il progetto dell’autonomia democratica, che si basa sulla filosofia della Nazione Democratica, nel Bakur è stato sviluppato e praticato dal 2005. Nelle elezioni del 7 giugno 2015 questo progetto iniziato da Öcalan è stato confermato. Per la prima volta allo Stato Nazione è stata mostrata un’alternativa democratica. Come presi dal panico sono state indette nuove elezioni per il novembre del 2015. È seguita l’alleanza con l’MHP, anch’esso noto per il panturchismo, ma che tende anche radicalmente al fascismo. Con il nazionalismo il potere AKP-MHP credeva di poter salvare lo Stato Nazione turco.

Invece i curdi e gli oppositori continuavano a sostenere con veemenza la democratizzazione del Paese e quindi l’auto-organizzazione autonoma e un forte decentramento della Turchia. Ma quello che la Germania e l’Europa vogliono dalla Turchia, non è comprensibile.

Una cosa soprattutto ora dopo il referendum è diventata chiara. Erdoğan nonostante la messa in discussione dei risultati della consultazione non sarà più così facile da fermare. Critiche verbali da Berlino Erdoğan ora di certo non vorrà più sentirle.

C’è da aspettarsi che Erdoğan ora dopo il referendum da prima chiederà conto a molti suoi compagni di partito per il brutto risultato delle votazioni. Questo significa che seguirà un’operazione di pulizia interna. Perché ha perso il plebiscito in molte città strategicamente importanti come Istanbul, Ankara, Izmir, Hatay e nella regione al confine con la Siria e nelle metropoli curde come Van, Amed e Mêrdîn. Per questo ci sarà da aspettarsi sia una pulizia interna alle file dell’AKP che un’intensificazione della guerra contro i curdi, oltre a campagne di diffamazione contro possibili rivali di Erdoğan. Così l’ex Presidente e compagn di strada di Erdoğan, Abdullah Gül, dalle file dell’AKP è stato apostrofato come »uomo dei britannici«. In questo modo probabilmente anche altre persone dell’area religioso-conservatrice che non sono sulla linea dei Erdoğan fungeranno da bersagli.

Con questi fenomeni collaterali il Paese un tempo ampiamente lodato, che veniva portato come fulgido esempio dell’Islam moderato e al quale si prospettava l’ingresso nell’UE, è diventato una Turchia che da nessuna parte gode più di qualsiasi fiducia. Il Paese rispettato ovunque con gli “zero problemi con i vicini” è diventato un Paese che diventa causa di problemi ovunque. La politica degli “zero problemi” si è sviluppata nella realtà degli “zero amici”.

Né l’alleanza AKP-MHP né l’autocrazia di Erdoğan possono riportare la Turchia nella posizione precedente alla guerra in Siria. Lo Stato Nazione turco è condannato al fallimento. Né i curdi né altre forze dell’opposizione potranno essere messi a tacere. Al contrario, dopo il referendum l’opposizione in Turchia si muoverà in modo più efficace, più mirato. La forte polarizzazione politica nel contesto del dibattito sulle modifiche costituzionali renderà la Turchia più soggetta ad interventi sia dall’interno che dall’esterno. Perché la polarizzazione politica promuove anche la spaccatura politica.

La strategia di successo della terza via ha aperto molte porte

Allo stesso tempo i curdi in Siria per via della loro attuale situazione politica favorevole si impegneranno più intensamente per un riconoscimento internazionale della Federazione Democratica Siria del Nord. La strategia della terza via ha aperto loro molte porte in ambiti diplomatici e politici. Per via del loro atteggiamento coerente come terza forza nella politica siriana godono di fiducia sia regionale che internazionale. Erdoğan non riuscirà a impedire il sostegno e il riconoscimento dei curdi e delle loro idee politiche in Siria. Questo processo può svolgersi in modo più rapido se i curdi ricevono il necessario sostegno politico e diplomatico soprattutto dall’Europa e dalla Germania. Tra i curdi, gli USA e la Russia è stato raggiunto un certo livello di collaborazione nella Siria del nord. L’Europa e soprattutto la Germania possono unirsi e avere un effetto di promozione per il processo di una nuova Siria democratica.

La Turchia da tempo non può più essere quel partner strategico che finora era considerato. Ha perso il suo significato strategico, motivo per cui tutti coloro i quali hanno costruito su questo, sono andati in confusione. Mentre per via della sua politica errata si è trasformata in un Paese con un significato tattico che va scemando, i curdi sono sulla via migliore verso una nuova forza strategica. Mentre la Turchia perde sempre più amici, i curdi acquistano sempre più amici dato che negli ultimi cinque anni in Siria hanno seguito con successo la strategia della terza via. Per l’Europa questo sarà ovviamente doloroso, dato che ha sviluppato la questione curda come una carta tattica e lo Stato Nazione turco come istituzione strategica per la sua politica sul Medio Oriente. Ora nel 21° c’è un cambio di ruoli. Non uno Stato Nazione, ma un popolo senza Stato come non-state actor diventa attivo. Resta da vedere se l’Europa prenderà seriamente questo sviluppo. In ogni caso i curdi anche senza un proprio Stato sapranno portare avanti con successo la loro politica.

di Nilüfer Koç, Da Kurdistan Report 191 | maggio/giugno 2017