La Redazione di Alkemia in Kurdistan come Osservatorio Internazionale

NEWROZ 2013: L’URLO DEL POPOLO KURDO
Testimonianza di Mirca Garuti

(1° parte)
“Mi hanno ritirato il passaporto e portato in uno stanzone, lì c’erano altri stranieri. Nessuna spiegazione, ovviamente. Solo la comunicazione che sarei stato rimpatriato, e per tutta la notte una bottiglietta d’acqua”.

Queste sono le prime parole di Antonio Olivieri, presidente dell’associazione “Verso il Kurdistan”, intervistato al suo rientro in Italia dopo l’espulsione dalla Turchia perché “indesiderato per motivi politici”. Così è iniziato il viaggio della delegazione italiana per monitorare la situazione dei diritti umani e partecipare ai festeggiamenti del Newroz 2013 in Turchia. Domenica 17 marzo scorso all’aeroporto Ataturk d’Istanbul, Antonio Olivieri è stato subito isolato dal resto del gruppo, sequestrato i documenti, perquisito e trattenuto, per poi essere espulso.  “Siamo un gruppo, una delegazione dell’associazione che ogni anno partecipa al Newroz, il capodanno Kurdo (che si festeggia il 21 marzo). Dovevamo raggiungere Van, Yuksekova, Hakkari, Sirnak e Diyarbakir. Portavamo aiuti alle famiglie e borse di studio per le ragazze”, continua così Antonio nella sua intervista.  Antonio non è purtroppo l’unico italiano che segue pacificamente e con determinazione la questione curda, soggetto al respingimento dalla Turchia, basta citare per esempio: Aldo Canestrari, l’avvocato Arturo Salerni, Carlotta Grisi e Francesco Marilungo. Antonio pone l’accento infine che questi atti d’intimidazione da parte del governo di Ankara “non cambieranno la nostra attività. Noi proseguiremo negli aiuti. Noi vogliamo solo portare avanti i nostri progetti.”

Il viaggio della delegazione italiana inizia quindi senza la presenza del responsabile dell’Associazione “Verso il Kurdistan” ma, senza alcuna esitazione, anzi, con una più forte determinazione.

Il Newroz 2013 celebrato in Turchia ha, nonostante tutto, qualcosa di diverso rispetto a quelli degli anni passati. L’atmosfera che si respira è dolce, come una sottile brezza che accarezza la pelle. E’ la speranza, chiusa dentro ogni cuore del popolo curdo, che lentamente si fa strada tra mille ricordi e disillusioni. Chissà se oggi si potrà riuscire finalmente ad arrivare ad una vera pace?  A non dover mai più andare a portare omaggio ai familiari di vittime di massacri, come quello avvenuto un anno e mezzo fa a Roboski?

Il leader storico del PKK, Abdullah Ocalan ha teso una mano, ora tocca al governo turco dimostrare la serietà e volontà di mettere in pratica i nuovi progetti di pace, fino ad oggi rimasti sempre solo sulla carta. Questa è l’ultima possibilità di poter arrivare alla conclusione di un conflitto che dura ormai da troppo tempo. L’alternativa è quella di un’altra nuova guerra e, questa volta sarà una grande guerra popolare.

Il 21 marzo, il gruppo “La delegazione di Van” dell’associazione Verso il Kurdistan è riuscita a raggiungere Diyarbakir per partecipare al grande Newroz, considerato da tutti il grande evento storico. Per questo abbiamo cambiato il nostro programma anche perché i sindaci di Hakkari e Sirnak che dovevamo incontrare proprio quello stesso giorno erano diretti entrambi a Diyarbakir.

Il 20 marzo, nelle prime ore del pomeriggio, abbiamo quindi lasciato Yuksekova per raggiungere Mardin (circa 500 Km), tappa intermedia, per arrivare a Diyarbakir, il giorno successivo. Durante il tragitto abbiamo incontrato nove posti di blocco, sei dei quali negli ultimi 60 chilometri, dove siamo stati sempre fermati per il controllo dei passaporti e verifica del nostro programma. La polizia sapeva già dove stavamo andando.

Lasciamo Mardin la mattina del 21 marzo per raggiungere finalmente Diyarbakir.

Già dalle prime ore del giorno si poteva presagire l’immensa folla che si stava spingendo verso il luogo prestabilito: lunghe file d’auto, pulmini, carretti e a piedi, tanti uomini, donne, bambini, anziani. Il tutto succedeva tra i suoni concitati dei clakson delle auto che sembrava volessero chiamare a raccolta tutte le persone, tra lo sventolio delle bandiere dai colori giallo, rosso, verde e gli slogan urlati che ripetevano in continuazione le parole “Apo, Apo e Libertà, Democrazia”.

Com’era diversa l’atmosfera l’anno scorso! Allora si respirava solo tensione, paura e rabbia. La polizia era in tenuta anti sommossa ed aveva negato l’autorizzazione per la celebrazione del Newroz.  (vedi newroz 2012) I lacrimogeni ed i getti d’acqua non erano però riusciti a bloccare il milione di persone che alla fine aveva partecipato al Newroz. Se l’impatto di tutta quella folla dell’anno scorso è stato sorprendente, entusiasmante e molto caloroso, si può tranquillamente immaginare come sia stato quest’anno, con la presenza di oltre due milioni di persone. Un’emozione straordinaria. Un fiume immenso di donne, bambini, uomini, tutti accorsi per assistere alla lettura della lettera di Ocalan indirizzata a loro, al popolo del Newroz. Suoni, musica, colori, balli ma, soprattutto, libertà di poter esprimere la propria gioia per una vera speranza di pace.

Non avevo mai visto una tale folla! E’ importante schierarsi al fianco di questo popolo dimenticato dal resto del mondo. Si capisce di essere dalla parte giusta, dalla parte di chi chiede giustizia e, nello stesso tempo, cresce, però la rabbia per l’indifferenza che domina non solo tra le persone comuni ma, sopratutto da parte di tutti i governi europei e non, compresa la nostra bella Italia.

Dopo aver attraversato prati, terreni incolti, pietraie, siamo arrivati ai margini della grande area, già completamente occupata da una marea di persone. Non ci siamo fermati. Senza considerare un probabile pericolo, dato l’enormità della massa di persone che avevamo davanti a noi, ci siamo letteralmente tuffati tra la gente per poter raggiungere il palco centrale, per portare la nostra solidarietà al popolo kurdo. La visione dal palco è stata, infatti, sorprendente, spettacolare, da brividi. L’emozione che si è impadronita di noi tutti è stata enorme.  La popolazione curda si è dimostrata con la nostra delegazione attenta, premurosa e felice per la nostra presenza.

Gli interventi politici tenuti dai vari esponenti del partito BDP, dai sindaci di tante città e responsabili d’organizzazioni della società civile curda sono stati numerosi. Erano presenti, oltre a noi, anche tante altre delegazioni straniere, tutte accolte con grande entusiasmo e calore.

Il momento più importante ed atteso è stato naturalmente quello relativo alla lettura della lettera di Ocalan* accolta da un’enorme ovazione da parte di tutti i presenti, nel momento in cui un deputato ha iniziato con i saluti di Abdullah Ocalan al suo popolo: “Saluto il Newroz di libertà degli oppressi – Saluto il popolo del Medio Oriente e dell’Asia Centrale che celebra questo giorno di risveglio, rinascita e rigenerazione del Newroz con straordinaria partecipazione e unità… – Saluto tutti i popoli che celebrano il Newroz, questo giorno luminoso che marca il punto di svolta di una nuova era, con grande entusiasmo e tolleranza democratica… – Saluto tutti coloro che percorrono il lungo percorso per i diritti democratici, la libertà e l’uguaglianza… – Saluto uno fra i popoli più antichi delle terre sacre di Mesopotamia e Anatolia, dove sono nate l’agricoltura e le prime civilizzazioni, ai piedi dei Monti Tauros e Zagros fino alle rive dei fiumi Eufrate e Tigri. Saluto il popolo curdo…”

Le parti più significative sulle quali si è aperto un dibattito sia tra il popolo curdo e sia tra tutte quelle forze politiche ed organizzazioni che si occupano della questione curda, sono state naturalmente quelle relative a:

– “ E’ tempo che le armi tacciano e che le idee parlino”
– “ E’ il momento che la politica vada oltre le armi”
– “ E’ tempo che le nostre forze armate si ritirino oltre il confine”
– “ Questo è un nuovo inizio, non è una fine”
– “ E’ l’inizio di una nuova lotta in favore di tutte le minoranze etniche”
– “ I turchi e i curdi hanno inaugurato insieme il Parlamento nel 1920”
– “ Abbiamo costruito insieme il passato e adesso abbiamo bisogno di mantenerlo insieme”

La lettera di Ocalan ha in pratica concluso il Newroz di Amed (Diyarbakir). I balli, la musica, la speranza continuano ad animare gli animi della popolazione curda, ma chissà, mi chiedo, mentre mi avvio all’uscita della grande spianata, se davvero ci sarà una svolta positiva per questo martoriato popolo?

Il passato certamente non ci offre molte illusioni in merito, se pensiamo ai tanti tentativi di dialogo, in particolare, “all’apertura curda del 2009” e alle “trattative di Oslo del 2011”, oppure agli otto tentativi di “cessate il fuoco” da parte del PKK dal 1993 ad oggi, tutti falliti.

