In Medio Oriente si sta inasprendo la Terza Guerra Mondiale

arebbe sbagliato considerare la guerra che oggi investe la Siria e l’Iraq solo come uno sviluppo regionale. Piuttosto la guerra che si inasprisce a livello regionale e in particolare in Iraq e in Siria andrebbe intesa come una »guerra mondiale in miniatura«. Questa è la valutazione di moli e delle autorità politiche nella regione. Abbiamo a che fare con una regione di guerra che si estende da Mûsil (Mosul) in Iraq fino ad Al-Bab nella Siria settentrionale. Ma gli effetti politici, economici e sociali di questa guerra toccano gli interessi di tutte le forze regionali e di tutte le grandi potenze a livello mondiale.

In effetti questi sviluppi hanno a che fare immediatamente con il fatto che i confini politici e geografici tracciati dopo la Prima Guerra Mondiale, ovvero lo status politico dell’ultimo secolo non sono più sostenibili. Che questo status quo stia decadendo è chiaro, ma resta aperta la questione di cosa verrà al suo posto. Il calcolo di tutte le forze regionali e internazionali è di prendere parte nel riordino della regione, di influenzarla secondo i loro interessi e di garantire la propria esistenza. Questo a sua volta porta al fatto che queste potenze devono posizionarsi una contro l’altra. Nella regione nessuna forza può determinare il corso da sola. Per questo ci sono le più diverse relazioni e alleanze. Ogni nuova alleanza significa contemporaneamente anche un nuovo nemico. Un nuovo nemico corrisponde a un nuovo campo di conflitto e a un nuovo scontro. E con questi scontri le alleanze non sono mai durature, ma cambiano a volte quotidianamente. Interpretare la regione in forma di »relazioni e alleanze durature« in senso assoluto o di »conflitti e scontri duraturi« in senso assoluto, sarebbe un grande errore. Ma nei tratti fondamentali è possibile esporre chi pianifica cosa.

Se esaminiamo da vicino la situazione sul posto e i calcoli delle diverse parti, possiamo tracciare un quadro più realistico.

La guerra per Mûsil

Dobbiamo iniziare da Mûsil, com’è noto seconda città più grande dell’Iraq, occupata da Stato Islamico (IS) dal giugno 2014. I sunniti al centro dell’Iraq si sono riuniti sotto la sua bandiera e hanno consegnato la città. Non c’è stato alcun tipo di scontro. L’occupazione di Mûsil non ha modificato solo la città e i suoi dintorni. Contemporaneamente sono stati distrutti tutti gli equilibri politici dell’Iraq. Il governo centrale di Al-Maliki è stato costretto a dimettersi. L’autorità sciita determinante nel governo di Bagdad ha valutato come rischiosa una maggiore emarginazione dei sunniti e cercato di modificare la situazione a Mûsil e nei dintorni. Ma non si può sostenere che in questo abbia avuto molto successo. Perché il blocco sunnita, nel quale trovano il proprio posto anche la Turchia e il Partito Democratico del Kurdistan (PDK) del Kurdistan del sud, con il sostegno del Qatar e dell’Arabia Saudita ha garantito che Mûsil restasse occupata da IS. Se alcuni sunniti avessero raggiunto la posizione alla quale puntavano nella guida di Bagdad, questo avrebbe potuto modificare la situazione. Ma questo allo stesso tempo avrebbe rappresentato un grande rischio. Perché posizionarsi nella parte avversa nella polarizzazione sunnita-sciita significherebbe una rigorosa esclusione e nessun gruppo avrebbe potuto collaborare incondizionatamente con il governo di Bagdad. Con gli sforzi intensi degli USA e delle forze internazionali, del governo di Al-Abadi e naturalmente con l’influenza politica e militare dell’Iran è stato creato anche un limitato consenso politico per la presa di Mûsil. Il fatto che IS in Siria sia stato respinto dalle forze curde e il rifiuto di questa creazione barbarica da parte del mondo, anche se solo in modo relativo, ha aperto la strada per lo sviluppo di una relazione stabile dei sunniti a Mûsil e dintorni con Bagdad. È una specie di accordo su una »sufficiente« rappresentanza dei sunniti nella direzione a Bagdad. Su questa base il 17 ottobre l’operazione Mûsil è iniziata militarmente. L’inizio è stato importante, ma diversi osservatori pensano che fosse presto. Il consenso politico sopradescritto e insufficientemente maturato mette in pericolo l’operazione. Sì, Mûsil viene riconquistata a IS. Ma chi la governerà dopo? Cosa ne sarà dei gruppi sunniti in Iraq? Le risposte a queste domande sono di grande significato per il futuro delle società in questa regione.

