Kobane resiste

Pubblichiamo l’Intervento di Fabio Massimo Castaldo, Europarlamentare a Strasburgo

Kobanê. Fino a qualche mese fa questo nome era solo un puntino sulla carta geografica della Siria, sconosciuto ai più. Avamposto sperduto di una Nazione senza Stato.

Di una terra, per sua sfortuna, intrisa di petrolio, su cui in molti da tempo hanno messo i loro occhi.

Per ironia della storia, il nome in arabo della città è proprio Ayn al-Arab: l’occhio degli Arabi.

L’occhio interessato di coloro che, in Qatar, in Arabia Saudita e nei vari Stati del Golfo Persico, hanno permesso a sedicenti istituti di carità e benefattori di rimpinguare allegramente le tasche dell’ISIS.

Perché forse l’esempio di autogestione democratica e di rafforzamento dei diritti della donna attuato nel Kurdistan siriano, dove in molte sono addirittura soldati, è un paragone scomodo.

Quindi, conviene che venga eliminato al più presto.

Per qualcuno voltare lo sguardo mentre bambini di 12 anni girano con kalashnikov e bombe in mano e donne terrorizzate vengono vendute nelle gabbie al mercato è tutto sommato il male minore.

L’occhio duro e indifferente della Turchia, Paese candidato a far parte dell’Unione, che per fin troppo tempo è rimasta a guardare un film dell’orrore: solo ora ha, infine, accettato di far transitare i Peshmerga curdi dell’Iraq verso Kobanê, per permettere loro di difendere i fratelli siriani estenuati dall’assedio.

Ma quante vite si sarebbero potute salvare se lo avesse permesso prima?
Quante, se non avesse schierato carri armati e infami campi di mine al confine, per impedire ai Curdi turchi di andare a combattere contro un nemico che disconosce ogni forma di umanità?

Quante, se non avesse represso nel sangue di più di 30 morti le manifestazioni di protesta contro queste atrocità?

L’occhio distratto e superficiale dell’Occidente, ancora, che dovrebbe provare vergogna, per aver dimenticato troppo a lungo il dramma di una regione che, in curdo, significa proprio Occidente: la Rojavà.

Quegli uomini, donne e bambini torturati, violentati e sgozzati dall’ISIS in queste settimane erano davvero un prezzo accettabile, per non avere il coraggio di sbattere i pugni sul tavolo di un importante membro della NATO?

L’occhio ipocrita dell’intera comunità internazionale, infine.

Un occhio sempre più immobile e impassibile su una delle tante catastrofi umanitarie annunciate. Ipocrisia. Negarla, sarebbe ipocrita.