Le trattative di oggi sono iniziate ad ottobre scorso, quando la questione curda è ritornata ad essere al centro di un nuovo dialogo tra lo stato turco e Abdullah Ocalan, con l’obiettivo di mettere fine al conflitto tra il PKK e l’esercito turco. Trent’anni di guerra hanno, infatti, provocato oltre 40mila vittime e, nel solo 2012, anno oggetto di violenti scontri, i morti militanti nel PKK sono stati 1500 e tra i soldati turchi, 601. Il 17 novembre Ocalan annuncia l’avvio dei colloqui con il MIT (servizi segreti turchi) e, contemporaneamente, attraverso suo fratello Mehmet, dopo il loro incontro sull’isola di Imrali, trasmette un appello ai prigionieri (un centinaio) in sciopero della fame invitandoli a cessare questa forma di protesta. Ocalan dichiara che “I prigionieri in sciopero della fame si sono addossati sulle loro spalle le responsabilità di coloro che sono fuori, i quali dovrebbero evitare comunque di appesantire i prigionieri con le loro proprie responsabilità e doveri. Oltre alla mia disapprovazione dell’atto dello sciopero della fame, penso che questo dovrebbe essere intrapreso dalle persone all’esterno delle carceri se necessario, non dalle persone all’interno. Questo atto estremamente significativo deve avere termine senza esitazione poiché ha raggiunto il suo scopo primario. Intendo salutare specialmente tutti coloro che sono in sciopero della fame, in particolare quelli del primo e secondo gruppo”.

I colloqui di pace sono diventati ufficiali, quando il 3 gennaio 2013, il governo ha permesso ad una delegazione di due deputati del partito BDP d’incontrare Ocalan che da 18 mesi poteva vedere solo i suoi familiari. Il 9 gennaio a Parigi sono uccise tre attiviste curde: Sakine Cansiz (una fondatrice del Pkk insieme al leader Ocalan nel 1978), Fidan Dogan e Leyla Soylemez. Le ipotesi che si fanno sui mandanti sono tante, possono essere stati tutti, da una faida interna al movimento curdo, allo Stato turco, oppure i servizi segreti iraniani, siriani fino ad arrivare ai “Lupi grigi” (gruppo estremista nazionalista turco). La coincidenza temporale però con la ripresa dei negoziati curdo-turchi fa pensare unicamente ad un tentativo di sabotaggio, ma per fortuna i colloqui di pace non sono cessati. Il 25 gennaio il Parlamento turco ha approvato una legge che permette ai curdi di difendersi in tribunale usando la propria lingua. Il secondo incontro con Ocalan da parte della delegazione dei parlamentari curdi Sirri Sureyya Onder, Pelvin Budan e Altan Tan, avvenuto il 23 febbraio scorso, è stato molto importante perché ha portato una maggiore chiarezza sul piano di risoluzione del conflitto. Occasione che ha permesso ad Ocalan di inoltrare tre lettere identiche al partito BDP, ai militanti del PKK stanziati sui monti nel nord Iraq e alla parte europea del KCK ( Unione delle comunità del Kurdistan) nelle quali presenta la sua Road-map per il processo di pace.

La road-map si sviluppa su tre diverse fasi. La prima “la filosofia della pace” mette in primo piano lo sviluppo di una nuova costituzione che possa dare una definizione di “cittadinanza libera da ogni tipo di riferimento etnico”, fondata su una “completa democrazia” e sui “principi della giurisprudenza internazionale”. La seconda “il piano d’azione” prevede il ritiro delle forze del PKK al di là del confine turco dal 21 marzo fino alla fine del mese di luglio. Il “ritiro” afferma però Ocalan deve essere reciproco ed approvato dal parlamento. Erdogan ha affermato che il processo di pace “inizierà de facto quando i membri del PKK si ritireranno in un altro paese”. L’ultima parte “eventuali problemi e conclusioni” dovrebbe mettere fine al processo di pace.

Le speranze sono tante, ma come anche la paura di restare soli senza più l’aiuto e la protezione del PKK.

Chi lotterà per le 10mila persone, amministratori locali, giornalisti, politici curdi che sono ancora in carcere?

Perché quindi oggi la situazione dovrebbe essere più favorevole? Sulla carta ci sono alcuni nuovi elementi che fanno la differenza: la situazione in Siria, il sistema di presidenzialismo alla turca a cui aspira Erdogan e la scelta di coinvolgere apertamente Ocalan come interlocutore.

L’apertura di Erdogan non è solo dovuta a motivi di sicurezza nazionale, ma anche e soprattutto al cambiamento avvenuto nel contesto regionale. La guerra civile in Siria ha, infatti, creato molti timori e preoccupazioni al governo turco: la riapertura della questione curda con il ritorno dei sentimenti nazionalisti, i profughi, l’aumento delle divisioni etniche e la frenata dell’economia in forte sviluppo in Anatolia.

Il peso politico dei curdi all’interno del conflitto in Siria è diventato importante se si guarda a quello che sta succedendo al confine sudorientale con la Turchia. La Turchia, infatti, teme che possa accadere in Siria quello che è successo nel Nord Iraq, ossia la formazione di un’area d’autonomia politica, il che significa per Ankara la possibilità di avere due entità curde autonome sui suoi confini. La politica del primo ministro turco Erdogan verso le popolazioni in fuga da guerre è normalmente sempre stata quella del rispetto e della collaborazione attraverso aiuti umanitari. Quando però si tratta di curdi, il modo di agire cambia.  La possibilità dei curdi siriani di poter considerare il loro territorio in forma autonoma, se pur all’interno della Siria, non ha di certo rallegrato Erdogan. Questa probabilità lo ha, infatti, spinto a mettere in pratica alcune selezioni riguardanti gli aiuti sia ai profughi in fuga dalla Siria e sia a quelli già presenti sul territorio turco.

Quando l’esercito di Assad, a causa dell’intensificazione dei combattimenti nella regione, si era ritirato dal Kurdistan siriano, delegandone la sicurezza alle milizie curde, i curdi avevano intravisto l’occasione di potersi servire della guerra siriana per creare uno Stato autonomo nel nord del paese. Il Supremo Consiglio curdo, appoggiato dal governo del Kurdistan iracheno, è formato da vari partiti curdo-siriano, tra i quali emerge il Pyd (Partito dell’Unione Democratica), fondato nel 2003 che rappresenta l’ala sinistra del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). I suoi militanti con il Consiglio nazionale curdo hanno composto le “Unità di difesa popolari” (Ypg) che a fine luglio avevano preso il controllo delle città curde al nord della Siria non permettendo a nessuno, né ai ribelli e né all’esercito di Assad, di infiltrarsi. La tranquillità però è durata poco. Verso fine ottobre sono iniziati gli scontri. Il Centro Informazioni e Relazioni del Partito dell’Unione Democratica (Pyd) il 21 novembre 2012 rilascia una dichiarazione diretta all’opinione pubblica internazionale in merito all’incursione con carri armati della città di Sare-kanye da parte del regime turco insieme a gruppi salafiti: “Sin dall’inizio della Gloriosa Rivoluzione Siriana, il regime turco ha interferito negli affari interni influenzandone il corso. Quando il popolo è insorto contro la tirannia, il suo scopo era quello di condurre una rivoluzione pacifica in nome della democrazia… Il regime siriano insieme al regime turco ha armato dei gruppi per destabilizzare la rivoluzione e renderla il più possibile violenta..  Poiché il popolo curdo è stato capace di difendersi dagli assalti del regime è riuscito a prendere il controllo della regione e quasi tutte le città curde sono amministrate dal popolo che ha trasformato le istituzioni siriane esistenti in consigli cittadini, contrariamente agli obiettivi del regime turco… Il regime fascista ha iniziato a mettere in atto il suo progetto da Efrin e Aleppo, ma ha fallito, dall’8 di questo mese ha spinto verso la regione di Sarekaniye una moltitudine di salafiti e Jidaisti che aveva rifornito di armi e mobilitato da diversi luoghi della Turchia. Organizzazioni popolari, inclusi consigli e comitati, hanno tentato a lungo di negoziare con gli invasori e con i fratelli arabi, ma queste forze hanno rifiutato ogni tipo di accordo e hanno cominciato uccidendo il capo dell’amministrazione locale ed uno dei suoi compagni a tradimento. E’ questo episodio che ha comportato la necessità di un intervento del YPG per bloccare gli aggressori… Tuttavia l’intervento di sette carri armati e di veicoli corazzati provenienti dal confine turco ha scioccato tutti e hanno cominciato a bombardare i villaggi e le zone curde a caso per terrorizzare la popolazione e disperderla… Noi, in qualità di Partito dell’Unione Democratica, condanniamo questa interferenza sfacciata e sanguinosa/cruenta negli affari del popolo siriano in generale e del popolo curdo in particolare, sia da parte dei gruppi salafiti che da parte del regime turco e chiediamo alla nostra gente di rimanere sulle loro terre, sulla loro patria e di difendere i luoghi sacri.”

