Il processo di pace si trova davanti ad una soglia difficile

Il Medio Oriente è un vero e proprio giardino dei popoli, delle comunità religiose, delle lingue e delle culture. Il colore, la lingua e la cultura curda, che da migliaia di anni è parte di questo mosaico regionale – soprattutto nell’ultimo secolo- è stata costantemente esposta ad attacchi e tentativi di annientamento. Questi attacchi disumani continuano a tutt’oggi. Questi attacchi di annientamento non hanno solo creato un grosso danno e l’impoverimento del popolo curdo, ma per tutta la regione e l’intera umanità. Non va dimenticato che l’attuale sistema di caos e di guerra nella regione è stato costruito sulla negazione e la divisione del popolo curdo.

Stiamo vivendo un momento storico, in cui si modificano sia il Kurdistan che il Medio Oriente.

La soluzione pacifica e politica della questione curda, a fronte del suo carattere e della sua estensione, così come delle sue dimensioni a livello regionale ed internazionale, porterà cambiamenti che andranno a favore dei popoli. La fase di dialogo iniziata alla fine dello scorso anno è riconducibile all’iniziativa del rappresentante del popolo curdo Abdullah Öcalan, detenuto da 14 anno in pesanti condizioni di isolamento sull’isola-carcere di Imrali.

Il processo di pace e di soluzione che circa 5 mesi fa, il 21 marzo, ha avviato con una dichiarazione in occasione della festa per il capodanno curdo davanti a milioni di persone in tutto il mondo, assegna alle parti in conflitto grandi responsabilità e compiti.

Nonostante i tentativi di sabotaggio da parte dello Stato turco, la prima fase è stata conclusa grazie al grande spirito di sacrificio della parte curda. In questa fase sono stati liberati soldati, guardiani dei villaggi e funzionari turchi, proclamato un cessate il fuoco e iniziata la ritirata delle unità guerrigliere. Come segno di buona volontà e come misura per la costruzione di fiducia, da parte del governo dell’AKP sarebbero dovute seguire passaggi come modifiche legislative, l’elaborazione di una nuova costituzione. Se i diritti elementari del popolo curdo venissero fissati nella costituzione, avrebbe inizio la terza fase, definita come la fase di normalizzazione. Nonostante il fatto che il 1 giugno 2013 la prima fase si sia conclusa, il governo dell’AKP ad oggi non ha preso misure in questa direzione. Al contrario: la sua pratica politica contraddice completamente lo spirito della fase pacifica.

Gli attacchi e le attività militari non sono mai stati del tutto interrotti, sono stati avviati lavori di costruzione di nuove stazioni di polizia, caserme e di nuove dighe nei territori curdi, il numero di guardiani dei villaggi è aumentato, sono state impedite manifestazioni democratiche e pacifiche, o come a Licê l’attacco da parte dello Stato ha causato la morte di un curdo, il processo per il massacro di Roboskî è stato interrotto, non ci sono stati contributi per la soluzione del triplice assassinio a Parigi, i prigionieri politici delle cosiddette „operazioni KCK”, tra cui deputati ed una serie di persone gravemente malate, non sono stati liberati, la richiesta di insegnamento in lingua madre, l’abbassamento della soglia elettorale attualmente al 10% e la richiesta di un’amnistia generalizzata, anche se erano tra le prime dell’elenco contenuto nella relazione della Commissione-Waisman, sono state chiaramente rifiutate.

La chiusura di canali televisivi curdi in Europa è stata applaudita con gioia, la libertà di stampa è stata ulteriormente limitata e sono state fatte tacere le voci dell‘opposizione, bande collegate ad Al-Qaeda sono state organizzate e sostenute contro il popolo curdo nel Rojava, in questo periodo non si è rinunciato alla minacciosa retorica dei ‘terroristi’ e del ‘le nostre forze di sicurezza faranno tutto il necessario’. Del malcontento rispetto al Congresso Nazionale Curdo previsto per il 15 settembre non si è fatto mistero. Mentre in ogni occasione critica e attacca il golpe militare in Egitto, non ha messo in atto una singola modifica democratica della legislazione esistente e invece di un rinnovamento della costituzione, si mantiene saldamente la vecchia costituzione golpista.

In questo periodo le condizioni di detenzione di Abdullah Öcalan, che contraddicono lo spirito del processo di pace, a parte lo spostamento in un’altra cella, non sono state modificate. Da oltre due anni i suoi avvocati non hanno accesso al loro assistito, le visite dei famigliari vengono impedite in modo arbitrario, anche la delegazione del BDP che può visitarlo è sottoposta ad interventi di natura arbitraria – l’AKP decide chi può recarsi sull’isola e quando.

