Isis, la resistenza delle donne curde (che non va in tv)
Ecco un bel documentario che illustra la resistenza delle donne curde siriane al terrorismo fondamentalista islamico. Queste donne combattenti appartengono all’Ypg, organizzazione creata per garantire per l’autonomia del Kurdistan siriano sia di fronte al regime di Assad che ai tagliagole dell’Isis e simili, come ad esempio Al Nousra.
Un messaggio di pace e democrazia da una regione insanguinata. Queste donne hanno consapevolmente imbracciato le armi in mancanza di alternative. Uccidere è sbagliato, dicono, ma non abbiamo altra possibilità. Criticano la società patriarcale e il capitalismo. Rivolgono un appello alle donne europee che sanno soffrire un’oppressione per molti versi simile a quella che vivono loro. Demistificano il discorso razzista di chi afferma che l’Islam è una religione oppressiva e misogina affermando che la folle e mortifera linea dell’Isis non ha nulla in comune con la religione.
Le radici dell’oppressione nei confronti della donna sia essa velata o esibita come oggetto sessuale in vendita al miglior offerente (o entrambe le cose insieme, soluzione a quanto pare preferita dai terroristi), sono in un sistema mondiale di dominazione ed oppressione che prescinde da ogni discorso religioso, usato strumentalmente solo come specchietto per le allodole. Una trappola nella quale cadono i giovani europei che si arruolano sotto le bandiere di Al Baghdadi, così come gli scellerati che parlano di “scontro di civiltà” e si illudono che il problema sarà risolto con qualche bombardamento.
Siamo sicuri che i media occidentali non destineranno a un video come questo neanche un millesimo del tempo concesso agli atroci messaggi dell’Isis assortiti di decapitazioni in diretta. Anche questa è una conferma di quanto il nostro sistema di comunicazione e informazione sia profondamente distorto e malato. Non ci si deve poi stupire più di tanto se il livello di conoscenza su temi come questi, che pure ci riguardano da vicino, sia bassissimo. I media conformisti, omologati e attenti solo agli aspetti sensazionalistici della situazione (che c’è di più bello per rilanciare l’audience di una bella decapitazione in diretta?), fomentano pregiudizi, spesso anche di tipo razzista, e ripropongono come soluzione ai problemi quel colonialismo che, nelle sue varie forme, è in realtà il padre di tutti i problemi.
Un motivo in più per divulgare immagini e discorsi come questi. La democrazia e la lotta al terrorismo non sono certo un compito per chi, come gli Stati Uniti, del terrorismo si è spesso servito (come a Cuba, in Venezuela e in molte altre parti del mondo) e ha creato le condizioni atte alla sua nascita e sviluppo. La democrazia e la lotta al terrorismo sono invece nelle mani di queste donne esemplari che vanno sostenute e aiutate.
Il progetto che queste donne portano avanti va ben al di là della necessaria e prossima sconfitta delle orde di terroristi drogati che fanno parte dell’Isis. Esso comprende una società nuova, caratterizzata dal recupero delle radici culturali umiliate dall’oppressione dei regimi e dal superamento dei vecchi modelli feudali e patriarcali, così come da quello del capitalismo da rapina che opera nella zona.
A un compito così vasto e profondo possono provvedere, con buona pace dei maschilisti che proliferano nell’attuale società italiana e sono nascosti, ahimè, all’interno di ciascuno di noi maschi, solo delle donne. Donne armate, non solo di kalashnikov (strumenti che pure in certe situazioni risultano assolutamente indispensabili), ma anche e soprattutto di una forte consapevolezza di sé, merce purtroppo sempre più rara dalle nostre parti.
Donne che, anziché attendere passivamente che qualcuno, magari rivestito da qualche bandiera occidentale, venga a salvarle, si armano e provvedono in prima persona alla sicurezza propria e dei propri concittadini. E, provvedendo alla sicurezza, gettano anche le basi per una società autenticamente democratica basata sull’eguaglianza effettiva fra i generi.
Sono davvero immagini stridenti con il “senso comune” italiota all’epoca di Renzi. No, non credo proprio che documentari come questi passeranno mai su Mamma Rai o su Mediaset. Potrebbero indurre, dando un’informazione corretta e approfondita, qualcuno a pensare. Il peccato più grave per chi ci governa e a sua volta si dimostra scarsamente propenso a tale esercizio(….)
di Fabio Marcelli
Il Fatto Quotidiano