Sia la Turchia che il PDK nel Kurdistan del sud che agisce insieme a lei, sono stati in un certo senso costretti ad acconsentire all’operazione a Mûsil. Perché altrimenti si sarebbero trovati nella posizione di proteggere IS. I gruppi sunniti in Iraq hanno acconsentito all’operazione sulla base delle promesse, inoltre non volevano restare il bersaglio del mondo. Se avessero continuato a muoversi con IS, questa sarebbe stata una decisione di essere obiettivo degli sciiti e non solo degli sciiti, ma di tutto il mondo. Per queste ragioni si può dire che le sfere direttive dei sunniti in Iraq sono state anch’esse costrette ad acconsentire all’operazione Mûsil.

La Turchia invece voleva prendere parte a questa operazione. Questo obiettivo non si è realizzato. Attraverso la conquista di spazio voleva impedire che lì si rafforzassero i curdi. Non ha comunque ma sentito il bisogno di nascondere questi obiettivi. Se fosse entrata a Mûsil, avrebbe avuto diritto di parola non solo rispetto ai curdi ma rispetto all’intera arena politica dell’Iraq in generale. Il PDK e alcuni gruppi sunniti in Iraq hanno sostenuto questa posizione e si sono appoggiati alla Turchia. Ankara per questo ha costruito un campo militare a Başiqa. Se fosse stata coinvolta nell’operazione, avrebbe aumentato le sue forze ed eseguito un’operazione non limitata a Mûsil fino a Şengal (Sindjar). Il rischio di un attacco a Şengal non può ancora essere ignorato.

Dato che il piano della Turchia per Mûsil non è andato a segno, anche il piano del PDK è andato a vuoto. Le forze curde hanno accompagnato l’operazione fino ai confini di Mûsil, nel centro della città non sono potute entrare. Che i curdi non entrino nel centro di Mûsil, è dipeso anche dall’interesse turco. In base a questo i curdi non devono restare a Mûsil e tramite il PDK questo piano finora è stato imposto. Dato che la Turchia non è stata integrata nell’operazione di Mûsil, i suoi calcoli politici e militari non sono passati. Ma il suo impegno perché i curdi restassero fuori dal centro di Mûsil è stato realizzato grazie al PDK.
Perché non è stato coinvolto il PKK?

È stato in un certo qual modo discusso se forze del PKK dovessero essere coinvolte nell’operazione Mûsil. L’unica ragione per il mancato coinvolgimento del PKK, che combatte nel modo più efficace IS e in questo ha raccolto abbastanza esperienze, è lo Stato turco. Bagdad non voleva offrire alla Turchia un motivo di »attacco« e ha rifiutato la partecipazione del PKK. Il PDK difende la stessa tesi: »Se c’è il PKK non ci siamo noi.«

Ma dato che a Şengal ci sono forze addestrate dal PKK, è stata una condizione necessaria farlo partecipare in una certa misura. Le forze di Şengal all’inizio di novembre hanno iniziato un’avanza, i collegamenti tra la montagna di Şengal e il territorio di IS sono stati interrotti. Ma Bagdad ha chiesto l’interruzione, Al-Abadi sotto la pressione di Ankara non voleva un’operazione a Şengal.
La posizione dell’Iran

Il ruolo dell’Iran per l’operazione Mûsil ha un significato esistenziale. Teheran in Iraq ha creato un piccolo Iran, i cui centri sono Bagdad e Basra. Ora il suo obiettivo è conquistare influenza a Mûsil e contrapporsi lì alle forze sunnite in modo diretto. Per questa ragione sono state organizzate le milizie popolari (Hashid Shaabi) e recentemente accettate come forza ufficiale in Iraq.

Anche l’Iran non voleva la Turchia a Mûsil e considera un rafforzamento della Turchia come concorrenza. Lo stesso Iran non voleva una partecipazione del PKK all’operazione Mûsil, perché anche in Iran si pone la questione curda e una presenza dei curdi a Mûsil indebolirebbe anche lui. L’Iran ha fatto passare tutta la sua politica attraverso Bagdad e attualmente nell’equazione Mûsil è la forza maggiore che può imporre i propri calcoli. Sottovalutare l’Iran nella regione, sarebbe un atto di miopia politica. Per questa ragione la sua posizione va osservata con attenzione.

Mentre l’operazione Mûsil procede, l’Iran ha raccolto forze intorno a Kirkuk. Al-Abadi ha dato una netta disdetta alle dichiarazioni di »indipendenza« dei curdi. Sarebbe più giusto interpretarlo come una posizione dell’Iran. Se quindi Mûsil viene liberata da IS e l’Iran a Mûsil si rafforza, i curdi saranno marcati in modo più stretto. È rischioso che il PDK prenda posizione »a nome dei curdi« nella polarizzazione sunnita-sciita. Per i curdi la politica giusta è non prendere partito nei conflitti settari e organizzare ovunque la vita democratica. Ma le attività politiche di segno opposto del PDK alimentano il rischio per la regione curda.

