Intervista Sull’isolamento di Abdullah Öcalan, la democrazia nei territori curdi e il locale movimento delle donne

Nursel Kilic è da 17 anni un’attivista per i diritti delle donne curde. Dal 2006 al 2011 ha guidato la “Fondation internationale des femmes libres” (Fondazione Internazionale delle Donne Libere). Insieme alla “Iniziativa Femminista Europea” ha tematizzato l’influenza sulle donne della militarizzazione, della guerra, della fuga e dei traumi. Questo progetto è stato sostenuto nell’ambito del programma di sviluppo dell’UE “Daphne II”. Ha fatto parte della rete internazionale femminista e laica »Femmes solidaires”. Ha rappresentato questa rete nel Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. Fa parte del Congresso Nazionale del Kurdistan– KNK ed è portavoce della Rappresentanza Internazionale del Movimento Internazionale delle Donne Curde.

Dall’8 al 17 febbraio 2018 è prevista la lunga marcia da Lussemburgo a Strasburgo con il motto “Libertà per Öcalan – Difendere la Rivoluzione in Kurdistan”. Viene organizzata dal “Comitato per la libertà di Öcalan e di tutti i prigionieri politici e di tutte le prigioniere politiche” e dal movimento delle donne curde. Cosa vogliono ottenere?
Dal sequestro e dalla consegna alla Turchia il 15 febbraio 1999 Öcalan ha continuato a impegnarsi per una soluzione pacifica del conflitto turco-curdo. Viene trattenuto da quasi 19 anni sull’isola carcere di Imrali con una condanna a vita in condizioni di isolamento. Noi combattiamo per la sua liberazione e chiediamo che il Consiglio d’Europa si impegni e faccia sapere pubblicamente come sta. Non abbiamo notizie sul fatto se si trovi ancora in buona salute e in condizioni di sicurezza. Né il suo avvocato né la sua famiglia o la delegazione dell’HDP che ha accompagnato le trattative di pace tra la Turchia e Abdullah Öcalan, hanno potuto raggiungerlo. Da ultimo l’11 settembre 2016 è stato da lui suo fratello. Già nel febbraio 2016 abbiamo iniziato in Germania una lunga marcia in suo sostegno: da Stoccarda passando per il confine francese fino a Strasburgo. Lì, davanti all’edificio del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e dei Trattamenti o Pene Disumani e Degradanti (CPT) del Consiglio d’Europa il 23 ottobre 2017 centinaia di curdi hanno iniziato un sit-in di protesta. Questo avrà fine solo quando si avranno segni di vita da parte di Öcalan. Inoltre lottiamo per la liberazione di migliaia di avvocati, giornalisti, politici, sindaci e altri esponenti dell’opposizione in carcere in Turchia – tra cui molte donne attive politicamente e di idee democratiche.

Perché Öcalan ha una funzione così importante per il movimento delle donne curde?
Non è importante solo per le donne curde, ma rappresenta una soluzione per un Medio Oriente democratico nel quale i popoli di diverse etnie vivano insieme con pari diritti. Il Presidente del Partito dei Lavoratori del Kurdistan PKK fondato nel 1978, fin dall’inizio degli anni ’90 si impegna per una soluzione politica per i curdi. Il processo di pace iniziato nel 2013 per trovare una soluzione pacifica tra lo Stato turco e il PKK va ricondotto sostanzialmente ai suoi sforzi. L’AKP e il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan invece nell’aprile 2015 hanno proclamato: “Non c’è un partito, non c’è un tavolo di trattative e non c’è una questione curda.”

Come può fare il Parlamento UE per esercitare influenza su Erdogan?

