KJA: Rapporto sulla guerra, la situazione politica e le donne in Kurdistan

I negoziati di pace avviati
Il processo di dialogo e di trattativa per la risoluzione della questione curda, lanciato a Imrali (isola turca dove è sequestrato Öcalan) a gennaio 2013, è entrato in una nuova fase il 28 febbraio 2015, quando è stato reso pubblico alla stampa l’accordo di Dolmabahçe. L’accordo, annunciato da una delegazione mista di deputati dell’HDP (Partito Democratico del Popolo) e dell’AKP (il partito per la Giustizia e lo Sviluppo, del presidente Erdogan) prevedeva un piano, in 10 punti, per la risoluzione del conflitto ed ha dato speranze e incentivato l’impegno per la pace tra i popoli che vivono in Turchia e in particolare i curdi.

La rappresentanza delle donne ai negoziati

Dall’Africa all’Asia, dal Medio Oriente all’Europa, le donne hanno sperimentato il 20° secolo come l’epoca delle guerre permanenti, sia nascoste, sia allo scoperto.

La modernità capitalistica del 21° secolo opprime le donne nel corpo e nell’anima attraverso razzismo, sessismo, fondamentalismo laico o religioso. Dopo l’accordo di Dolmabahçe, la cessazione del processo di pace da parte del governo turco e l’escalation della violenza nell’ambito del nuovo concetto di guerra, rappresenta un attacco diretto contro le donne in Kurdistan e in Turchia, con gravi conseguenze soprattutto per la loro libertà.

La partecipazione di una donna del Congresso delle donne libere (Kja) ai negoziati di pace in corso tra il leader del popolo kurdo Abdullah Öcalan e il governo dell’Akp, ha una importanza storica per il movimento delle donne in tutto il mondo. Su insistenza di Öcalan, questo ha segnato un precedente tra le esperienze di risoluzione dei conflitti in tutto il mondo. Cioè, la rappresentanza del Kja è stata garantita da un articolo dell’accordo di Dolmabahçe dal titolo “Le risoluzioni legali e le garanzie per le questioni delle donne”.

Il Congresso delle donne libere da anni è fortemente impegnato per la pace sociale ed è determinato a continuare la sua lotta per una risoluzione democratica basata sui diritti umani universali. Il Congresso delle donne libere, come attore primario del movimento curdo per la libertà, sottolinea che solo le donne possono portare la pace contro la politica di negazione dominata dai maschi, contro l’occupazione e la guerra. Così, come parte del movimento mondiale delle donne, il Congresso delle donne libere ha fondato l’Assemblea per la libertà delle donne (Kom) e l’Iniziativa delle donne per la pace (Bikg), un’organizzazione indipendente di donne che lavora per la diffusione sociale della pace. Il Congresso delle donne libere considera i confini geografici, così come i confini tracciati tra donne, come azioni di occupazione e afferma che la pace democratica può essere raggiunta solo attraverso la diversità nella libertà.

Le elezioni del 7 giugno 2015: l’Hdp ha superato la soglia di sbarramento
Durante i mesi precedenti alle elezioni generali del 2015, con la paura che l’Hdp passasse la soglia di sbarramento del 10%, 35 anni dopo il colpo di stato del 1980, l’Akp e il presidente Erdoğan hanno cambiato il loro discorso. Erdoğan ha dichiarato: “Che cosa si intende per la questione kurda? Non esiste più” (17 marzo 2015), “Non c’è nessun tavolo di trattative nel processo di risoluzione. Se esistesse significherebbe il crollo dello Stato” (28 aprile 2015). Di conseguenza dopo il 5 aprile 2015 tutti gli incontri con Öcalan e le visite all’isola-carcere di Imrali, comprese quelle dei suoi avvocati, sono state impedite.

Il divieto di incontrare Ocalan, le parole d’odio del governo dell’Akp e dei media, le campagne di linciaggio e l’escalation di operazioni militari, hanno avuto come conseguenza che la campagna elettorale dell’Hdp abbia subito oltre 150 attacchi. Il 5 giugno, due giorni prima delle elezioni, l’esplosione della bomba alla manifestazione dell’Hdp ha ucciso 5 persone e ne ha ferite oltre 400, di cui 243 sono rimaste permanentemente sfigurate e disabili. Nonostante l’escalation di violenza, l’Hdp ha vinto 80 seggi nel parlamento con il 13,1% dei voti e l’Akp ha perso la sua maggioranza parlamentare per la prima volta in 13 anni. Con 40% di donne parlamentari, l’Hdp ha raggiunto anche il più alto tasso di rappresentanza femminile mai ottenuto da un partito politico nella storia della repubblica. Il fatto che 32 donne deputate di diverse culture, religioni e identità siano state riunite sotto l’ombrello parlamentare è un risultato significativo della lotta delle donne organizzate.

