I crimini della Turchia sotto esame del Tribunale Permanente dei Popoli

Il 15 e il 16 marzo si è riconvocato nelle rue parigine, e più precisamente nei pressi di Place de la Republique, il Tribunale Permanente dei Popoli. La location, non casuale, è uno degli edifici in cui si tennero le prime assemblee operaie dei lavoratori parigini negli anni in cui le formazioni sindacali avevano appena iniziato a organizzarsi.

Le date erano particolarmente significative visto che negli stessi giorni la Turchia era impegnata nell’attacco diretto alla città di Afrin (enclave curda del Rojava), con tutte le questioni che questo processo ha fatto emergere. Un processo i cui contenuti si sono rivelati essenziali per mostrare al mondo una delle verità che nessuno sembra avere voglia o forse il coraggio di sentire né guardare.

 

Perché una sessione del Tribunale sui crimini perpetrati dalla Turchia nel Kurdistan turco

La Turchia non ha firmato lo Statuto di Roma, pertanto la Corte Penale Internazionale non ha giurisdizione su crimini commessi da questo Stato e la prospettiva che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si esprima in merito all’intervento della Corte Penale Internazionale su questo caso specifico non è realistica. Quindi, non c’è alcun tipo di corpo giudiziario ufficiale che possa esercitare la propria giurisdizione sui crimini commessi in Turchia dallo stato turco.

Il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) è, così, l’unico soggetto ad avere l’interesse e la possibilità di aprire un processo su tali crimini. Il TPP è nato nel 1979 e in questi decenni di lavoro è stato capace di tenere vivo e attualizzare il diritto all’autodeterminazione dei popoli.

Questa sessione del tribunale, subito dopo la conclusione della sessione a Parigi sulle violazioni dei diritti delle persone migranti e rifugiate, ha approfondito con dovizia e in modo dettagliato, la negazione dei diritti politici, culturali, sociali ed economici alla popolazione curda che vive in Turchia. È stato sostenuto dall’accusa che queste violazioni del diritto all’autodeterminazione dei curdi sono la fonte del conflitto che si combatte tra lo stato turco e il popolo curdo ormai da decenni.

 

Cizre: una città distrutta nel silenzio

La giuria, composta da 7 giudici, è stata dunque chiamata a esprimersi su una serie di crimini.

Nonostante la storia recente ci informi di continue operazioni intraprese dallo stato turco e volte, dopo il tentato golpe, a silenziare ogni forma di dissenso tramite l’arresto di avvocati e giornalisti, licenziamenti di massa di professori nelle università e funzionari nella pubblica amministrazione, chiusura di giornali, il TPP ha deciso di soffermarsi su ciò che è accaduto in alcune città a maggioranza curda della Turchia.

Nelle elezioni nazionali del giugno 2015, I’AKP (Partito Giustizia e Sviluppo, guidato da Erdogan) ha perso la maggioranza assoluta alla guida del governo e, per la prima volta, l’HDP (Partito Democratico dei Popoli) è entrato in Parlamento, superando la soglia di sbarramento del 10% riuscendo ad ottenere 81 deputati. Da quel momento, il Processo di Pace, iniziato nel 2013 tra il Governo Turco e il Partito dei Lavoratori Kurdi (PKK), viene congelato. E una serie di eventi, tra i quali l’attentato nella città di Diyarbakir (considerata la capitale curda) alla vigilia delle votazioni e l’attentato nella cittadina di Suruç avvenuto il 20 luglio successivo, portano a un’escalation del conflitto che ha visto le forze di sicurezza bombardare le basi del PKK nel nord Iraq nel luglio 2015 e una serie di arresti di massa nei confronti di giornalisti, intellettuali e attivisti curdi nello stesso periodo. Di fronte a questa situazione alcune amministrazioni municipali kurde del sud della Turchia hanno dichiarato una forma di auto-governo. Tra queste città Cizre, città di circa 120.000 persone nel profondo sud-est dell’Anatolia, dove il 93% della popolazione ha votato l’HDP, è stata vittima di una sanguinosa repressione, di cui l’opinione pubblica dovrebbe essere informata. Infatti, come risposta alla dichiarazione di autogoverno da parte della municipalità, il governo turco ha istituito un coprifuoco nella città. Dal 4 al 12 settembre 2015, Cizre è stata circondata dalle forze di sicurezza, elettricità e acqua sono state tagliate e le forze militari e le forze speciali di polizia sono entrate per le vie della città, uccidendo 22 persone.