Gli spetta un compito importante: spingere per il fatto che la Turchia rispetti i diritti umani riconosciuti a livello internazionale e riprenda il dialogo interrotto per ricreare la pace con i curdi. Questo ha a che fare anche con la crisi in Siria. Si tratta del fatto di condurre con successo la lotta contro Daesh (definizione dispregiativa per “Stato Islamico”; associata alla parola araba Dais, che significa, “qualcuno che calpesta qualcosa con i piedi o semina zizzania”, jW); di imporre lì un ordine sociale democratico. I curdi hanno fatto tutto il possibile per costruire un sistema umano, autonomo e per stabilizzarlo. La Turchia interviene continuamente per destabilizzare rafforzare di nuovo Daesh. Di fronte a questo scenario porta avanti la criminalizzazione dei curdi. Se ora l’Europa in base ai propri interessi di politica economica sostiene la Turchia in questo, la possibilità di una democratizzazione del Medio Oriente viene mancata. Dato che la Turchia fa ancora parte del Consiglio d’Europa c’è la possibilità di esercitare influenza su di lei. Si tratta di chiarire esplicitamente il suo ruolo e di far passare sanzioni.

Come può fare il movimento delle donne curde portare avanti il processo di pace?

Noi vogliamo un sistema di parità diritti tra donne e uomini in tutte le istituzioni pubbliche e sociali. In questo non ci interessano né confini internazionali, meno che mai questioni di sviluppo militare delle nazioni. Siamo interessate a uno sviluppo democratico che non si arresta di fronte a confini nazionali. Noi siamo interessate a un progetto di Confederalismo Democratico – e al fatto di decentralizzare questo sistema. Noi non vogliamo creare nuovi confini in Siria, ma organizzare insieme alla popolazione nella regione una vita comune armonica.

Quindi sono immotivate riflessioni secondo le quali dopo il referendum in Iraq anche nella zona autonoma curda in Rojava in Siria del Nord ci sia intenzione di fondare uno Stato?

Abbiamo visto il risultato del referendum in Iraq alla fine del settembre 2017: Il locale ex Presidente curdo Masud Barzani ha iniziato un percorso solitario senza mettersi in comunicazione con la Comunità Internazionale. La sua intenzione di far votare sull’indipendenza della regione autonoma del Kurdistan nell’Iraq settentrionale ha incontrato resistenza dappertutto, anche nella propria regione. L‘Iran era contrario, gli USA, l’Europa, soprattutto Bagdad. È stato detto che non si voleva una seconda Israele. Perfino la Turchia che ha sostenuto Barzani, era contraria. Barzani è riuscito a convincere alla partecipazione l’Unione Patriottica del Kurdistan, PUK, il partito del suo rivale ed ex Presidente irakeno Jalal Talabani, solo all’ultimo minuto. Alla fine si trattava della città di Kirkuk, dove si trova la maggior parte del petrolio e che fino alla guerra lampo di IS nell’estate del 2014 si trovava sotto il controllo di Bagdad.

Quali prospettive per le regioni curde in Turchia, in Iraq e in Siria?

I regimi dei tre Paesi non hanno accettato la loro autonomia. Da 40 anni combattiamo in vano per ottenere uno status. In effetti in Turchia c’è stato un processo di trasformazione con il partito democratico di sinistra HDP, il Partito Democratico dei Popoli. L’HDP ha creato una base culturale per un cambiamento della società ed è riconosciuto a livello internazionale perché ha un effetto stabilizzante su un’area di crisi. È a favore dei diritti delle minoranze, anche per i curdi. Ha avuto il suo successo elettorale come primo partito a maggioranza curda – nel giugno 2015 è stato eletto direttamente in Parlamento con il 13,1 percento. È stato in grado di squassare la maggioranza assoluta dell’AKP. Successivamente quest’ultimo ha organizzato in fretta e furia il 1 novembre 2015 delle nuove elezioni anticipate. Nonostante la repressione l’HDP ha ottenuto il 10,8 percento e 59 seggi in Parlamento, è rimasto il terzo maggiore gruppo. Dal luglio 2017 undici deputati dell’HDP si trovano in carcere, sono stati revocati mandati. L’HDP è stato costantemente sostenuto dalle lotte della gente in strada perché possa continuare a perseguire i suoi obiettivi, la democratizzazione e i diritti umani. L’Unione Europea avrebbe potuto sostenerlo democraticamente, ma per ora appunto non lo ha fatto. In parallelo c’è il PYD, il Partito dell’Unione Democratica in Siria, che porta avanti la costruzione democratica di un sistema sanitario, dei centri delle donne, ecc. in Siria del nord e in Rojava. Anche lui viene sostenuto da manifestazioni. Ma gli Stati Nazione, in particolare la Turchia, impegnano tutta la loro potenza statale per impedire un movimento libertario nella popolazione.