L’escalation di violenza e oppressione: l’avvicinamento al colpo di stato civile
All’indomani delle elezioni del 7 giugno, mentre alcuni seguaci dell’Akp affermavano che le “masse hanno optato per il caos”, il vice primo ministro Yalçın Akdoğan ha affermato che “Il processo di pace si è concluso, perché il popolo della regione (curda) ha votato per l’Hdp”. Non più tardi di una settimana dopo sono iniziate le discussioni sulle elezioni anticipate e subito il governo di transizione ha iniziato a muoversi verso le elezioni del 1° novembre.

Durante questo periodo, il 20 luglio 2015, 300 studenti universitari provenienti da tutta la Turchia, la maggior parte di loro appartenenti alla Federazione delle associazioni dei giovani socialisti (Sdfg), sono arrivati a Suruç, città di confine tra Turchia e Siria, per sostenere il processo di ricostruzione di Kobane devastata dalla guerra. 33 persone sono state uccise nell’attentato eseguito dall’Isis durante una conferenza stampa. Con il pretesto che l’attacco fosse organizzato da Pkk, nel giro di una settimana, più di mille attivisti dell’ Hdp e del DBP (partito Regionale Democratico – socialdemocratico turco) sono stati presi in custodia e arrestati.

Dal 24 luglio, quando il governo ha di fatto lanciato la guerra, aerei da guerra turchi hanno bombardato in modo martellante la montagna di Qandil al confine del Kurdistan meridionale in Iraq (nell’area del Governo Regionale del Kurdistan). I guerriglieri e le guerrigliere delle Ypg e delle Ypj feriti nella lotta contro l’Isis in Rojava (il Kurdistan occidentale in Siria), sono stati fermati dagli ufficiali di sicurezza turchi alla frontiera e tenuti in attesa di morire. Il 25 luglio è stato negato l’accesso in Turchia ai corpi di 13 guerriglieri/e che hanno perso la vita in Rojava, fermati per 11 giorni alla frontiera di Habur vicino Silopi. Durante i bombardamenti di Qandil del 1° agosto, 7 civili hanno perso la vita nel villaggio di Zergele.

La libertà di espressione e di stampa viene negata al fine di impedire alla comunità civile e internazionale di vedere la realtà nascosta dell’oppressione e della guerra in Kurdistan. I giornalisti nazionali e internazionali devono affrontare ostacoli giuridici senza precedenti, oltre a subire arresti e ricevere gravi minacce per la loro vita. Il governo ha bloccato l’accesso a oltre 90 siti web e portali di informazione. Sono stati chiusi più di 23 siti web di informazione su questioni per lo più legate alla risoluzione della questione curda. L’agenzia di stampa Jinha di Diyarbakır, costituita esclusivamente da donne, è stata messa sotto sequestro. Reminiscenze del colpo di stato del 1980, i media mainstream hanno scelto di distorcere la realtà o restare in silenzio, sia a causa delle minacce del governo, sia per le loro alleanze politico-economiche.

Le elezioni anticipate del 1° novembre 2015

Il 10 settembre, 100 persone sono state uccise in un nell’attentato alla manifestazione per il lavoro, la pace e la democrazia ad Ankara. Lo stretto legame esistente tra i kamikaze identificati e gli autori degli attentati di Diyarbakir e Suruç è una prova del complotto dell’Akp. Questi attacchi collegati tra loro, avvenuti prima delle elezioni di novembre, hanno avuto un enorme impatto sulla popolazione. Nonostante la guerra, il terrore, la censura e la paura della politica corrotta del governo, l’Hdp ha comunque superato la soglia del 10%, ancora una volta. Anche se l’Akp ha avuto la maggioranza in parlamento, non ha comunque raggiunto il numero di deputati necessari per operare un cambiamento di regime verso un sistema presidenziale.