Il Co-Presidente del Partito dell’Unione Democratica (PYD), Saleh Muslim ha firmato un documento datato 1 novembre 2012 nel quale spiega la visione dei curdi in merito alla situazione in Siria. La rivoluzione siriana è iniziata nel 2011, ma non per il popolo curdo. Per i curdi siriani, la rivoluzione è iniziata il 12 marzo 2004. Militanti arabi del partito Baath armati e con foto di Saddam Hussein, sfruttando l’occasione di una partita di calcio che si svolgeva a Qamishlo, città a nord-est della Siria, al confine con la Turchia vicino alla città turca di Nusaybin, hanno attaccato la popolazione civile curda d’ogni città del Kurdistan sudoccidentale provocando centinaia di feriti, migliaia d’arresti ed oltre 100 morti tra la popolazione curda. Questo ha unito la popolazione del Kurdistan Occidentale contro il repressivo regime baathista. I Newroz del 2008 e 2010 sono stati duramente repressi con migliaia di nazionalisti curdi arrestati e torturati. Nel marzo 2011 erano detenuti nelle carceri e nelle prigioni sotterranee dell’intelligence siriana 1.500 sostenitori della causa curda. Quando è iniziata la rivoluzione siriana per la libertà, per la democrazia e la dignità, i curdi sono stati i primi partecipanti a questa lotta insieme al popolo siriano. Muslim afferma che i curdi e le organizzazioni democratiche arabe avevano concordato che “La rivoluzione siriana dovesse rimanere pacifica e che ci saremmo impadroniti dei nostri diritti tramite mezzi democratici, con la preservazione dell’autodifesa pubblica fino a giungere ad una completa disobbedienza civile. Dobbiamo evitare la rivoluzione armata in qualsiasi circostanza.” Il PYD ha aderito alla “Corporazione Nazionale di Coordinamento per le Forze di Cambiamento Democratico” e messo in atto nel 2007 il progetto “Autonomia Democratica”. I partner arabi del popolo curdo però non sono stati capaci di organizzare la popolazione e di controllare la situazione, permettendo così al regime ed ai vari interventi esterni di deviare il percorso pacifico della rivoluzione portandola ad armarsi.

Muslim, in un’intervista del giornalista Lorenzo Giroffi rilasciata il 9 dicembre 2012 a Bruxelles ad una conferenza al Parlamento Europeo e riportata nel sito “First Line Press”, ha dichiarato: “Sappiamo che non possiamo fidarci del regime e che la sua ritirata dai territori abitati e controllati dai curdi non è un segnale di collaborazione, ma solo frutto d’interessi, perché per Assad oggi sarebbe dispendioso aprire un fronte anche contro i curdi siriani. Inoltre il regime conosce bene la composizione delle nostre formazioni. Noi non ospitiamo estremisti islamici o mercenari dalla Turchia, anche per questo ci lascia perdere. Noi siamo una parte del popolo siriano, il quindici per cento di tutta la popolazione. Personalmente mi auguro che quando finalmente cadrà il regime potremo osservare comunque una Siria unita. Di federazioni o confederazioni ne parleremo quando tutti i partiti siriani saranno eletti democraticamente. Io vorrei che i curdi in Siria fossero culturalmente (con libertà di uso della propria lingua) ed amministrativamente autonomi, ma comunque parte del Paese. In tutto questo processo di democratizzazione però il PYD si tiene assolutamente lontano dall’esercito di liberazione e non sono un caso gli scontri con esso. Alcune loro milizie arrivano nel nostro territorio urlando di voler liberare il territorio dalle truppe del regime, ma le nostre zone sono già libere: ci siamo noi. L’esercito di liberazione vuole intromettersi, ma noi abbiamo già il controllo. In qualche modo ci siamo già sbarazzati del regime, senza l’intromissione di milizie di estremisti islamici, come invece è composto l’esercito dei ribelli. Noi siamo stati sempre contrari al tipo di lotta armata al regime proposta dall’esercito di liberazione ed anche alla chiamata dell’intervento internazionale. Siamo a favore della gestione diretta del territorio ed alla protezione del suo popolo. Siamo curdi siriani, quindi non abbiamo relazioni politiche, ma solo di amicizia, con gli altri partiti Kurdistan iraniano, iracheno e turco. Naturalmente le idee di Abdullah Öcalan  hanno ispirato anche il PYD, però poi il nostro programma e le nostre linee sono state modellate in altra maniera. La cosa imprescindibile per noi sono solo i diritti dei curdi”.

I termini esatti dei colloqui tra Ocalan e il governo turco rimangono tuttavia nascosti e non si sa quali possono essere le concessioni che Erdogan è disposto a concedere. Il partito AKP di Erdogan vuole raggiungere l’approvazione dell’emendamento alla costituzione che prevede un sistema presidenziale. Per questo ha bisogno anche dell’appoggio del partito curdo del BDP. Ocalan sembra favorevole a questo cambiamento della carta e, se il governo turco si dimostrasse disponibile a voler discutere sulla questione di una nuova definizione di cittadinanza che comprenda anche l’identità curda, sul riconoscimento del curdo come seconda lingua e l’istituzione di parlamenti regionali, allora forse la fine del conflitto potrebbe terminare veramente. La Turchia ha bisogno di risolvere la questione curda anche perché aspira, per le nuove situazioni politiche venutesi a creare con le Primavere Arabe, ad essere la nuova leadership regionale. Riconoscere quindi i diritti ai curdi significherebbe fare un passo avanti verso la pace nazionale e la democrazia ottenendo così anche una maggiore legittimazione a livello internazionale. Erdogan, inoltre, intende candidarsi alle prossime elezioni del 2014 per la Presidenza della Repubblica, le prime a suffragio diretto, presentandosi con la vittoria storica personale dell’accordo con il PKK.  Erdogan, oltre alla Presidenza, sente anche l’odore del prossimo Nobel per la pace. Il segretario generale del Consiglio d’Europa, Presidente del Comitato Nobel, il norvegese Thorbjiorn Jagland, infatti, ha ventilato l’ipotesi che il Nobel per la pace 2013 potrebbe andare al Premier turco se riuscisse a trovare una soluzione politica al conflitto curdo. Erdogan, quindi, se le trattative in corso con Ocalan avranno un esito positivo, potrà essere un candidato valido al Nobel.

La strada da percorrere è però molto lunga e difficile, occorre essere molto cauti e prudenti. Per esempio, il primo aprile scorso è scaduto il termite dato alla “Commissione di conciliazione costituzionale”, formata da tre rappresentanti per ognuno dei quattro partiti presenti oggi in parlamento, per presentare una bozza relativa alla nuova legge. Il motivo è dato dalle grandi divergenze sulla forma istituzionale che si vuole dare alla nuova Turchia. Sostituire l’attuale costituzione formata dai militari dopo il colpo di stato del 1980 con una nuova più aperta e dinamica, non è certo facile. La difficoltà di mettere d’accordo le varie parti è su come cambiarla e non sulla necessità di doverlo fare. Scaduto il termine, le forze politiche devono trovare una via d’uscita. Erdogan, per uscire da questo blocco d’arresto, non esclude l’uso del referendum popolare sulla bozza preparata dal suo partito, l’AKP e, il 29 marzo ha dichiarato che “Dobbiamo pensare a piani alternativi. Cercheremo un accordo con il Partito Repubblicano del popolo o con il Partito di azione nazionalista. Se non troviamo un accordo, andremo al referendum”. I partiti d’opposizione sono naturalmente insorti a questa proposta ed hanno accusato Erdogan di volerli escludere dalla scrittura della nuova costituzione e di voler invece imporre la sua visione. Mentre le scadenze elettorali si avvicinano (amministrative marzo 2014, presidenziali giugno 2014, parlamentari 2015), le differenze che dividono le varie forze politiche, rimangono.  Su 125 articoli esaminati, solo 30 sono stati “licenziati” con il consenso di tutti, per gli altri 95 invece restano i contrasti.

Il Presidente del Consiglio Esecutivo dell’Unione delle Comunità curde (KCK), Murat Karayilan in una conferenza stampa ha affermato che il ritiro dei guerriglieri curdi oltre i confini turchi comincerà l’8 maggio e che sarà fermato in caso di attacchi o operazioni da parte dell’esercito turco. Karayilan ha inoltre sottolineato che saranno organizzate quattro conferenze che si terranno in Kurdistan settentrionale, in Turchia, in Europa e a Hewler nell’ambito del processo in corso per una soluzione pacifica della questione curda ed ha dichiarato che “Portare a compimento questo passo storico che permetterà una soluzione della questione curda, condurrà la pace in Turchia ed aprirà la strada per quella in Medio Oriente non è solo il nostro obiettivo finale, ma anche quello di chiunque sia dalla parte della pace, della fratellanza, della democrazia e della libertà”.  L’Associazione per i Diritti Umani (IHD) ha realizzato una commissione per monitorare il processo di ritiro del PKK iniziato l’8 maggio. Si vuole tenere sotto controllo il ritiro dai confini turchi, i probabili scontri armati, le attività dei gruppi di guardie di villaggio temporanee e permanenti, dei battaglioni, delle brigate e delle squadre per le operazioni speciali, le attività presso le postazioni militari di confine, le zone minate ed i villaggi evacuati negli anni ’90 nelle regioni orientali e sud orientali della Turchia. Il Presidente dell’IHD Ozturk Turkdogan ha affermato che la creazione di una commissione indipendente è stata una decisione dell’IHD per poter dare un contributo in questa fase: “In qualità d’istituzione con esperienza in attività sulle violazioni dei diritti umani nella regione curda e familiare con i comportamenti delle parti turche e curde, la nostra associazione ritiene utile monitorare nel modo più efficace possibile il processo di ritiro”.