Da molto tempo infuria la lotta dei curdi contro Daesh in Siria, dal 15 settembre 2014 si parla della liberazione della città di Kobane attaccata dalla milizia terroristica. Perfino quando la milizia terrorista islamista sarà sconfitta, continuerà la lotta contro le grandi potenze, USA, Russia e Europa, che rispettivamente perseguono propri interessi geo-strategici nell’area.

È presto per parlare di questo perché la lotta contro Daesh non è finita. Noi siamo consapevoli dei molti diversificati interessi delle grandi potenze, ma abbiamo dovuto fare alleanze per difendere la democrazia e respingere le forze islamiste radicali. Vogliamo essere rappresentati a livello diplomatico per disinnescare conflitti nella regione, rappresentare gli interessi della popolazione, rafforzare la sua situazione sociale. Ci rivolgiamo al Parlamento UE per far capire la situazione nella regione.

Si tratta di imporre diritti delle donne in un processo radicale che nelle stesse grandi potenze non è né consueto né noto. Si tratta anche del capitalismo che deve essere ricacciato indietro per realizzare conquiste sociali per la popolazione nelle regioni autonome curde?
Il nostro progetto politico critica il capitalismo: la posizione di monopolio e predominio che mantengono nel sistema le imprese orientate al profitto e lo sfruttamento delle persone e delle risorse ambientali collegate con questo. Per questo critichiamo molte nazioni della Comunità Internazionale e le loro istituzioni. Noi aspiriamo a un sistema libertario che si oppone al capitalismo e all’annesso patriarcato. Ciononostante non interromperemo tutti collegamenti con le parti del mondo che sfortunatamente ancora sottostanno a questo sistema superato e al suo ordine mondiale. Vogliamo la trasformazione della democrazia. Vogliamo prima cambiare il sistema sociale nella nostra regione – e lo facciamo all’ombra degli altri Stati. Siamo convinti che il nostro modello possa funzionare bene anche in Europa. Lì esiste già una struttura costituzionale che contiene diverse misure legislative sulla partecipazione della popolazione, i diritti umani, i diritti delle donne e la laicità. Ci sono già dei presupposti. Ma purtroppo la teoria non viene messa in pratica. Come reazione all’avanzata delle destre in Europa, lì si è di nuovo rafforzato il movimento delle donne: le donne scendono in piazza per la parità di diritti, la libertà sessuale, il diritto all’aborto. Combattono attivamente il patriarcato che lascia alle destre la possibilità di avanzare rapidamente. Questo sostegno ai diritti delle donne va portato avanti insieme a livello internazionale.

Quali differenze ci sono nel movimento delle donne curde in Europa?

Vedo soprattutto punti in comune. Le donne combattono la crescente violenza contro di loro, vogliono riconquistare collettivamente i loro diritti. Le donne curde hanno circa 50 associazioni per i diritti delle donne in tutta Europa, tengono le loro assemblee, si organizzano. Sono presenti e mobilitano in modo particolarmente forte in Germania, in Francia e nel Regno Unito.

Quale posizione ha secondo lei il Rojava come progetto di una società cambiata?