Se riassumiamo l’operazione Mûsil: non c’è da aspettarsi una fine dell’operazione in breve tempo. Se IS viene scacciato, purtroppo a Mûsil scorrerà ancora più sangue. Anche se IS viene eliminato fino alle radici, le diverse parti continueranno a mandarsi reciprocamente messaggi con »bombe«. Un giorno ci sarà un’esplosione in un quartiere sciita, un altro giorno in quello sunnita. Per questo sarebbe sbagliato aspettarsi in breve tempo stabilità a Mûsil e in Iraq in generale.

Se IS viene scacciato da Mûsil, c’ solo un indirizzo dove può andare e cioè al centro della Siria. La sua principale zona di ingresso è la zona di Dair az-Zaur. Attraverso questa linea si posizionerà fino ad Ar-Raqqa. D’altro canto contro Ar-Raqqa è in corso l’operazione delle forze curde e democratiche. Da questo punto vista non c’è nulla di buono che aspetti IS.
L’operazione Ar-Raqqa

L’operazione Ar-Raqqa cambierà il destino della Siria. Per questa ragione è estremamente importante. Ma anche da questa non ci si attende una conclusione rapida. Le Forze Democratiche della Siria (FDS) sotto la guida delle unità di difesa curde hanno iniziato un’operazione in tre fasi per la liberazione di Ar-Raqqa e finora sono avanzati per 25 chilometri. Con questo la prima fase dell’operazione è terminata. La seconda fase sarà circondare il centro della città. Nella terza fase invece si tratterà della liberazione completa.

Se le Forze Democratiche della Siria non si fossero unite a questa operazione, gli USA e la Turchia le avrebbero scaricate con un qualche tipo di accordo. La città di Al-Bab sarebbe stata consegnata alle forze turche – e queste si sarebbero poi mosse in direzione sudest verso Ar-Raqqa. Ma questo sarebbe stato difficile da realizzare. Dato che gli USA sono consapevoli di questa realtà, hanno voluto fare l’operazione insieme alle forze curde. Se i curdi non ne fossero stati parte, la Turchia si sarebbe ulteriormente allargata in Siria e avrebbe ulteriormente rafforzato la base per le sue intenzioni di occupare il Rojava. L’unificazione dei cantoni non sarebbe più stata possibile. Da questo punto di vista l’operazione Ar-Raqqa non è più solo un’avanzata politica e diplomatica, e ha successo. L’avanzata della Turchia è stata fermata.

Per la fine definitiva di questa operazione sarà determinante il sostegno politico e militare degli USA. Le FDS vogliono dagli USA armi pesanti. Questi usano essi stessi l’arsenale che hanno portato e non lo lasciano alle forze locali. Ar-Raqqa è una città grande e dato che nel centro gli attacchi aerei sono inefficaci, ha bisogni di altre armi. Ma queste non sono ancora arrivate. Su questo punto si aspetta la posizione del nuovo governo USA.

L’aspetto politico di questa questione riguarda la questione dell’impostazione politica della Siria dopo Ar-Raqqa. I curdi saranno presenti al tavolo? In caso contrario, allora perché combattono contro IS? Servono passi politici. Ar-Raqqa porterebbe la vittoria per molto oppure la sconfitta. Finora le promesse politiche per i curdi non sono altro che »parole«. Per questo c’è da attendersi che nel contesto di Ar-Raqqa si comporteranno in modo diffidente.

Gli USA hanno dichiarato di essersi messi d’accordo con la Turchia per via di Ar-Raqqa. Dato che anch’essa non sa come verrà coinvolta nel futuro di Ar-Raqqa, regna una grande insicurezza. In questa atmosfera gravemente insicura ognuno valuta i passi dell’altro e si posiziona di conseguenza.

Riassumendo: L’operazione Ar-Raqqa dipenderà dalla prossima primavera e dopo si inizierà a discutere del futuro della Siria.
La situazione ad Al-Bab

La liberazione di Ar-Raqqa da IS viene determinata dagli sviluppi nella regione di Al-Bab. Senza chiarezza lì, le Forze Democratiche della Siria non possono conquistare Ar-Raqqa. Perché il suo retroterra è Al-Bab e quindi deve essere prima liberato. La Turchia con il suo ingresso ad Al-Bab vuole creare un corridoio verso Aleppo e Ar-Raqqa. Questo piano è stato accettato dalla Russia e degli USA. Ma anche l’Iran non è interessato a un progresso della Turchia in Siria. Da questo punto di vista i calcoli dell’Iran e dei curdi si incontrano ad Al-Bab. Anche Damasco non vuole un ingresso della Turchia ad Al-Bab. Per questo il cammino della Turchia verso Al-Bab è diventato più difficile. Probabilmente Al-Bab verrà presa dalle forze del regime. Le FSD sono presenti anche in questa regione. Potrebbero sconfiggere IS attraverso un »affare« con il regime e impedire l’ingresso della Turchia. Come contropartita il governo a Damasco accetterebbe l’apertura di un corridoio tra i cantoni del Rojava.