La nostra delegazione italiana, oltre al Newroz di Diyarbakir, ha partecipato anche al Newroz di Semdinli e Yuksekova il 19 e 20 marzo scorso.

Semdinli è una sperduta cittadina di montagna, situata nella provincia di Akkari del sud-est della Turchia e, per la sua posizione strategica ai confini tra Iran e Iraq, è controllata da una notevole e visibile presenza militare. Qui, 29 anni fa è nata la resistenza curda. Dal 23 luglio 2012 all’11 agosto a Semdinli le forze di sicurezza turche hanno iniziato una grande offensiva, sostenuta da forze aeree, contro il PKK, uccidendo 115 combattenti. L’Agenzia di stampa curda (ANF) di Semdinli, il 18 aprile scorso ha riportato la notizia che nel distretto continuano le attività militari dell’esercito turco: sempre più soldati e veicoli militari sono dispiegati in loco. Due elicotteri di tipo Cobra, decollati da Yuksekova, avrebbero effettuato una ricognizione aerea nelle aeree presso il confine con il Kurdistan Federale, dopo di ché alcuni elicotteri di tipo Skorsky sono atterrati a Semdinli trasportando numerose unità di soldati alle basi militari di Gevriyazine e Xarane, ed inoltre è arrivato anche un convoglio di venti veicoli militari. L’esercito turco si sta forse preparando a ricevere il ritiro dei guerriglieri previsto per l’8 maggio?

La nostra delegazione il 19 marzo, dopo un breve viaggio da Yuksekova tra le alte montagne piene di neve, è arrivata in una vasta spianata dove erano già iniziati i festeggiamenti. Superati i posti di blocco della polizia siamo finalmente entrati nella festa dove siamo stati accolti con il consueto calore del popolo curdo. Lo striscione con il quale ci siamo presentati portava i nomi delle tre compagne curde assassinate a Parigi il 9 gennaio scorso: “Sakine, Fidan e Leyla, loro vivranno sempre nei nostri cuori”. L’avvocato Simonetta Crisci della delegazione italiana, invitata dall’organizzazione, è salita sul palco portando i saluti degli italiani venuti in Kurdistan per festeggiare il Newroz con il suo popolo, comunicando anche l’avvenuta espulsione del responsabile dell’associazione “Verso il Kurdistan”, Antonio Olivieri. La festa tra danze, canti ed interventi di rappresentanti del partito BDP si è poi conclusa nel primo pomeriggio.

Lasciamo Semdinli per ritornare a Yuksekova dove il giorno dopo parteciperemo al Newroz. Quest’anno tutte le città del Kurdistan hanno anticipato le date dei festeggiamenti proprio per permettere a tutti di raggiungere il grande Newroz di Diyarbakir per poter ascoltare la lettura della lettera di Ocalan. La mattina del 20 marzo, lasciato l’albergo, cominciamo a percorrere le strade di Yuksekova insieme ad una moltitudine sempre più crescente di persone per raggiungere il luogo della festa.  La giornata è serena, l’aria è tiepida e l’atmosfera felice. Per l’occasione, le donne indossano i loro coloratissimi vestiti, sono truccate, hanno adornato i capelli con fasce con i colori della loro bandiera, rosso, giallo e verde o con foulard neri o colorati con treccine o fiocchi. Gli uomini, ragazzi, ragazze e bambini vestono quasi tutti la loro tradizionale divisa verde oliva con una larga fascia colorata in vita. Tutti salutano gioiosi con le mani alzate verso il cielo con le dita aperte a “V” in segno di Vittoria. La nostra delegazione, dopo aver superato i consueti controlli da parte della polizia, è accolta dagli applausi di tutte le persone presenti, è difficile sapere esattamente la quantità, ma certamente oscilla da 20.000 a 40.000 presenze. Attraversiamo a fatica tutta la folla nella piazza fino ad arrivare al palco dove l’avvocato Simonetta Crisci si rivolge al popolo curdo rinnovando il saluto della nostra delegazione e la speranza di una vittoria non troppo lontana. Tra canti, balli, applausi, slogan urlati trascorriamo una bella giornata con persone che ci sorridono e ci ringraziano per il semplice fatto di essere lì con loro. Tutti chiedono una foto o desiderano farsi fotografare con noi. Un’enorme gigantografia di Ocalan ricopre un’intera facciata di un palazzo, altri manifesti appesi ai muri oppure alle reti di protezioni, cartelli che chiedono la fine delle operazioni militari, bandiere curde, bandiere con l’immagine di Ocalan e tanti palloncini colorati, creano la calda atmosfera di tutta la festa. Oltre a tutto questo, ho un ricordo molto particolare di questa giornata che mi ha commosso.

Mi trovo a girare con la mia reflex nello spazio dietro al palco osservando le persone che sedute a terra ascoltano la musica, le canzoni, le voci trasmesse dagli altoparlanti. Vedo un uomo seduto a terra con la moglie che mi fa un cenno con la mano come se chiedesse di avvicinarmi. Lo raggiungo e inizia a parlarmi battendosi il petto con le mani. Non capisco e quindi sono costretta a chiedere aiuto a Lerzan, nostra guida e interprete.  Questo vecchio signore dal viso segnato dal tempo e dalla sofferenza mi ringrazia per essere qui con lui a festeggiare il Newroz: lui è per la libertà e la pace di tutti i popoli. Sua moglie racconta che ha perso un figlio, è martire, ma, purtroppo, non ha avuto il suo corpo, non è mai stato trovato. Non vogliono che altri possano subire quello che loro stessi hanno subito. Sperano nel nostro aiuto. Mi stringono la mano e mi salutano lasciandosi fotografare con le mani in alto in segno di vittoria. Mi allontano. I loro volti semplici e forti, nello stesso tempo dignitosi nella loro sofferenza, perché sono dalla parte giusta, mi accompagneranno per sempre.

(2° parte)

PROGETTO BERFIN (Bucaneve) è il simbolo della vita e della speranza, rappresenta il passaggio da uno stato di dolore ad un inizio di una nuova vita.

LA MUNICIPALITA’ DI YUKSEKOVA un distretto della provincia turca di Hakkari, vicino al confine con l’Iran.

COOPERATIVA “GEVER” , Una cooperativa di donne per avere un ruolo importante e lo possono fare solo attraverso l’istruzione, il lavoro e la loro indipendenza.

Il bucaneve, piccolo fiore color bianco crema, semplice e discreto, annuncia l’inizio della primavera. Per questo è conosciuto anche con il nome di “stella del mattino” ed è il simbolo della vita e della speranza. Una leggenda racconta che Adamo ed Eva, cacciati dal Paradiso Terrestre, furono trasportati a vivere in un luogo gelido e buio, dove era sempre inverno. Eva, presa dallo sconforto e dal rimpianto, non accettava di dover vivere in quelle condizioni. Un angelo ebbe compassione di lei e, prese un pugno di fiocchi di neve, vi soffiò ed ordinò che si trasformassero in boccioli. Eva, alla vista dei bucaneve, prese forza e si rianimò. Il bucaneve, grazie alla sua capacità di sbucare dal freddo della neve, rappresenta il passaggio da uno stato di dolore ad un inizio di una nuova vita, anche per il dolce profumo, simile a quello del miele che emana, una volta sbocciato.

Per questo motivo, l’associazione “Verso il Kurdistan”, ha chiamato il progetto delle borse di studio rivolto alle ragazze curde con il nome di “Berfin”, che significa appunto “Bucaneve”.  Lo scopo è quello di offrire a queste giovani ragazze, attraverso un’adeguata istruzione, una prospettiva di vita diversa da quell’imposta dalla loro tradizione. Le loro storie, infatti, racchiudono un mondo povero, austero, attraversato da brutture, sofferenze, repressione e violenza.

La prima tappa (18 marzo) del nostro gruppo la “Delegazione di Van” è nella città di Van, tra alte montagne innevate a quota 2200metri sulle sponde dell’omonimo lago, per incontrare il Presidente dell’associazione Tuyad Der, Ahmed Aygun.

Abbiamo incontrato una sola bambina, S.K. accompagnata da sua madre. S.K. ha superato gli esami, frequenta l’ottava classe (corrisponde alla terza media italiana) con una media scolastica di 85 su 100. Il suo desiderio da grande è fare l’avvocato. Racconta che suo padre è stato per 8 mesi in prigione ed ora si trova sulle montagne con i guerriglieri, ha quattro fratelli, due maschi e due femmine. L’unica fonte di reddito della famiglia proviene dal lavoro del fratello maggiore. Entrambe le sorelle vanno a scuola, frequentano l’una il liceo e l’altra la sesta classe. La scuola di S.K.deve essere ristrutturata a causa del terremoto del 23 ottobre 2011 e, per questo motivo è costretta ad andare a lezione di pomeriggio in un’altra scuola.  Il Presidente termina l’incontro rispondendo alle nostre domande riguardanti la situazione di Van dopo il terremoto: non ci sono più le tende e gli ospedali sono tornati ad essere funzionanti. Le persone che vivevano in case in affitto sono ancora nei container installati dal governo turco, mentre ai proprietari sono state consegnate case nuove o ristrutturate. La municipalità di Van aveva invece costruito dei prefabbricati, dove ancora per due anni risiederanno alcune famiglie nell’attesa di ricevere una nuova casa. Il sindaco di Van è ancora in carcere, ma non per questo i lavori di ristrutturazione si sono fermati, come lo dimostrano le strade ritornate ad essere praticabili. Consegniamo, infine, il corrispettivo di dodici borse di studio per le ragazze di questa città tra le montagne con l’augurio di vedere realizzati i loro sogni.