Anzitutto appare come progetto regionale di democrazia di base, ma ha un significato universale per un nuovo ordine sociale che si oppone al dominio. In questo svolge un ruolo la Jineoloji, la scienza delle donne, definita anche »femminismo curdo«. Si tratta della forma sostenuta da Öcalan di parità tra i generi. Descrive la realtà delle donne: Perché sono minoranza curda, donne e attiviste politiche, su di loro viene esercitata violenza causata dalla guerra così come violenza domestica e psicologica. I valori della Jineoloji non sono ritagliati su uno Stato Nazione, ma sono rilevanti a livello internazionale.

Abdullah Öcalan ha una rilevanza simile al socialista August Bebel, co-fondatore della socialdemocrazia tedesca che alla volta del 20° secolo si è impegnato in modo determinante per i diritti delle donne. Personalità come Bebel e Öcalan sono importanti come rappresentanti per l’emancipazione delle donne perché fanno sì che anche gli uomini ascoltino?

No, la filosofia di Öcalan è una creazione collettiva. Come pubblicista ha dato voce alle donne curde e al loro movimento, loro ci si riconoscono. Sono le loro utopie di liberazione delle donne; le sue idee, come metterle in pratica. È il loro compagno, lo ha formulato in parole.

Può citare una frase centrale che rispecchi la rilevanza della sua teoria?

Davanti allo scenario delle regole religiose e dei riti tribali basati sull’onore che opprimono le donne nelle società della regione, Öcalan ha detto che »un Paese non può essere libero se le donne non sono libere «. Era dell’opinione che la riduzione in schiavitù delle donna, la nascita del patriarcato, rappresenta l’inizio di ogni forma di schiavitù. Il livello di libertà delle donne determina il grado di libertà in una società nel suo complesso. Questo vale per le donne in tutto il pianeta. Questa teoria viene messa in pratica soprattutto in Rojava.

Perché Öcalan è al centro del femminismo curdo – e non una delle femministe?

Detto così non giusto, le donne hanno peso. Il movimento di liberazione delle donne curde ha già una storia di 40 anni. L’attivista assassinata il 9 gennaio 2013 insieme a Fidan Dogan e Leyla Saylemez, Sakine Cansiz, è stata co-fondatrice del PKK nel 1978 come Öcalan. È stata giustiziata nel pieno centro della capitale francese perché aveva portato avanti attivamente il processo di pace con la Turchia e la liberazione delle donne. Già negli anni ’80 le donne nelle montagne del Kurdistan in Turchia si sono organizzate in comitati di donne. L’emancipazione della donna curda non è iniziata solo nel 2012 con la rivoluzione in Rojava. Sakine Cansiz già nella sua gioventù nel carcere della metropoli curda Diyarbakir ha passato anni terribili nei quali i prigionieri politici e le prigioniere politiche venivano sistematicamente torturati. È assurta a “figura simbolo della lotta di liberazione delle donne curde”. Insieme ad altre donne ha fondato un battaglione di donne curde che erano pronte a combattere in un movimento politico in modo indipendente dai battaglioni degli uomini.

Secondo rapporti della stampa internazionale del 9 gennaio 2013, dopo l’assassinio delle tre attiviste, si continuano a trovare indizi di una partecipazione dei servizi segreti MIT. Sakine Cansiz all’epoca era sotto osservazione dei servizi dell’Interpol.
In effetti l’indagine in Francia ha fornito diverse indicazioni sul fatto che l’assassino Ömer Güney, arrestato alcuni giorni dopo il crimine, abbia agito su incarico del MIT. Tuttavia il suo processo è stato rinviato per così tanto tempo fino a quando lui il 17 dicembre 2016 è morto. Nonostante le promesse dell’allora Ministro degli Interni Manuel Valls dopo gli attentati, le autorità francesi non hanno mai cercato di chiarire fino in fondo il triplo assassinio. Gli Stati europei non fanno abbastanza per proteggere i rifugiati politici sul loro territorio, ma sono preoccupati di mantenere le loro relazioni con la Turchia. Anni dopo, il silenzio del governo francese appare perle nostre orecchie più assordante che mai. Lo invitiamo a fare chiarezza sugli assassinii.

Intervista di Gitta Düperthal, Junge Welt