Le associazioni per i diritti umani (IHD – Human Rights Association of Turkey e la THIV – Human Rights Foundation of Turkeyed) hanno denunciato sin da subito una serie di crimini commessi, mentre le preoccupazioni espresse dalla Commissione dei Diritti Umani del Consiglio d’Europa nelle settimane seguenti sono risultate del tutto vane. Le elezioni politiche sono state ripetute il 1 novembre 2015, e nonostante la partecipazione al voto sia sensibilmente diminuita, l’HDP è stato comunque in grado di entrare in Parlamento, costringendo il partito di governo AKP ad allearsi col partito nazionalista MHP per avere la maggioranza assoluta e continuare il suo programma di riforme istituzionali, avviato già nella precedente legislatura.

Dopo questa seconde elezioni vi è stata un’ulteriore militarizzazione del territorio che ha visto l’impiego di 6.182 soldati e 7.889 poliziotti (fonti governative) impiegate nelle operazioni successive.

Il 14 dicembre 2015 è iniziato il secondo coprifuoco, durato 79 giorni e concluso solo il 3 marzo 2016.

Nella sessione del Tribunale sono stati ascoltati testimoni diretti dei fatti in questione e le loro parole ci hanno raccontato in modo dettagliato il clima di terrore che si respirava in quei giorni per le vie della città. Abbiamo ascoltato degli audio nei quali si sentono le urla dei cittadini per le esecuzioni perpetuate da parte delle forze armate turche. È stato presentato un video che mostra in modo chiaro come le forze di polizia speciale continuassero a sparare su cittadini non armati, che con bandiera bianca cercavano di raccogliere i feriti dalla strada. Abbiamo udito testimonianze e condiviso dichiarazioni pubbliche rilasciate da cariche ufficiali della Repubblica Turca, così come le continue asserzioni del Primo Ministro Davatoglu e del Presidente della Repubblica Erdogan che inneggiavano “alla pulizia” che sarebbe avvenuta in quei territori.

Mentre le prove venivano mostrate continuava ad aumentare lo stupore nella sala, l’indignazione delle persone presenti cresceva a ogni dichiarazione che svelava un crimine commesso: dall’utilizzo di ospedali e scuole come quartieri generali, ai cecchini appostati sui tetti, alle continue ostruzioni per impedire il passaggio alle ambulanze nell’assistenza ai feriti.

 

I crimini commessi

Le azioni militari avvenute tra il 2015 e il 2017 hanno interessato ben 11 città del Kurdistan turco, 289 i coprifuochi ufficialmente dichiarati, circa 1 milione e 809 mila residenti costretti alla migrazione forzata.

Alcuni quartieri di Diyarbakir, patrimonio culturale e naturale dell’Unesco, sono stati praticamente rasi al suolo.

Secondo un report di THIV (Human Rights Foundation of Turkey), solo tra agosto 2015 e aprile 2016 sono morti 338 civili nella regione di cui 78 bambini, 69 donne e 30 avevano più di sessant’ anni.

Tra i crimini più terrificanti emersi vi è quello delle 143 persone uccise in tre scantinati nella città di Cizre tra gennaio e febbraio 2016. Civili che al fine di difendersi dagli attacchi dell’artiglieria militare, divenuti sempre più violenti, avevano deciso di ripararsi in quelle cantine per utilizzarle come rifugio. Tutti e tre gli scantinati sono stati inizialmente circondati dalle forze di polizia e gendarmeria, per poi essere presi di mira con corpi di artiglieria pesante, le persone all’interno sono state deliberatamente uccise. Delle vere e proprie esecuzioni sommarie. Un crimine di guerra brutale che narra una violenza inaudita.

Il Primo Ministro Davataglu, il Ministro degli Interni e il Ministro della Difesa erano a conoscenza di quello che stava accadendo in quel momento.

Nello specifico, i crimini contestati dall’accusa si possono dividere in due categorie. In primo luogo, crimini di guerra commessi nella città di Cizre. In particolare alcune gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 come definite dall’art. 8 2 (a) dello Statuto di Roma, ovvero: uccisioni volontarie; tortura o trattamento inumano, inclusi esperimenti biologici; causare intenzionalmente gravi sofferenze o gravi lesioni al corpo o alla salute; distruzioni e appropriazioni di beni, non giustificate da necessità militari e compiute illegalmente ed arbitrariamente.