Prima di lasciare la città, ci fermiamo per una breve escursione al Lago di Van, il più grande della Turchia, vicino al confine iraniano. Il lago si è formato da un cratere causato dall’esplosione vulcanica del monte Nemrud (ultima eruzione nel 1440 d.C.). L’acqua è molto alcalina e ricca di carbonato di sodio ed altri sali, i quali sono estratti, tramite evaporazione, ed usati come detergenti. Il lago è alimentato dalle piogge, dall’acqua della fusione di ghiaccio e da piccoli fiumi delle montagne circostanti. Le minacce principali per il lago sono l’inquinamento causato dalla rete fognaria delle città circostanti e l’erosione terrestre. Il lago di Van è il più grande lago salato del mondo, nelle cui acque vivono 103 specie di fitoplacton e 36 di zooplacton, ma una sola specie di pesce, chiamata “la Perla della triglia” o Inci Kefali. Sul lago ci sono quattro piccole isole, la più importante si trova a 41 km. a sud-ovest, mezz’ora dalla sponda, ed è l’isola di Akdamar, dove si trova la splendida Chiesa armena della Sacra Croce del X secolo, ora trasformata in museo. Sulle mura esterne di questo monumento si trovano riccamente scolpite scene e personaggi del Vecchio Testamento. Van è quindi un importante luogo turistico, dove è possibile assaporare tutte le quattro stagioni con i loro diversi climi e vivere la tradizione locale insieme alla bellezza naturale di questa parte sperduta della Turchia.

YUKSEKOVA

Lasciamo le alte montagne di Van e raggiungiamo la città di Yuksekova, un distretto della provincia turca di Hakkari, vicino al confine con l’Iran. Data la sua posizione, qui si sono spesso incrociate carovane di mercanti. La popolazione è in maggioranza curda.

Incontriamo, come lo scorso anno, il sindaco Erkan Bora, che sostituisce la sindaca Ruken Yetiskin. Ruken è stata costretta a lasciare l’incarico a seguito del noto processo KCK, per il quale ha avuto una condanna di un anno e mezzo.  E’ ritornata così, per la seconda volta, in carcere.  Ora però è libera. Vive a Yuksekova ed ha presentato ricorso alla sentenza di condanna, presso il tribunale d’Istanbul, per essere reintegrata nella sua carica di sindaco. Ruken era stata, una prima volta, condannata a sei anni di carcere per la sua militanza dentro il partito curdo BDP, ma poi aveva fatto solo un anno e mezzo di prigione.  Il sindaco Bora fa presente che quest’anno sono caduti oltre 2 metri di neve e, per mancanza d’infrastrutture, molti villaggi ora sono sott’acqua. Yuksekova però non è in difficoltà solo per gli effetti del clima, ma, soprattutto, a causa della violenza delle continue operazioni da parte della polizia. In questa regione, tra il 2011 e 2012, c’è stata molta repressione da parte del governo turco, anche a causa del processo KCK, con molti arresti. Sono state arrestate, per esempio solo a Yuksekova, 400 persone, per lo più giovani appartenenti alla sezione della gioventù del partito BDP, tutt’ora in carcere. Il KCK (Unione delle Comunità Curde) è un’organizzazione formata da esponenti politici, attivisti, avvocati, nata nel 2005, per la difesa dei diritti della popolazione curda in Turchia, con l’obiettivo di creare anche una coscienza politica collettiva su tale questione.  Il processo KCK, afferma ancora il sindaco, non ha senso, questo è stato ed è solo una scusa per poter arrestare molte persone. Il governo turco ha lanciato ‘l’operazione Kck’ nel 2009, subito dopo il grande successo politico ottenuto dal partito filo curdo BDP nelle elezioni amministrative di quell’anno, con l’accusa di essere il braccio civile del Pkk. Tutto questo ha portato ad una forte repressione da parte della polizia turca, specialmente a Semdinli e Yuksekova, attraverso violente perquisizioni domiciliari e all’arresto di moltissimi rappresentanti politici curdi, tutti regolarmente eletti. Dunque, un pretesto per riuscire ad annientare la dirigenza politica ed amministrativa del popolo curdo. Il sindaco Bora continua la sua esposizione, raccontandoci di un altro nuovo processo attualmente in corso: quello della pace iniziato da Abdullah Öcalan.  Il vice presidente del BDP e due deputati hanno incontrato Ocalan nell’isola d’Imrali, dove è detenuto dal 1999, per discutere su come e cosa fare in questo processo di pace. Il governo turco ha finalmente capito che deve parlare con Ocalan se vuole arrivare veramente ad un accordo, poiché Ocalan è ancora considerato il capo indiscusso del popolo curdo. In questa sede, apprendiamo che Ocalan ha inviato tre lettere, una ai curdi in Europa, una ai guerriglieri sui monti Kandill e l’altra al partito BDP. Il 21 marzo durante il Newroz di Diyarbakir, un deputato leggerà il messaggio di Ocalan. Il sindaco, infine, rispondendo ad una nostra domanda in merito alle richieste del partito BDP al governo turco, afferma che ci sono due messaggi: uno è per la libertà di Ocalan e l’altro è per uno statuto ai curdi. Statuto che significa avere un’identità curda, un riconoscimento e la libertà della lingua. Al momento, il governo turco ha accettato che i curdi possono difendersi in tribunale usando la loro lingua, ma dietro il pagamento di 50 lire l’ora.

Interviene nella discussione sull’attuale fase delle trattative di pace, il Presidente del partito BDP di Yuksekova, Naid Durmaz, che senza tanti giri di parole, afferma che il governo turco ha, da sempre, raccontato solo bugie, che parlava di pace, mentre invece usava le armi, per questo non è possibile credere alle sue parole. Durmaz dice che hanno fiducia solo nel loro presidente: “Il presidente ha affermato che ci sarà la pace e loro, accettano, ma, deporre le armi non è accettabile, perché rappresentano una garanzia per il popolo curdo. I guerriglieri potranno deporre le armi soltanto se ci saranno delle prove di una vera pace e la libertà per Ocalan”.  Il presidente prosegue dichiarando che nel 2012, lo Stato turco insieme allo Stato d’Israele, Stati Uniti d’America e Stati europei hanno bombardato i guerriglieri sulle montagne, ma la guerriglia ha reagito. Ha attaccato caserme, ponti, ha voluto, in questo modo, mostrare tutta la sua forza: può rispondere agli attacchi nemici, può fare una guerra e può prendere, sotto la sua autonomia, delle regioni, come ha fatto con quella di Semdinli. Inoltre, i guerriglieri hanno l’appoggio del popolo curdo attraverso anche la creazione di una milizia locale di difesa. Oggi, vista la forza della guerriglia, l’esercito turco si è ritirato. Erdogan ha iniziato a parlare di una politica verso la pace, anche se, per il momento, il popolo curdo non ha una piena fiducia ed è in attesa di verificare gli sviluppi di questa trattativa in corso. Durmaz, infine, risponde all’ultima domanda che riguarda la situazione odierna della regione. Afferma che non condividono e capiscono il modo d’agire dell’Iran che si dimostra di non essere un vero stato, portando l’esempio della forte autorità e potere che ha un comandante dell’esercito. Il discorso poi scivola verso la Siria. Lo Stato turco sostiene i ribelli ed invia i suoi stessi banditi, come per esempio ‘i lupi grigi’ contro Assad. Il popolo curdo non sostiene né lo stato turco e né quello di Assad. La Turchia per combattere i guerriglieri si è appoggiata anche ad Israele. Tra i due paesi c’è sempre stato un buon rapporto, anche se negli ultimi anni hanno avuto parecchi disaccordi su varie questioni. Nonostante questo la cooperazione militare ed economica, avviata nel 1996, non è stata messa in discussione. A quell’epoca, infatti, i due paesi avevano firmato un’accordo di cooperazione militare che prevedeva il trasferimento di tecnologie, operazioni navali, addestramenti congiunti con l’utilizzo anche dello spazio aereo turco e la base militare di Konya in Anatolia centrale. Nella prima metà degli anni novanta sono stati più importanti gli aspetti economici (Israele compra l’acqua dalla Turchia), mentre nella seconda metà quelli di carattere militare e di sicurezza. L’incontro è terminato e lasciamo il sindaco ed il presidente di Yuksekova con un arrivederci. Ci rivedremo al Newroz di Semdinli, Yuksekova e forse anche a Diyarbakir.