La nostra pratica di autogoverno e lo Stato turco: il coprifuoco come strategia di guerra e di genocidio

L’esigenza dell’autogoverno, annunciata nel programma dell’Hdp, chiama ad una trasformazione ed emancipazione dallo stato in chiave decentrata, democratica e giusta. Il processo di costruzione dell’autogoverno in Kurdistan è entrato in una nuova fase ad agosto, dopo la dichiarazione di autonomia da parte delle assemblee del popolo, a partire dal Şırnak e continuando con Yüksekova, Batman, Sur, Silvan, Cizre, Silopi e Nusaybin. Le costituzioni e le dichiarazioni di autogoverni, basati sulla volontà di autonomia del popolo kurdo, mirano a far riconoscere il diritto costituzionalmente garantito di pari cittadinanza, a democratizzare i servizi pubblici, a far ritirare le forze di sicurezza dello stato turco ponendo fine alla repressione della società, tra cui le violazioni dei diritti umani e la tirannia di funzionari statali nominati senza la volontà del popolo.

Il governo turco ha criminalizzato queste richieste, stabilendo delle “zone a protezione speciale” (NdR – circa 120 in 15 provincie della Turchia) in tutte le aree di autogoverno. Le forze di polizia hanno prima arrestato co-sindache e membri delle assemblee del popolo, che sono stati rimossi dal loro incarico, e poi hanno condotto operazioni militari durate settimane in alcuni quartieri dei centri urbani sotto coprifuoco, con carri armati, cannoni, mortai e bombardamenti aerei. Le scritte esplicitamente razziste e sessiste fatte dalle forze speciali di polizia, che indossavano passamontagna, rivelano il livello di aggressività verso la resistenza delle popolazioni locali. Nei quartieri, come ad esempio Bismil, Sur e Silvan, hanno scritto massime fasciste e le hanno condivise anche sui social media: “Vedrete il potere dei Turchi”, “Squadra dei leoni di Allah”, “Sii orgoglioso se sei turco, altrimenti devi solo obbedire”, “Attenzione, c’è sangue sui denti del lupo!”, “La vittoria appartiene all’Islam, anche se verseremo il nostro sangue”.

I blocchi, con il pretesto del “coprifuoco”, sono stati imposti il ​​16 agosto a Muş/Varto. Attualmente, Cizre, Silopi e Sur sono sotto coprifuoco. Tra il 16 agosto 2015 e il 10 gennaio 2016, sono stati indetti 57 ordini di coprifuoco, in decine di quartieri in 20 distretti di 7 diverse città, e sono durati fino a 288 giorni. Solo il mese scorso, 87 civili hanno perso la vita nei coprifuoco imposti a Cizre, Silopi e Sur. Tra il 20 luglio 2015 e il 10 gennaio 2016, 264 civili hanno perso la vita tra cui 54 bambini e 38 donne, in scontri, irruzioni nelle case, proteste e manifestazioni in zone sotto coprifuoco. L’associazione di migranti (Goc-Der) segnala che a causa del conflitto in corso oltre 200.000 persone sono state costrette a migrare per colpa della politica di spopolamento dello stato turco, reminiscenza degli anni ’90.

Le aggressioni contro le donne
Le donne vengono uccise mentre cercano di proteggersi l’un l’altra nelle cosiddette “zone di sicurezza militare” imposte nelle aree urbane. Vengono uccise da cecchini dentro o fuori le loro case, e non possono essere sepolte a causa del coprifuoco che va avanti 24 ore su 24 per settimane. È una vergogna per l’umanità non mettere in discussione la violazione del diritto alla vita nei centri urbani. Come viene denunciato nei rapporti degli osservatori indipendenti, donne e bambini in queste aree sono sotto grave minaccia di violenza fisica e sessuale, che aumenta ulteriormente in detenzione.

Il 10 agosto, nella città di Varto Muş, la militante del Pkk Ekin Van (Kevser Eltürk) è stata uccisa in modo sospetto. Il suo corpo è stato svestito, torturato e le sue registrazioni video sono state diffuse sui social media da parte del personale delle forze di sicurezza dello Stato turco.

Tra il 4 e il 12 settembre 2015, 21 donne civili sono state uccise nel coprifuoco militare imposto sulla città di Cizre Şırnak. Una notevole quantità di prove indicano come responsabili di queste morti siano le forze di sicurezza dello stato.

