Funzionario del CdE: la decisione della CEDU su Demirtas è vincolante per la Turchia

Funzionario del Consiglio d’Europa nega che la decisione della CEDU sul politico dell’HDP, Demirtas, non sia vincolante.

Esaminando il ricorso di Selahattin Demirtaş, ex co-presidente dell’HDP in custodia cautelare dal novembre 2016, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) martedì ha stabilito che sono stati violati diversi diritti riconosciuti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

La corte ha respinto la tesi secondo cui la detenzione di Demirtas sia in contrasto con la legge turca ma, evidenziando che la prosecuzione dell’arresto non è basata su una causa ragionevole, ha decretato che sia rilasciato.

Ignorando il diritto internazionale a cui la [stessa] Turchia è soggetta, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha affermato che “le decisioni pronunciate dalla CEDU non ci vincolano.”

Il Direttore delle Comunicazioni al Consiglio d’Europa, Daniel Holtgen, ha commentato l’argomento su Twitter, affermando che “ai sensi dell’art. 46 della Convenzione, tutti gli stati membri sono vincolati alle decisioni della Corte.”

Cosa dice la decisione della CEDU su Demirtas?

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha esaminato il ricorso di Selahattin Demirtaş, ex co-presidente dell’HDP in custodia cautelare dal novembre 2016, stabilendo che sono stati violati diversi diritti riconosciuti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

La CEDU ha accettato l’appello relativo alla detenzione di Demirtas stabilendo che fosse ammissibile ai sensi dell’art. 18 della Convenzione EDU. La sentenza ha messo in evidenza che Demirtas non sarà in grado di beneficiare di alcuna sorveglianza giuridica nel prossimo futuro attraverso la Corte Costituzionale.

L’art. 18 della Convenzione EDU afferma che “Le restrizioni che, in base alla presente Convenzione, sono poste a detti diritti e libertà possono essere applicate solo allo scopo per cui sono state previste.”

La corte ha respinto la tesi secondo cui la detenzione di Demirtas sia in contrasto con la legge turca ma, evidenziando che la prosecuzione dell’arresto non è basata su una causa ragionevole, ha decretato che sia rilasciato. La sentenza ha citato la violazione dell’art. 5 della Convenzione, che regolamenta il “diritto alla libertà e alla sicurezza.”

I giudici della CEDU hanno anche citato i commenti di Demirtas durante la manifestazione a sostegno della resistenza di Kobane nel 2014, sottolineando che non commise crimine. La sentenza chiede che lo stato turco prenda le necessarie precauzioni per porre fine alla detenzione di Demirtas.

La Corte ha condannato la Turchia a pagare 10.000 euro per danni morali e altri 15.000 euro per le spese legali e accessorie. Il comunicato stampa sull’accurata sentenza ha evidenziato che la Turchia è in violazione di diversi articoli della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e che la “democrazia è minacciata.” C’è anche un’allusione al fatto che la detenzione di Demirtas servisse al segreto scopo di impedire il voto “No” al referendum del 2017.

VIOLATO IL DIRITTO DEL PUBBLICO DI ESPRIMERE OPINIONI IN PARLAMENTO
La sentenza ha affermato che i motivi presentati dai tribunali turchi riguardo la permanenza di Demirtas agli arresti sono “insufficienti” e ha evidenziato come il diritto del pubblico di esprimere opinioni in parlamento tramite Demirtas sia stato violato. Citando il fatto che Demirtas fosse un membro del parlamento dal momento del suo arresto fino alle elezioni del 24 giugno, la corte ha stabilito che “il diritto del pubblico alla libertà di parola” che Demirtas rappresenta è stato violato per via del suo arresto.

La sentenza della CEDU ha evidenziato che anche il diritto di Demirtas di essere eletto e svolgere i doveri di parlamentare gli è stato negato.

L’OBIETTIVO SEGRETO PER SOFFOCARE IL PLURALISMO AL REFERENDUM E ALLE ELEZIONI
La corte ha anche sottolineato che, con l’arresto di Demirtas, il governo dell’AKP aveva degli “obiettivi non dichiarati” sul referendum del 2017 e le elezioni presidenziali del 2018. La sentenza ha evidenziato che il governo turco voleva “soffocare il pluralismo” e restringere il campo della libera discussione politica che costituisce l’essenza di una società democratica.

La corte ha anche incluso i commenti del presidente turco Erdogan durante il processo. Erdogan aveva minacciato l’HDP dopo il sostegno alla resistenza di Kobane e la sconfitta alle elezioni del 2015 e diede dei segnali che i parlamentari avrebbero prima perso la propria immunità e dopo sarebbero stati eliminati attraverso il sistema giudiziario.

