Il piacentino Federico Maccagni parte con Uiki Onlus alla volta del Kurdistan
Dopo il rally in Mongolia e il viaggio in Bolivia con il progetto Kamlalaf da cui ha tratto spunto per realizzare il documentario “Diario in Bolivia”, per il ventottenne videomaker Federico Maccagni è tempo di una nuova avventura. Con Uiki onlus (Ufficio di Informazione del Kurdistan in Italia), partirà infatti oggi alla volta del Kurdistan, cinque anni dopo la sua prima esperienza nelle aree abitate dal popolo curdo, oggi prevalentemente suddivise tra Iraq, Siria e Turchia.
“Non si tratta di un viaggio organizzato per motivi umanitari – spiega Maccagni. Il nostro obiettivo sarà quello di metterci in contatto con le istituzioni curde e riportare a casa uno sguardo non mediato della realtà del popolo curdo”. Una realtà composta da circa 36 milioni di persone che da decenni chiedono invano il riconoscimento della propria indipendenza o quantomeno della propria autonomia amministrativa. Rivendicazione che è costata l’ergastolo per il leader curdo del Pkk (Partito dei Lavoratori Kurrdistan) Abdullah Ocalan, rinchiuso dal 1999 nell’isola-prigione turca di Imrali e condannato con l’accusa di attività separatista armata.
Difficile anche solo stimare il numero dei prigionieri curdi presenti nelle carceri turche. C’è chi parla di centinaia e chi di diverse migliaia di detenuti in condizioni drammatiche, in un paese che punisce per attività separatista la semplice esposizione di una bandiera curda con la reclusione, nella cornice di un sistema detentivo caratterizzato anche dalla presenza di diversi minori, colpevoli di aver manifestato pubblicamente il proprio dissenso verso il governo turco.
Eppure in questo contesto tragico, c’è anche lo spazio per gioire: nella città curda di Kobane in Siria, dopo quattro mesi di assedio da parte dei militanti dell’Isis, è tornata a sventolare la bandiera curda. “Durante la nostra permanenza in territorio curdo – continua Maccagni – pernotteremo prevalentemente nella città di Diyarbakir, ma raggiungeremo anche alcuni campi profughi vicino al confine siriano e alla città di Kobane. L’insegnamento più grande che mi porto dentro dopo il mio primo viaggio in Kurdistan è certamente la grande forza con cui questo popolo difende la propria identità. Qualcosa di toccante e a cui noi italiani non siamo abituati. Ma oggi è importante ritornare perchè la situazione è mutata e l’esperienza dei curdi del Rojava (una regione situata nella Siria nordorientale) sta portando avanti un’idea di Islam basata sulla parità di genere, qualcosa di molto diverso dall’immagine stereotipata dipinta spesso da noi europei”.
Piacenza 24