ASSOCIAZIONE MEYA-DER

L’associazione Meya-Der si trova all’interno della sede del Partito della Pace e della Democrazia (BDP) sopra il bazar della città.  L’atmosfera che si avverte per le strade è già quella che precede un grande giorno di festa. Mentre cammino, guardo la gente che si muove in fretta, quasi concitata, ma c’è anche chi rimane seduto su un cartone o un gradino a sorseggiare con calma il suo thè. Chissà perché, in questo momento, mi torna alla mente la poesia, studiata alle elementari, di Giacomo Leopardi “Il sabato del villaggio”? Forse perché oggi, qui i è come se fosse ‘sabato’, il giorno che simboleggia l’attesa di qualcosa di più piacevole, di una speranza, l’assenza di dolore. Spero solo che non sia l’illusione di Leopardi destinata ad essere delusa, ma che sia veramente l’inizio di un nuovo capitolo di storia.

Il responsabile dell’associazione per i territori di Yuksekova, Semdinli e Hakkari, Sabullah Duzen ci presenta le bambine che partecipano alla consegna delle borse di studio, nell’ambito del progetto “Berfin”. L’associazione, inoltre sollecita la richiesta di nuove borse di studio per altre dieci bambine. La situazione in questa provincia è molto pesante, le città sono molto povere e senza nessuna risorsa. Purtroppo non siamo in grado di offrire delle garanzie, in merito a questa nuova richiesta,  per la condizione molto critica in cui si trova l’Italia in questo momento.

Conosciamo Nedine, molto brava a scuola che vuole diventare avvocato, così come Irem e Narine, mentre, Ividar preferisce la professione di medico.

Entra, alla fine della riunione, quasi in punta di piedi, la più piccola, Avaschir, che significa “Acqua blu”, frequenta la seconda elementare e vuole diventare medico. Suo padre e sua sorella sono in montagna, mentre un’altra sorella è morta a causa di un incidente elettrico. Dobbiamo andare a Semdinli per partecipare al Newroz, ma domani saremo ancora con loro a festeggiare il loro Newroz. Buon sabato del villaggio!

COOPERATIVA DI DONNE  “GEVER”

Il Newroz di Semdinli è terminato e siamo di nuovo a Yuksekova. Incontriamo, per la prima volta, una cooperativa gestita da giovani donne che si chiama come il nome curdo della città di Yuksekova, “Gever”. La cooperativa esiste da tre anni, ma è operativa solo da 8 mesi. La prima attività era rivolta alla produzione ed alla vendita di tulipani. Oggi, invece, si dedicano alla produzione e vendita di yogurt. La cooperativa è stata costituita da sette donne.  Ora, invece sono un gruppo di venti perché così hanno potuto presentare un progetto al Ministero dell’Agricoltura. La loro idea è quella di iniziare un lavoro per la trasformazione di vari prodotti caseari con l’obiettivo di riuscire ad offrire, in prospettiva, un impiego ad almeno un centinaio di donne.

Il Ministero ha risposto positivamente in merito a questo progetto, assicurando anche la costruzione di una fabbrica, i cui lavori dovranno iniziare nel prossimo mese di aprile. In autunno la fabbrica dovrebbe iniziare la sua attività. Poiché le difficoltà sono numerose hanno naturalmente chiesto il nostro aiuto, ma, purtroppo non siamo stati in grado, all’istante, di dare nessuna rassicurazione in merito. Speriamo in un prossimo futuro… Le donne, in questa regione, sono molto oppresse e, per questo, sottolinea una delle fondatrici della cooperativa, attraverso il lavoro, vogliono rendere le donne curde più forti ed indipendenti. Il progetto “Berfin”, quindi, aiutando le ragazze a studiare, a sviluppare una conoscenza, può certamente essere parte integrante di quest’obiettivo. L’ex sindaca di Yuksekova, Ruken Yetiskin le ha consigliate ed indirizzate a compiere la scelta di mettersi insieme, di creare la cooperativa, perchè solo in questo modo potevano avere la possibilità di concretizzare i loro sogni. Le ragazze, inoltre, hanno anche seguito le indicazioni del loro Presidente Ocalan che, dal suo isolamento, ha sempre sollecitato le donne curde di uscire dal ruolo di subordinazione all’interno della loro società.  Considerando che la donna curda è religiosa e, che spesso, il partito usa la stessa religione per dominarle e sottometterle negando loro così la libertà di scegliere per se stesse, hanno paura di poter subire questa repressione con il pericolo di dover condividere la stessa sorte, per esempio, delle donne iraniane. Per questo motivo, sentono la necessità di dover avere un ruolo importante e lo possono fare solo attraverso l’istruzione, il lavoro e la loro indipendenza.

(3° parte)

DIYARBAKIR: MADRI DELLA PACE e TUHAD FED, associazioni che si occupano di madri e famiglie che hanno perso o che hanno in carcere mariti, figli, padri, fratelli o sorelle.

Lasciati i festeggiamenti del Newroz, siamo ancora a Diyarbakir per gli ultimi due appuntamenti molto importanti.

Diyarbakir è una grande città in movimento piena d’energia, simbolo dell’identità e della tenacia del popolo curdo. E’ una città storica con monumenti, antiche case costruite in basalto nero ed ornate con decorazioni a stampo su pietra, moschee in stile arabo ed un imponente cerchia di mura che si snoda per quasi 6 km, con numerosi bastioni e torri.

Incontriamo le Madri della Pace nella sede della loro associazione. Ci accolgono sorridenti, sono tante, di tutte l’età e tutte portano sul capo un gran foulard bianco che ci ricorda subito altre Madri, quelle della Plaza de Mayo in Argentina. L’incontro con queste donne è emozionante. La “questione Donna” è un argomento molto sentito all’interno della nostra delegazione. Oltre all’associazione Alkemia, infatti, c’è l’avvocato Simonetta Crisci che fa parte della Casa internazionale delle donne a Roma e la giornalista Emanuela Irace che scrive per la rivista “Noi Donne”, un mensile di politica e cultura fondato nel 1944. L’associazione “Verso il Kurdistan”, da oltre dieci anni, prosegue un progetto di sostegno a distanza di queste donne, offrendo loro l’opportunità di poter continuare ad avere una vita dignitosa, in mancanza di mezzi di sostentamento.

Le Madri della Pace sono donne adulte, sono le madri dei detenuti, dei guerriglieri, dei rifugiati, dei martiri. Le loro vite sono spezzate, non per questo, però, sono rimaste immobili e mute. (vedi Madri della Pace – 2012)

Organizzate in associazioni, a Diyarbakir, Van e Istanbul, sono riuscite a trasformare il loro dolore in forza, diventando protagoniste di molte iniziative, sit-in e lotta per i diritti umani, per la pace e la democrazia. Ogni anno organizzano un congresso per decidere insieme nuove strategie e confrontarsi sui vari problemi e situazioni.

In un appello del 2002, le Madri sostenevano “Vogliamo costruire un futuro di pace e libertà per le future generazioni” Nell’appello precisavano inoltre le loro richieste: “Apertura di un dialogo di pace, amnistia generale per i prigionieri politici, abolizione della pena di morte, delle leggi d’emergenza, scioglimento delle formazioni paramilitari dei “guardiani di villaggio”, diritto al ritorno dei profughi e alla ricostruzione, istruzione nella lingua madre, e un nuovo patto costituzionale di cittadinanza che garantisca pluralismo culturale e piena libertà d’espressione e di pensiero.”

La ragione della loro battaglia non violenta è rivolta alla riconciliazione tra il popolo curdo ed il governo turco. Da sempre cercano di portare all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale gli scopi delle loro azioni. Per questo raccontare le loro storie è importante, perché Raccontare significa “Esistere”.

Nonostante la sofferenza che traspare dai loro visi segnati dal tempo e dal dolore, sono donne serene e fiere di se stesse. Non hanno più paura, hanno visto la morte e la disperazione troppe volte per temere ancora la vita. Sono sedute intorno a noi, pronte a raccontare le loro storie senza versare nessuna lacrima.

Husinè Guler ha 75 anni ed ha sei figli.  Descrive l’angoscia che la tormenta ogni giorno da 15 anni nell’attesa di ricevere qualche notizia sulla sorte di uno dei suoi figli, andato in montagna a combattere. Un altro figlio e suo marito di 80 anni sono stati condannati alla pena massima, 36 anni di carcere, arrestati, forse, durante un’operazione militare o in uno scontro armato. Il figlio ha già scontato 11 anni, mentre il marito 20. Husinè proviene da un villaggio vicino a Diyarbakir che fu bruciato dall’esercito. Oggi vive qui a Diyarbakir con due figli.

Serine Unat, ha dieci figli.  Non ha notizie di un figlio da 21 anni. Era uno studente di medicina. Gli mancavano solo 6 mesi dalla laurea, ma questo non gli ha impedito di partire per andare a combattere in montagna. Durante una perquisizione avvenuta nell’abitazione, suo marito è stato colpito violentemente alla testa dal calcio di una pistola da un militare dell’esercito turco. Dopo pochi mesi è deceduto. Da 50 anni vive a Diyarbakir. Ha dovuto lasciare il suo villaggio a causa della violenza dei “guardiani del villaggio”.

Nafiye Vigit, ha 5 figli: uno in carcere e due si nascondono, in quanto sono ricercati. Uno di questi era uno studente della facoltà di medicina al terzo anno. Suo marito è malato di cancro.

Leyla Astan ha perso il marito, quando aveva 25 anni in un incidente d’auto ed ha 4 figli. Ha trascorso la sua giovane vita fuggendo da un villaggio all’altro. Prima, per il suo villaggio dato alle fiamme e poi, di nuovo, a causa di una denuncia fatta alla polizia da un vicino di casa.