IS scacciato da Al-Bab cercherebbe rifugio ad Ar-Raqqa. I gruppi sostenuti dalla Turchia invece potrebbero vedere Aleppo solo da lontano.

Se le Forze Democratiche della Siria si rivolgono verso Ar-Raqqa, Damasco eseguirà un’operazione contro Idlib. La conquista di Idlib distruggerà per bene i piani della Turchia in Siria e resterà limitata alla linea Cerablus ­ (Jarabulus)/Mare. Allora queste località per lei saranno prive di significato. Un quadro del genere si delineerà; IS scacciato da Mûsil fuggirà verso Ar-Raqqa, così come da Al-Bab. Ar-Raqqa verrà liberata da IS dalle Forze Democratiche della Siria e Dair az-Zaur a sudest dal regime siriano, impartendogli così un colpo mortale. La sua influenza in Siria finirà. Contemporaneamente la Siria, naturalmente con l’appoggio della Russia e dell’Iran, eseguirà l’operazione contro Idlib. Allora i gruppi definiti come Esercito Libero Siriano (ELS) e legati alla Turchia saranno alla fine. Cerablus, Al-Rai e Mare continueranno a essere sotto occupazione turca. Ma dato che le aree circostanti saranno chiuse dalle Forze Democratiche della Siria e il sud dai soldati siriani, l’influenza delle forze turche resterà limitata a livello locale.

Naturalmente la Turchia non accetterà questo scenario. Per questo attaccherà le forze del Rojava e, se ha coraggio, anche le forze della Siria, creerà provocazioni e aumenterà la tensione.

Quando la situazione ad Al-Bab, Ar-Raqqa e Idlib diventerà più chiara, inizieranno le discussioni su una soluzione politica in Siria. Gli USA, la Russia e le forze regionali già ora fanno calcoli in questo senso.

Riassumendo: Nell’invero e nei prossimi mesi primaverili il territorio siriano diventerà lo scenario di scontri. La svanita influenza di IS e ELS aprirà la strada ad altri gruppi armati. Ma non saranno forti come prima. Nella geografia della Siria il governo di Damasco e i curdi saranno attori politici forti. O faranno compromessi o si combatteranno a vicenda. Naturalmente le aree sunnite in Siria dispongono di forze e diritti che non possono essere emarginati. Per questo per la Siria serve una ricetta democratica. Ma se gli USA e la Russia prendono le decisioni, non c’è una base per la federazione democratica di forze locali. Il governo di Damasco ancora non prevede uno status per i curdi. In questa situazione il terreno è pronto per degli scontri. Gli USA e la Russia possono concordare tra loro il futuro della Siria e imporlo a tutti.

In questa situazione la Siria non sarà la vecchia Siria, ma quanto sarà »nuova«, è una questione aperta e che merita di essere discussa. Per i curdi attualmente il problema più grande non è più IS. Per loro nemmeno l’insicurezza militare ma quella politica sono il problema più serio. Militarmente sono in condizioni di difendersi. Ma se questa forza non trova una risonanza politica, inizierà una fase piena di rischi. Da questo punto di vista la Turchia rappresenta il fattore più pericoloso. La Turchia non vuole in nessun caso che i curdi in Siria dispongano di diritti politici. Questo sarà quanto in futuro porrà come condizione alle diverse parti. Se se ne dovesse presentare la possibilità, porterà avanti il suo piano di occupazione militare. Perché i curdi in Siria ottengano diritti, deve essere superato l’ostacolo Turchia. La situazione in Siria determinerà anche il futuro della questione curda in Turchia. E attualmente non è possibile risolvere questa questione per via politico-democratica. Partendo da questa realtà, lo scontro tra i curdi e lo Stato turco non avviene solo all’interno dei confini dello Stato turco. Anche in Siria e in Iraq questa lotta viene combattuta nel modo più aspro.

Per un posto nel nuovo status quo regionale i curdi devono superare l’attuale paradigma dello Stato turco. Ad Ankara ancora non c’è un’autorità che accetterebbe i curdi. Ma il loro progressivo rafforzamento nella regione spianerà la strada al declino di questa autorità e alla fine della dittatura di Erdoğan.

Amed Dicle, giornalista