Cemile Çağırga, di 13 anni, è stata uccisa a Cizre il 7 settembre, dopo che l’artiglieria pesante ha colpito la sua casa. Poiché il coprifuoco non ha permesso la sepoltura, la sua famiglia ha dovuto tenere il suo corpo nel surgelatore per giorni. Sempre a Cizre, il 10 settembre, Zeynep Taşkın di 18 anni è stata uccisa da cecchini nella sua strada e la suocera, Maşallah Edin di 35 anni, è stata uccisa mentre cercava di aiutarla. Il 18 dicembre, una donna di 57 anni, Taybet İnan, madre di undici figli, è stata uccisa davanti alla sua casa nella città di Silopi Şırnak, il suo cadavere è rimasto in strada per 7 giorni a causa del coprifuoco. Più tardi, i funzionari statali hanno sequestrato clandestinamente il suo cadavere all’obitorio dall’ospedale statale, e l’hanno seppellito insieme ad altri 8 corpi, senza avvisare le famiglie.

Il 5 gennaio 2016, tre politiche curde, Seve Demir (del comitato esecutivo del Congresso delle donne libere e del Partito regionale democratico), Pakize Nayir (copresidente dell’Assemblea Popolare di Silopi) e Fatma Uyar (anche lei del Kja), sono state brutalmente giustiziate in strada a Silopi dalle forze di sicurezza dello stato turco. I risultati delle autopsie hanno accertato che sono state colpite da centinaia di proiettili e sfigurate in modo irriconoscibile.

Tra il 7 giugno 2015 e il 18 gennaio 2016, secondo le indagini svolte da Human Rights Association (IHD) e dal Partito democratico del popolo (Hdp), 41 donne sono state uccise dalle forze di sicurezza dello stato turco e altre 40 donne sono state uccise dalla guerra. Nello stesso periodo 30 donne hanno perso la vita negli attentati ad Ankara. Nessuno del personale di sicurezza statale responsabile di queste morti è stato indagato o rimosso dal suo posto. Questo di per sé è un crimine contro l’umanità.

Il Congresso delle donne libere sostiene fortemente i principi di co-presidenza e di pari rappresentanza in tutte le sfere della vita e realizza politiche e pratiche di emancipazione delle donne. Per questo le operazioni di polizia contro i comuni curdi si rivolgono specificamente contro le sindache. Donne appartenenti al Kja, elette a tutti i livelli di governo locale e nazionale, sono regolarmente soggette a minacce di incriminazioni giudiziarie e arresti. Fino al 10 gennaio 2016, nove donne co-sindache sono state arrestate, per quattro di loro sono stati emessi mandati di perquisizione e quasi tutte le co-sindache sono state rimosse dal loro ufficio. Nelle proteste di piazza le forze di sicurezza turche attaccano soprattutto le deputate. Sono prese di mira dal fuoco dei proiettili e ferite dai gas lacrimogeni. L’agenzia di stampa Jinha, con sede a Diyarbakır, costituita esclusivamente da donne, si è dovuta confrontare con pesanti attacchi da parte delle forze di sicurezza dello stato. Le sue giornaliste sono state fermate e arrestate. Queste minacce fisiche e giuridiche non solo hanno preso di mira le nostre compagne, ma anche il sistema di emancipazione di genere che le donne stanno costruendo. Migliaia di donne che sono state rapite a Shingal e in Rojava (Siria del nord) vengono vendute nei mercati, proprio come all’epoca della schiavitù. Queste donne, trattenute con la forza, vengono scambiate in molti luoghi diversi, tra cui Gaziantep e Sanliurfa (ndr – città turche a sud est di Ankara), mentre le magistrature nazionali ed internazionali chiudono un occhio. Le donne in Kurdistan hanno fondato la “Piattaforma per lottare per le donne tenute prigioniere a forza” per combattere contro questa mentalità schiavista. In queste circostanze, non vi è alcun dubbio che l’autodifesa delle donne contro questi attacchi culturali, storici e sessuali è del tutto legittima.

Le aggressioni contro i bambini
Anche i bambini sono bersagli diretti della guerra. Nelle zone di conflitto, tra il 7 giugno 2015 e il 18 gennaio 2016, le forze di sicurezza hanno ucciso 56 bambini di età compresa tra 0-17 anni e l’attentato alla manifestazione per la pace di Ankara ne ha ucciso altri 2. Le famiglie non hanno potuto seppellire i loro figli per giorni a causa del coprifuoco. Il cadavere di Cemile Cağırga di 13 anni, uccisa a Cizre, come ricordato in precedenza, è stato conservato nel congelatore a casa per tre giorni. Ad oggi, nessuna indagine è stata aperta per l’omicidio di questi bambini.