“La sua famiglia – dice – era ricercata”. E’ stata quindi costretta a trasferirsi a Diyarbakir. Suo fratello era il Presidente del partito DEP (ora BDP) a Batman. E’ stato ucciso in un agguato al mercato. E’ stata un’esecuzione eseguita dallo Stato. Leyla vive con un figlio, mentre gli altri sono sposati. La sua sofferenza però non ha fine. Ora il suo dolore è per i nipoti. Il figlio di suo cognato, studente di medicina, ha dovuto abbandonare gli studi a causa della continua oppressione della polizia. Arrestato più volte e torturato, ha scelto la strada della montagna. E’ diventato martire. I suoi familiari però non hanno mai avuto il suo corpo. Un altro cognato è stato ucciso nella sua auto, una notte, nel 1993, mentre rientrava a casa, in un agguato in un villaggio nel distretto di Batman.  Lasciava tre figli piccoli.

Sultan Aksoy. Nel 1993 uno dei suoi figli è stato ferito, arrestato e torturato. E’ rimasto invalido. Nel 1994 è stato ucciso. Altri due figli hanno fatto 3 anni di carcere. La voce di Sultan, a questo punto, s’incrina, trattiene le lacrime, mentre racconta: ” I poliziotti hanno perquisito la nostra casa, con molta violenza, per tre volte, ma non siamo stati arrestati”. Sultan abitava in un paese vicino a Mardin. Il Governo turco, dietro minacce di morte, ha obbligato la sua famiglia ad abbandonare il villaggio. Sono stati quindi espulsi e si sono poi trasferiti a Gaziantep.

Sultan, guardandoci negli occhi, termina così il suo racconto: “Dopo tutta questa sofferenza, noi offriamo ugualmente la nostra mano per la pace”.

L’ultima donna che vuole lasciare la sua testimonianza è Karain. Ha sei figli: uno, martire; uno, scomparso da 21 anni ed un altro che vive in Europa, dove si è trasferito dopo la sua scarcerazione.  Era un guerrigliero. Karain è di Diyarbakir e vive con due figlie. Suo marito è morto sotto tortura. L’ultima figlia, Fatma, è stata uccisa un anno fa. Era con un gruppo di 15 guerriglieri. L’esercito turco ha usato contro di loro armi chimiche. Fatma aveva 23 anni. Karain ci fa vedere, orgogliosa ma triste, la fotografia della figlia ritagliata da un giornale.

Ascoltare le storie di queste Madri ci fa capire l’importanza di questi racconti. È sempre doloroso dover ricordare, ripercorrere momenti tristi, sofferti, ma è indispensabile per far capire cosa c’è dietro l’Associazione delle “Madri della Pace”. E’ questo il messaggio che, la delegazione italiana “Verso il Kurdistan” , rivolge a queste donne coraggiose. Questo deve essere il nostro impegno. Dobbiamo far conoscere a chi ci circonda, al mondo che è fuori di qui, chi sono queste donne, cosa e come hanno vissuto, cosa hanno patito e cosa, invece, oggi sono in grado di fare. Le Madri della Pace vanno in ogni luogo dove si svolgono azioni, iniziative, interventi per impedire disordini o scontri. Sono gli scudi umani del popolo curdo. Sono state in montagna sotto la pioggia e la neve, niente, le può fermare. La loro è la battaglia per la pace. In merito al discorso di Ocalan, hanno di nuovo ripetuto che loro pregano per la pace, sono pronte per la pace, ma “Aspettiamo un passo in avanti da parte del nostro governo turco”, hanno così concluso la nostra domanda.

Ci troviamo ora nella sede di Tuhad Fed, federazione formata dai familiari dei detenuti del PKK e KCK. L’associazione è stata fondata nei primi anni novanta, mentre la federazione negli anni 2000.

La federazione è composta da 9 associazioni e 2 uffici di rappresentanza. Sono responsabili di 10 mila detenuti e 82 carceri. Il loro scopo è quello di sostenere le necessità sia dei detenuti e sia delle loro famiglie, dare sostegno giuridico e denunciare le violazioni dei diritti umani. La responsabile di Tuhad Fed dichiara: “ Siamo un’associazione per i diritti umani, non politica, siamo i portavoce dei detenuti, lottiamo anche per la libertà di Abdullah Ocalan e denunciamo le sue cattive condizioni carcerarie”. Ogni anno, il 4 aprile, ci ricorda, è il compleanno di Ocalan e si celebra ad Amara, suo villaggio natale, con una conferenza stampa e vari festeggiamenti. Da un anno e mezzo il loro presidente si trova in totale isolamento, non può vedere i suoi avvocati e non può far sentire la sua voce al popolo curdo. Per questo il popolo ha reagito duramente, compiendo molte azioni violente. All’interno delle prigioni, in quel periodo, le guardie carcerarie aggredivano i detenuti politici con estrema violenza, non facendo distinzione tra donne e bambini, contribuendo così, ad incrementare le numerose rivolte. In alcune strutture, diversi detenuti civili si univano a queste ribellioni, come nel carcere di Urfa.   A causa di un incendio, provocato proprio durante alcuni tumulti, morirono 13 detenuti civili, di cui uno solo era stato condannato, gli altri 12 erano ancora in attesa di giudizio. Per questo ci furono trasferimenti forzati di molti detenuti in altre carceri. La responsabile poi continua, affermando che ”Noi abbiamo 137.000 detenuti, il popolo per questa guerra è diventato molto povero e, la conseguenza è l’aumento di crimini comuni. Le guardie carcerarie si divertono ad umiliare i detenuti, specialmente se sono curdi.” Tuhad Fed fece una conferenza stampa ed organizzò una manifestazione. La polizia reagì molto violentemente, usando i soliti mezzi in uso, gas lacrimogeni e cannoni ad acqua, con il risultato di lasciare dietro di sé ancora morti.

I detenuti politici decisero, allora, d’iniziare uno sciopero della fame senza termine. Lo sciopero è iniziato il 12 settembre 2012 in sette carceri da 64 detenuti. E’ durato 68 giorni, coinvolgendo 78 carceri e circa 10.000 detenuti, sostenuti dalle famiglie, da intellettuali, scrittori e dalla sinistra turca.  Il 30 ottobre personaggi dello spettacolo in Piazza Taksim ad Istanbul decisero di dare voce ad alcuni dei 700 detenuti curdi in sciopero della fame, leggendo il testo di otto lettere, specificando i motivi della loro lotta: fine dell’isolamento di Ocalan, il diritto all’istruzione in curdo e di potersi difendere in tribunale nella propria lingua madre.

Centinaia di accademici delle più importanti università del paese hanno poi firmato un appello per “La fine del conflitto e il ritorno immediato al tavolo delle trattative” e, giornalisti dei media di sinistra o pro-curdi hanno manifestato ad Istanbul scandendo lo slogan: “Non vogliamo scrivere notizie di morte”.  Personaggi famosi in Turchia, come la cantante Sezen Aksu o lo scrittore Yaşar Kemal, si sono infine appellati al primo ministro Recep Tayyip Erdoğan perché non lasciasse la voce dei detenuti inascoltata. La direzione delle carceri invece si accanì sui detenuti in sciopero, mettendoli in isolamento, con torture fisiche e non dando loro né acqua e zucchero e né vitamine. Il governo turco negò al mondo l’esistenza di questi scioperi in atto nelle sue carceri. Allo scadere dei 68 giorni, le condizioni dei detenuti erano diventate veramente critiche, al limite della morte. Il 17 novembre Ocalan, tramite una lettera consegnata a suo fratello Mehmet, sollecitava i detenuti ad interrompere subito lo sciopero della fame.(vedi prima parte Newroz di Diyarbakir)

“Questo sciopero si è rivelato molto importante – continua la responsabile – perché ha visto l’unione di tutti i curdi che vivono nei quattro paesi del Kurdistan (Turchia, Siria, Iran e Iraq) insieme con quelli della diaspora, in altre parole a chi vive all’estero, anche con l’appoggio dei socialisti del popolo turco ed i difensori dei diritti umani. Questa solidarietà è la dimostrazione di quanto il proprio presidente è importante per il popolo curdo, al contrario, invece, da quanto sostenuto dal governo turco. Lo sostengono da 34 anni.” Ora è in atto un nuovo processo di cambiamento. Durante questi scioperi della fame, ci sono stati alcuni incontri, tenuti segreti, tra il governo turco e Ocalan. Nella prima settimana di gennaio scorso, invece, sono ripresi i colloqui e, questa volta, dandone notizia alla stampa, creando così un’ondata di speranza per il popolo curdo. Le lettere di Ocalan, per il suo popolo, non sono state una sorpresa, perché era già a conoscenza della sua linea di difesa: Ocalan non difende la guerra, ma, difende la lotta per i loro diritti. Durante i 14 anni d’isolamento ha lottato per creare e progettare una fraternità tra i popoli della Turchia ed i curdi. Nella lettera, infatti, – dice ancora la responsabile – “Ocalan esprime il suo desiderio affinché tutti i popoli della Turchia vivano uniti in una patria libera”. Questi messaggi sono, inoltre, importanti, sia a chi non conosce la questione curda e la figura di Ocalan per comprendere la sua idea e, sia  al popolo curdo per esaminare le nuove condizioni ed organizzare una nuova lotta cambiando i metodi finora utilizzati. Perchè questo sogno possa diventare realtà, occorre che questi “incontri” si trasformino in “trattative” e per “trattare” il Presidente Abdullah Ocalan deve essere libero. Solo così lo Stato turco si potrà dimostrare sincero.

