La Columbia University inchioda la Turchia: “Collabora con l’ISIS”
In un rapporto pubblicato a settembre ma ignorato finora in Italia, l’università statunitense denuncia i rapporti tra il governo di Ankara, Daesh e Al Nusra: armi, mezzi e denaro come sostegno ai gruppi terroristi. E spunta un piano per invadere la Siria
La Turchia sta concretamente supportando l’attività dell’ISIS e di Al-Nusra in Siria attraverso un aiuto tecnico, logistico e sanitario. È quanto sostiene David L. Phillips, direttore del Program on Peace-building and Rights del Columbia University’s Institute for the Study of Human Rights in una ricerca diffusa lo scorso settembre dal sito americano dell’Huffington Post. Negli scorsi mesi vi hanno preso parte ricercatori provenienti degli Stati Uniti, dall’Europa e dalla Turchia, con il compito di esaminare i media turchi e internazionali per valutare la credibilità delle accuse. Sono state prese in esame una serie di fonti internazionali – il New York Times, il Washington Post, il Guardian, il Daily Mail, la BBC, Sky News – e turche, tra cui CNN Turk, Hurriyet Daily News, Taraf, Cumhuriyet, e Radikal.
Il testo è ora consultabile grazie al portale UIKI Onlus che ne ha reso disponibile una traduzione italiana. Nell’articolo si mettono in fila le singole accuse mosse nei confronti del governo di Erdogan, confrontandole con le notizie pubblicate dai media su ogni singola questione. Si passa dalla collaborazione militare al trasferimento di armi, dall’assistenza finanziaria a quella sanitaria.
Il rifornimento di armi all’ISIS
Secondo il Vice Presidente del Partito Popolare Repubblicano turco (CHP), Bulent Tezcan, il 19 gennaio del 2014 tre camion sono stati fermati nella città di Adana per un’ispezione. I camion erano stati caricati all’aeroporto Esenboga di Ankara. Gli autisti avevano portato i camion nei pressi del confine, dove agenti dei servizi segreti turchi avrebbero dovuto prenderli in consegna e portarli in Siria per consegnare il carico all’ISIS e ad altri gruppi affini. Tezcan descrive una situazione in cui queste operazioni formano una strategia di sostegno sistematico. Delle volte i camion vengono fermati ai controlli, ma gli agenti del MIT (l’Agenzia di Intelligence Nazionale della Turchia) hanno più volte tentato di evitare che gli ispettori controllassero il carico. Le ispezioni hanno rilevato il trasporto di razzi, armi e munizioni. L’attività di Daesh sul suolo turco.
Il 29 giugno dello scorso anni la CNN turca ha riportato che in luoghi come Duzce e Adapazari, nel cuore di Istanbul, sono stati girati alcuni video di Daesh. L’emittente turca ha anche denunciato come, presso alcune organizzazioni religiose, aspiranti jihadisti ricevano addestramento militare, senza che le forze di sicurezza turche siano mai intervenute per fermarli. Anche fonti interne dei servizi di intelligence giordani confermerebbero l’addestramento dei miliziani dell’ISIS in Turchia.
L’acquisto del petrolio
Il 13 settembre del 2014 sul New York Times vengono raccontati gli “sforzi” dell’amministrazione Obama per premere sulla Turchia per porre fine all’autofinanziamento dell’ISIS tramite la vendita di petrolio. James Phillips, un ricercatore senior della Heritage Foundation, ha fatto notare che la Turchia non ha mai smesso del tutto con gli acquisti del petrolio di Daesh, perché può beneficiare di un prezzo molto conveniente, e che è possibile che alcuni funzionari governativi traggano beneficio da questi traffici.
Sempre il 13 settembre dello scorso anno è apparso sul sito di informazione Radikal un articolo di Fehim Taştekin sugli oleodotti illegali che trasportano petrolio dalla Siria alle città turche lungo il confine. Il petrolio è venduto a circa 1,25 lire/litro. Taştekin ha raccontato che molti di questi oleodotti sono stati smantellatti, dpo 3 anni di attività, in seguito al suo articolo su Radikal.
Il tentativo di legittimare un intervento in Siria
Oltre a supportare a Daesh e ad Al Nusra, il governo turco sta cercando da mesi il modo di intervenire direttamente nel conflitto siriano per difendere i propri interessi e sferrare un colpo decisivo alla resistenza curda del Rojava. Il portale Cumhuriyet racconta – ad esempio – come Fuat Avni, un influencer di Twitter ha fornito le prove del supporto che la Turchia ha fornito a gruppi terroristici affiliati ad Al Qaeda. Secondo il rapporto, in alcune registrazioni Erdogan fa pressione diretta sulle forze armate turche e sui servizi per trovare una scusa per intervenire direttamente nel conflitto in Siria.
Hakan Fidan, capo dell’intelligence turca, in questo dialogo con Yasar Guler un alto ufficiale della difesa e Feridun Sinirlioglu, un funzionario del Ministero degli Esteri dichiara: “Se necessario invierò 4 uomini in Siria. Per trovare un pretesto per la nostra entrata in guerra gli farò sparare otto razzi verso la Turchia.” Il piano non è stato poi messo in atto, ma l’obiettivo di Ankara di legittimare un proprio intervento in Siria contro i curdi delle YPG/YPJ resta prioritario. Ma anche di fronte all’evidenza, la NATO e gli USA non sembrano intenzionati a ritirare il loro appoggio alla Turchia.
di Luca Cafagna