Gli attacchi contro i luoghi storici, naturalistici e sacri
In questo lasso di tempo, numerose operazioni militari sono state effettuate nelle aree urbane e rurali in tutto il Kurdistan, in particolare contro le città di Şemdinli e Lice e la provincia di Dersim. L’uso dell’artiglieria ha causato incendi nelle zone rurali di queste città, bruciando migliaia di acri di foresta e distruggendo numerosi orti e case (secondo il Rapporto sui danni ecologici preparato dall’Unione dei comuni della regione del sudest – GABB).

Tra il 12 settembre 2015 e il 10 gennaio 2016, nelle aree rurali di 11 province, le forze di sicurezza hanno bombardato e distrutto 13 cimiteri dove trovano sepoltura i membri del Pkk che hanno perso la vita in vari momenti della lunga guerra in Kurdistan. Moschee e case alevite vicine ai cimiteri sono state distrutte, con il pretesto che servivano come siti di stoccaggio di armi per il Pkk. Ogni volta le abitanti e gli abitanti del posto hanno fatto da scudi umani per impedire le distruzioni.

l’Unesco ha incluso il Distretto di Sur di Diyarbakır nella lista del Patrimonio mondiale dell’umanità. Le mura della città, le case, le moschee e le chiese, che portano migliaia di anni di storia sono ora distrutte dalle bombe lanciate dagli elicotteri e dall’artiglieria pesante. La moschea di Kurşunlu è stata bombardata da un attacco aereo, Paşa Hammam è stata bruciata, la chiesa armena di Surp Giragos e la chiesa cattolica armena sono state pesantemente danneggiate. Il 28 novembre, il capo di Diyarbakır Bar Association, Tahir Elci, è stato assassinato mentre faceva una conferenza stampa di fronte a un simbolo della città, il minareto a Quattro gambe, vecchio di 1500 anni, per protestare contro il suo pesante danneggiamento. Come in tutti gli altri casi, l’ordine di riservatezza è stato imposto al fascicolo sull’indagine del suo assassinio.

Il nostro appello alla comunità internazionale

La vittoria elettorale di Hdp, la liberazione di Kobane, il controllo politico ristabilito sui cantoni di Cizire e Kobane, in seguito alla liberazione di Tel Abyad, e l’avanzamento verso il cantone di Afrin ad ovest del fiume Fırat, che il governo dell’Akp considera come “linea rossa”, hanno attirato l’attenzione internazionale sulla causa curda. Con la rivoluzione del Rojava, i curdi hanno introdotto una “terza via” e un nuovo modello di governance in Medio oriente. La Turchia, d’altra parte, ha preferito permettere il transito alle organizzazioni terroristiche come l’Isis, interrompendo la sua politica estera di “zero problemi” e l’ambizione di essere un modello, muovendosi invece verso una “preziosa solitudine”.

Questa, a nostro avviso, è la ragione principale dietro questi attacchi feroci scatenati contro i curdi.

Gli sviluppi in Turchia non possono essere compresi se non li si collega allo scenario più grande, del Medio oriente. Tutti gli stati-nazione in tutto il mondo, e in particolare in Europa, devono rivedere le loro politiche in Medio oriente, dove hanno sia contribuito alla guerra, sia chiuso un occhio alla violenza e alla guerra, finché milioni di rifugiati non hanno inondato i loro confini. Il ritardo nella pubblicazione della Relazione europea sulla Turchia ha contribuito in modo significativo alla mancanza di prevenzione delle violazioni dei diritti umani. I rapporti pubblicati in fretta da alcune organizzazioni internazionali, che fanno ricorso esclusivamente a fonti secondarie, d’altra parte, rivelano un approccio non etico e irresponsabile sugli sviluppi nella regione.

Le politiche di genocidio dispiegate oggi in Kurdistan sono un problema non solo della Turchia, ma dell’intera comunità internazionale. I conflitti in qualsiasi parte del mondo non possono essere considerati troppo distanti da nessun luogo. In questo senso, riconoscendo il ruolo principale e l’operato delle forze democratiche locali nella risoluzione dei conflitti, invitiamo tutte le istituzioni democratiche e i paesi del mondo, compresa la Corte europea dei diritti dell’uomo, a svolgere il loro ruolo nel porre fine alla politica genocida dello stato turco, che attacca in modo sproporzionato la pacifica costruzione del processo di autogoverno dei curdi. Chiediamo alla comunità internazionale di riconoscere lo status di popolo curdo.
Congresso delle donne libere (Kja)