Mente al rappresentante del popolo curdo Öcalan viene chiesto il maggior contributo, si continua ad imporgli pesanti condizioni di detenzione. Già questo è sufficiente a dare la misura di ciò che il governo dell’AKP intende per soluzione democratica. Questo d’altronde tra il popolo curdo e tutte le persone impegnate per la pace e la democrazia provoca serie riserve. Il 23 agosto il giornalista Daniel Dombey ja scritto sul Financial Times quanto segue: ‘Persino il personale di sicurezza si chiede se Erdogan vuole davvero risolvere il problema o se sta solo cercando di guadagnare tempo prima delle elezioni.’ Il giornalista poi cita un guardiano di villaggio di Çelê (Cukurca) ‘La Turchia non ha fatto alcun passaggio. Il PKK si è ritirato ed ha interrotto le proprie attività militari, ma la Turchia gioca sul tempo.’

Nell’ultimo congresso del Kongra-Gel, il movimento curdo ha riconfermato ai più alti livelli la propria determinazione nel voler risolvere il problema per mezzo del dialogo. Per il rsto Abdullah Öcalan ha proposto l’ulteriore sviluppo della fase di pace e la creazione di otto diverse commissioni. Anche questa proposta ad oggi non ha avuto risposte. Questa resistenza da parte del governo dell’AKP mette in pericolo l’ulteriore sviluppo della fase di pace. Öcalan, che non perde d’occhio gli sviluppi a livello regionale ed internazionale, segnala due fondamentali scadenze, il 1 settembre e il 15 ottobre.

Queste due date rappresentano un termine entro il quale il governo deve rendere note e dare seguito alle sue intenzioni ed i propri progetti per modifiche legislative ed una nuova costituzione, così come rispetto ad altre misure concrete. Ci si aspetta che il governo dell’AKP entro il 1 settembre dichiari pubblicamente con quali passi concreti vuole sviluppare la fase. Poi c’è ancora un tempo determinato nel quale questo progetto può essere discusso ed approfondito, che poi, dopo l’apertura del parlamento turco il 15 ottobre può essere concretamente attuato.

Se il governo dell’AKP, che si trova ad un bivio, dovesse trascurare queste scadenze e perseverare nella politica portata avanti fino ad ora, lo aspettano tempi difficili. Rispetto agli sviluppi nella regione in generale ed in particolare, l’atmosfera politica che si va riscaldando nel Rojava, si può partire dal presupposto che la parte curda non possa accettare questo atteggiamento irresponsabile del governo che condurrà ad una guerra più grande e più sanguinosa. In base alla propria richiesta di impegnarsi per un’unità paritetica, libera e democratica dei popoli nel Kurdistan, in Turchia e nel Medio Oriente, non potrà accettare questo stato delle cose. Questo non va inteso come una minaccia. Ma la conclusione delle trattative spianerà necessariamente la strada ad una guerra sanguinosa. La responsabilità per questo è grande. Per questo è importante prevenire che avvenga. Questo è il compito delle forze sociali impegnate per la libertà, la pace e la democrazia sia nel paese che all’estero. Solo in questo modo il governo può muoversi in direzione di una soluzione ed essere scongiurato il pericolo.

Il movimento curdo ha dichiarato pubblicamente che intende rispondere a questo atteggiamento del governo con una lotta politica democratica, complessiva ed efficace. Così come la lotta del popolo curdo ha fatto andare a vuoto le operazioni militari e politiche dell’AKP, costringendo l‘AKP al dialogo con Öcalan, così anche oggi il garante del proseguimento della fase pacifica è la lotta dei popoli per la democrazia e la pace.

La mano dei popoli, che nella prima tappe della face si pace si è stesa da Gezi a Licê, da Licê a Gezi, è stata un’importante opportunità perché la lotta dei popoli prosegua come una lotta comune. Con la consapevolezza che la realizzazione di una soluzione pacifica in Kurdistan equivale alla costituzione di una democrazia pluralista, liberale e con uguali diritti per l’intera Turchia e per tutta la regione, la lotta comune va sviluppata e rafforzata. In questo contesto, tutte le forze democratiche impegnate per la pace e la libertà, in occasione della giornata contro la guerra del 1 settembre dovrebbero unire le proprie forze nelle strade e nelle piazze. L’AKP che in ogni occasione fa riferimento all’Egitto e cerca di rappresentare tutte le reazioni democratiche e tutte le critiche che gli vengono rivolte come un ‘tentativo di golpe’, teme più di tutto la lotta comune dei popoli. Perché solo una lotta di questo tipo aprirà la strada per una vera pace, libertà e democrazia.

Allo stesso tempo è importante che gli stati europei e la comunità internazionale con le proprie istituzioni, che svolgono un ruolo importante nel sollevare ed approfondire le richieste curde, così come tutte le forze progressiste e democratiche a livello mondiale, diano un contributo positivo alla fase di pace, perché la soglia critica possa essere superata in favore della pace e della democrazia.

di Ismet Kem, Membro del Congesso Nazionale del Kurdistan-KNK