Così come, nel caso di un conflitto armato non di carattere internazionale, gravi violazioni dell’articolo 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949, come definito dall’art. 8 2 (c) dello Statuto di Roma, vale a dire uno dei seguenti atti commessi contro persone che non partecipano attivamente alle ostilità, compresi i membri delle forze armate che hanno deposto le armi e quelli messi a combattere da malattia, ferite, detenzione o qualsiasi altra causa: violenza alla vita e alla persona, in particolare omicidio di ogni tipo, mutilazione, trattamento crudele e tortura.

Così come altre gravi violazioni delle leggi e delle consuetudini applicabili nei conflitti armati non di carattere internazionale, nel quadro stabilito dal diritto internazionale, come definito dall’art. 8 2 (e) dello Statuto di Roma vale a dire uno dei seguenti atti: dirigere intenzionalmente attacchi contro la popolazione civile in quanto tale o contro singoli civili che non partecipano direttamente alle ostilità; dirigere intenzionalmente attacchi contro personale, installazioni, materiali, unità o veicoli coinvolti in una missione di assistenza umanitaria o di mantenimento della pace in conformità con la Carta delle Nazioni Unite, purché abbiano diritto alla protezione data a civili o oggetti civili sotto la legge internazionale del conflitto armato; ordinare lo spostamento della popolazione civile per ragioni legate al conflitto, a meno che la sicurezza dei civili coinvolti o imperative ragioni militari lo richiedano; distruggere o impossessarsi della proprietà di un avversario, a meno che tale distruzione o sequestro non siano richiesti imperativamente dalle necessità del conflitto.

In secondo luogo, reati di stato e crimini violenti istigati dallo Stato commessi con lo scopo di intimidire seriamente la popolazione curda e di destabilizzare o distruggere i legittimi rappresentanti delle istituzioni dei curdi che vivono in Turchia al fine di privare il popolo curdo dal suo diritto all’autodeterminazione. Lo stato turco deve essere ritenuto responsabile di questi crimini, tra i quali si possono annoverare: le cosiddette false flag action (cd. “bandiere false”), ovvero gli operatori dello stato turco hanno commesso attacchi ai civili che sono stati poi attribuiti al PKK. Lo scopo di queste azioni era duplice: diffondere la paura tra la popolazione e demonizzare il PKK creando la falsa impressione che questa organizzazione fosse responsabile di tali crimini.

Infine, lo stato turco non solo ha organizzato o commesso tali crimini sul territorio nazionale turco, ma ha anche esportato questa attività in altri paesi, come l’omicidio delle tre donne curde a Parigi il 9 gennaio 2013. Le indagini hanno infatti chiaramente mostrato le implicazioni di alti ufficiali turchi facenti parte dei Servizi Segreti del MIT.

 

La Turchia è colpevole

Le motivazioni della sentenza usciranno il 24 maggio, ma i giudici hanno già convenuto che la violazione del diritto all’autodeterminazione del popolo curdo è la causa di questo conflitto. Un conflitto che deve, quindi, essere considerato un conflitto armato non internazionale così come definito dal diritto internazionale e non un’operazione di polizia contro il terrorismo, come sostenuto dallo Stato turco. La giuria ha riconosciuto l’esistenza sia dei crimini di guerra che dei crimini di stato messi in atto dallo stato turco contro la popolazione curda.

Pertanto, lo stato turco dovrebbe essere ritenuto responsabile di questa attività sulla base dei Principi sulla responsabilità degli Stati per gli atti internazionalmente svantaggiosi, stabiliti dalla Commissione di diritto internazionale e allegati alla risoluzione 56/83 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 12 dicembre 2001.

La stato turco, che è appena stato finanziata dall’Unione Europea con un versamento di 3 miliardi di dollari per la gestione dei flussi migratori. Lo stesso Stato che ha inviato le forze speciali di sicurezza – le stesse protagoniste della devastazione di Cizre e Nusaybin – a conquistare la città di Afrin, per porre fine all’esperienza comunale autonoma gestita dalla federazione della Siria del Nord a maggioranza curda e tutto ciò che rappresenta. Quella stessa Turchia che ha permesso per anni l’attraversamento indisturbato dei propri confini agli aspiranti jihadisti, fornendo loro cure mediche. La Turchia il cui Presidente Erdogan viene ricevuto con tutti gli onori da tutti i capi di stato e governo mondiali.

Questo processo ha così fatto emerger le contraddizioni e le tante verità taciute, che delineano un futuro decisamente preoccupante.

 

di Sara Montinaro – Prosecutor durante la sessione di Parigi , Dinamopress