Il campo profughi di Domiz e le radici dell’esodo umanitario verso l’Europa

Negli ultimi tempi si discute tantissimo, facendo anche campagne aggressive per squallida sopravvivenza politica, dei drammi migratori verso i nostri paesi europei.

Quando va bene ne parliamo nell’ottica della civile accoglienza e dei principi base dell’Europa democratica. Il peggio, molto diffuso e anche silenzioso, è fatto di rabbia violenta ed impossibili chiusure nazionali e razziali. Ci voleva la foto di Alan Koban, il piccolo annegato, accoccolato su quella spiaggia. Alan veniva da qui, di famiglia kurda che aveva tentato di salvarsi passando il mare (in foto). Adesso è ritornato a casa, ma nel cimitero di Kobane. Quella famiglia, assieme a tantissime altre, aveva in alternativa per salvarsi, quella di seguire l’altro flusso che esodava verso le decine di campi profughi accolti nel Kurdistan del nord Iraq.

Allora torniamo in questi campi profughi, attraversandoli, vivendoli un po’ dal di dentro, ben consapevoli che la nostra è pur sempre una passeggiata breve come una goccia, ma consigliabile a tutti noi benestanti, a partire dai sostenitori dei leader xenofobi.Questo è il campo di Domiz, nel Distretto kurdo di Duhok e verso il confine siriano.È il rifugio per profughi più grande in assoluto, con una “capienza” di circa 80.000 posti, gestito sotto l’egida ONU UNHCR ed il concorso di una decina di rinomate ONG internazionali, fra cui spiccano le italiane “Medici senza frontiere” ed “Un ponte per”. Una baraccopoli/ tendopoli di tali dimensioni, è difficile da immaginare ed ancor più da gestire, specie con le risorse insufficienti di UNHCR.

Indispensabile è perciò il contributo logistico e di sicurezza del governo regionale kurdo.Ci sono problemi enormi ed accatastati, per la sopravvivenza, le convivenze, le salubrità fra fogne e scarichi a cielo aperto, caldo cocente nei mesi estivi – ora ad inizio ottobre ancora vicino ai 40°C -freddo e piogge nei mesi che verranno.Le centinaia di bambini che giocano con gli oggetti più impensabili o zigzagando in bicicletta, danno un respiro al resto del corpo del campo, fatto di attesa disperante, di tempo che passa lento e senza fare niente, di speranze debolissime e legate a fatti ed eventi che, soprattutto, stanno fuori da loro e da qui.

Quando finirà la guerra in Siria? Quando scacceranno l’Isis? Potremo rientrare nel Rojava-Kurdistan siriano e lasciati in pace? Sei italiano? Dimmi, come faccio ad arrivare? Domande corte e dirette e tutte con risposte difficili e quasi imbarazzanti.Ci si rende conto, dal vivo, di osservare e toccare una delle tante radici degli esodi umanitari che partono da qui e ritroviamo in Europa. Ma la radice che alimenta sta qui e in questi drammi collettivi. Domiz è un campo con circa 80.000 profughi, ma in solo questo distretto di Duhok ci sono altri 23 campi profughi, per 800.000 rifugiati.

Nella regione kurda del nord Iraq, sono accolti circa 1,8-2 milioni di profughi, su una popolazione complessiva di 5 milioni.Famiglie fuggite dalla lunga guerra civile siriana, poi dell’orrore del Califfato nero, poi dall’accanimento contro i kurdi di Kobane ed altri distretti del Rojava siriano.

Le nostre risposte a quelle domande che ci fanno dentro a Domiz, per non essere imbarazzanti e balbettanti, dovrebbero poter parlare ed assicurare un maggior impegno internazionale, Europa in primis, per bloccare queste guerre, imporre corridoi umanitari oggi inesistenti, sbloccare gli embarghi che di fatto oggi pesano su queste uniche regioni kurde capaci di resistere e bloccare l’onda Isis. Regioni e popolazioni ben organizzate, ma con poche risorse che, si caricano del peso della lotta all’Isis, e che andrebbero con urgenza riconosciute e sostenute con fatti ben visibili ed il massimo di collaborazione. A partire dall’Italia e dall’Europa.

Franco Zavatti Cgil Modena-Associazione “Verso il Kurdistan-Onlus”