La responsabile ricorda che Ocalan aveva iniziato questo processo di pace già nel 2009, presentando una road map che includeva anche il ritiro dei guerriglieri, ma con la garanzia, da parte del governo turco, di dare diritti civili costituzionali al popolo curdo. Processo durato fino al Trattato di Oslo nel 2011. Anche in quest’occasione si parlava del problema legato alle armi dei guerriglieri, ma prima di deporre le armi, erano necessarie serie e precise garanzie, da parte del Parlamento turco. “Tutto questo era già successo nel 1999 – ripete la responsabile – allora il governo turco non aveva fatto niente e furono massacrati 500 guerriglieri perché, rispettando gli ordini del loro Presidente, non avevano sparato”. Ora le cose saranno diverse.  Senza garanzia, i guerriglieri non deporranno mai le armi. Ocalan attende un segno positivo da parte del governo per continuare le trattative. La responsabile, inoltre, ci confida che, nell’incontro con i deputati curdi, Ocalan ribadisce che “Questa è l’ultima occasione per lo Stato turco, se non saranno accolte le sue richieste, ci sarà una nuova grande guerra popolare con almeno 50.000 curdi pronti a combattere per i loro diritti”. Per quanto riguarda invece le lettere scritte da Ocalan, quella che noi abbiamo ascoltato durante il Newroz a Diyarbakir, è quella scritta per il popolo e lo stato turco, mentre quella diretta alla sua organizzazione del PKK, è rimasta segreta. La responsabile ci fa presente che, in questo stesso momento, il comandante del PKK a Bonn sta rilasciando un messaggio in risposta alla lettera ricevuta da Ocalan. “Fra le tante richieste rivolte al governo turco – continua la responsabile – c’è anche quella inerente all’amnistia per i detenuti politici curdi, ma, dobbiamo aspettare la fine di giugno per avere una risposta. Questo è il periodo di tempo stabilito.”

La responsabile porta la discussione sull’uccisione di Sakine Cansiz (una fondatrice del Pkk insieme al leader Ocalan nel 1978), Fidan Dogan e Leyla Soylemez, uccise il 9 gennaio scorso a Parigi e sui continui arresti del popolo curdo. Tutto questo danneggia la loro relazione con l’Europa. “Noi vogliamo – incalza la responsabile – che voi facciate pressione sul vostro governo, non vogliamo solo progetti economici. L’Unione Europea dà molti soldi alla Turchia che acquista armi e ci uccide. Noi siamo uccisi dai vostri soldi. Voi potete fare critiche serie per queste scelte dei governi nel vostro paese. Anche i curdi della diaspora soffrono molto, come noi. Il nostro partito è considerato “terrorista” e noi lottiamo per quest’ingiustizia. Voi ci vedete, siamo forse terroristi? Tutto questo deve essere spiegato in Europa. La Germania e la Francia sono vicini al governo turco e l’Italia ha un ruolo molto passivo. Vi chiediamo di essere il nostro portavoce in Europa ed ognuno di voi può spiegare ai suoi amici, conoscenti, la nostra sofferenza e l’ingiustizia che, tutti i giorni, siamo costretti a subire”.  Il nostro incontro termina con gli ultimi aggiornamenti che riguardano, sia i lavori della diga sul sito di Hasankeyf ed il massacro di Roboski. Le opere per costruire la nuova diga sono sospese, le banche hanno ritirato i finanziamenti ed il governo turco sta cercando altri finanziatori. Per la questione di Roboski, lo stato voleva pagare un’indennità alle famiglie colpite dal massacro, ma loro hanno rifiutato. Lo stato continua a sostenere nel suo rapporto che non si è trattato di un massacro voluto, ma è stato un errore. Le famiglie di Roboski sono andate più volte ad Ankara per chiedere giustizia e vogliono portare questo processo alla Corte europea.

L’associazione Onlus “Verso il Kurdistan” dal 1999 ha attivato il progetto “Oltre le sbarre”. E’ un progetto di affido a distanza che permette il sostegno di famiglie che, dopo l’arresto del capofamiglia o dei figli, si trovano in condizioni economiche particolarmente difficili. Attraverso la formula dell’adozione, si può esprimere così la propria solidarietà ai detenuti politici e alle loro famiglie. Anche quest’anno al termine del nostro incontro, l’associazione “Verso il Kurdistan” consegna personalmente gli affidi raccolti in Italia.

Ultimo giro al bazar di Diyarbakir. E’ quasi sera, il cielo è grigio, ha appena smesso di piovere, giro tra le stradine del Gran Bazar, molti stanno chiudendo la loro giornata di lavoro, non c’è molta gente. Sono triste. Io parto, torno a casa. Sento su di me il peso dell’indifferenza, dell’immobilismo in cui versa la maggior parte delle persone che hanno ancora molti privilegi. Sento ancora le parole della responsabile di Tuhad Fed che ho da poco incontrato ed ascoltato. Riuscirò veramente ad essere ambasciatore di questo popolo? Riuscirò ad arrivare al cuore di tanti sconosciuti con i miei racconti e le fotografie delle donne, dei bambini e degli uomini di questo popolo dimenticato dal mondo? Oggi, con la crisi economica e di lavoro che regna in Italia ed in Europa, è ancora più difficile attirare l’attenzione verso queste situazioni, ma, come questo popolo fiero e dignitoso m’insegna, non perderò la fiducia. Continuerò a parlare di tutti quei popoli che lottano ancora per ottenere una giustizia, per non essere più oppressi, per non dover più andare in carcere perché sei curdo o palestinese, per poter, semplicemente, vivere.

(4° Parte)
INTERVISTA AL DEPUTATO CURDO ALTAN TAN

La delegazione italiana “Verso il Kurdistan” il 24 marzo si trova sull’aereo Diyarbakir-Istanbul.
La settimana di visite, incontri e festeggiamenti del Newroz è terminata. Lasciamo quindi la città di Diyarbakir quando il sole ancora non è alto nel cielo, ma, già completamente operativa nelle sue molteplici attività. In aereo cerco di fare il punto della situazione, ma, subito tutti noi siamo distolti dalle nostre considerazioni, per l’arrivo del Deputato del Partito della Pace e della Democrazia (BdP) Altan Tan.

Altan Tan è il deputato del BdP per Diyarbakir, curdo e conservatore d’ispirazione islamica, membro della commissione parlamentare che sta scrivendo la nuova Costituzione ed anche della delegazione che ha incontrato Ocalan nel carcere sull’isola di Imrali.

Approfittiamo dell’occasione e chiediamo subito un’intervista. Emanuela Irace,  giornalista del mensile “Noi Donne”conduce l’incontro, mentre io  prendo la macchina fotografica e il registratore. Altan, dopo le presentazioni,  spiega che non ha visto la cella in cui vive Ocalan, l’ha potuto incontrare solo in una saletta del carcere. Ha dei seri problemi agli occhi.

“Se questo processo finirà con successo – prosegue Altan – alla fine di tutto il  percorso ci sarà l’amnistia per i prigionieri politici. L’amnistia non può essere al primo posto perché si rischierebbe di bloccare tutte le trattative. La strada è lunga: in primo luogo, c’è il cessate il fuoco, successivamente, il ritiro delle forze armate al di là del confine, in Iraq, poi le riforme delle leggi, una nuova costituzione ed infine, l’amnistia. E quando i guerriglieri e detenuti in carcere saranno liberati, anche i curdi che vivono all’estero, potranno tornare nella loro patria.”

Altan sottolinea inoltre che, ora i curdi  vogliono solo uno statuto nel paese in cui vivono, è presto per pensare ad un’autonomia curda nella regione. I rapporti con la sinistra turca, in merito alla condivisione delle idee, non sono buoni perché ci sono molte differenze. “Salvano il mondo – dice Altan – ma poi non conoscono neppure il proprio popolo.” Perché, chiediamo anche a lui, oggi c’è qualcosa di nuovo?

Altan risponde che “il governo turco è in difficoltà, è obbligato ad accettare queste trattative. I curdi in Irak stanno preparando la loro libertà, in Siria la loro autonomia e in Turchia, sono in piedi, continuano a lottare. Se queste trattative si dovessero bloccare, Erdogan deve solo andarsene.” Per quanto riguarda il rapporto con l’Unione Europea, Altan non usa mezzi termini e, rimarca il fatto che “L’Europa, compresa l’Italia, parla molto, ma non fa niente. Ora voi fate l’intervista, ma prima gli europei vendevano armi chimiche a Saddam Hussein. Anche oggi l’Europa vende ancora armi. Non abbiamo fiducia, ognuno di loro pensa solo ai propri interessi e profitti.” Alla domanda: “C’è qualche politico italiano di suo gradimento?” La risposta è stata un No secco.

Solo alla domanda sulla posizione di Leyla Zama all’interno del partito, Altan risponde in modo molto evasivo, dicendo solamente: “Lei non discute mai con i suoi amici, non sappiamo cosa pensa.”
02/06/2013

Fonti: Osservatorio Balcani & Caucaso
www.alkemia.com