CITAZIONI DEGLI ORDINI DI ERDOGAN PER L’ELIMINAZIONE POLITICA
La sentenza della CEDU ha anche citato i discorsi di Erdogan che ordinavano l’eliminazione dei politici curdi e delle forze della politica democratica in generale, iniziando con l’HDP, attraverso il parlamento e il sistema giudiziario. Di seguito alcuni dei commenti di Erdogan citati dalla sentenza:

– “Non credo sia giusto chiudere un partito. Ma credo che i funzionari di questo partito dovrebbero pagare per questo incidente. Persona per persona, individuo per individuo” (28 luglio 2015).

– “Dobbiamo concludere la questione delle immunità subito. Il parlamento deve agire rapidamente. Colpirà una persona, due persone? Dobbiamo mettere avanti il principio. E qual è il principio? Com’è possibile che quelli che hanno condotto in strada i miei fratelli curdi e hanno causato la morte di 52 persone non compariranno in tribunale ma si pavoneggeranno in parlamento e quelli che dicono di avere alle spalle il PKK, il PYD, le YPG rimarranno puliti? Se il parlamento non fa ciò che è necessario, questa nazione e la storia obbligheranno questo parlamento a risponderne” (16 marzo 2016).

La corte ha respinto l’affermazione degli avvocati di Demirtas che il suo arresto in generale sia contrario all’art. 5, comma 1, della Convenzione EDU e ha affermato che ci sono molte accuse contro di lui e che, dal momento che queste possono essere “legate al terrorismo”, la detenzione temporanea non va contro la Convenzione EDU. L’accento, tuttavia, era sulle gravi accuse negli atti preparati dai pubblici ministeri contro Demirtas e la corte non ha fatto commenti sui “crimini” in sé.

“I TRIBUNALI AVREBBERO DOVUTO INDICARE MOTIVI CONVINCENTI PER L’ARRESTO”

La sentenza ha evidenziato che i tribunali turchi tendono a “prolungare automaticamente la custodia” per gli arrestati e ha affermato che questa pratica va contro l’art. 5, comma 3, della Convenzione EDU. La sentenza ha anche affermato che la magistratura turca si avvale di giustificazioni assurde come “rischio di fuga”, “inquinamento delle prove” e “influenza delle testimonianze”, sottolineando che prima che sia condotto un arresto per limitare le libertà individuali e privare la persona della propria libertà, “certi atti” dovrebbero essere “presentati in maniera convincente”. La sentenza ha anche evidenziato che la gravità delle accuse contro Demirtas e la durata della pena richiesta dall’accusa non può essere usata come giustificazione per prolungare la custodia.

La corte ha anche rigettato il ricorso alla violazione dell’art. 5, comma 4, per non aver deliberato “in maniera tempestiva” in merito al ricorso di Demirtas alla Corte Costituzionale, citando il fatto che il carico giudiziario alla Corte Costituzionale aumentò significativamente a seguito del “tentativo di golpe” del luglio 2016 e si diede risposta a Demirtas in 13 mesi.

“IL DIRITTO SIA DI ESSERE ELETTO SIA DI SVOLGERE IL PROPRIO COMPITO”
La dettagliata sentenza relative al ricorso di Selahattin Demirtas, basato sull’art. 3 del protocollo n. 1 della Convenzione EDU, ha evidenziato che il diritto di partecipare alle elezioni, quello di votare e di essere eletti non sono abbastanza da soli e che ogni persona ha anche il diritto di svolgere il proprio compito come membro del parlamento se eletto, sottolineando che a Demirtas è stato impedito di partecipare alle attività parlamentari tra il novembre 2016 e il giugno 2018.

La sentenza ha affermato che l’arresto non va contro la legge turca, tuttavia i giudici che l’hanno ordinato avrebbero dovuto fornire “protezione di alto livello” a Demirtas essendo sia un parlamentare sia un leader dell’opposizione. La sentenza ha anche affermato che i giudici turchi non sono stati in grado di presentare motivazioni serie per la detenzione di lungo termine di Demirtas e ha citato il giudice che ha annotato la precedente sentenza relativa a Demirtas della Corte Costituzionale, aggiungendo che soluzioni come la sorveglianza o la condizionale non furono neanche presi in considerazione, cosa che impedì a Demirtas di adempiere ai suoi doveri di parlamentare. La sentenza ha affermato che l’arresto prolungato di Demirtas costituisce una violazione del diritto del pubblico di esprimere le proprie opinioni e che il ragionamento per questa violazione è “insufficiente”.

IN TURCHIA UN’ATMOSFERA TALE DA COMPROMETTERE IL SISTEMA GIUDIZIARIO

Un altro passaggio significativo nella sentenza CEDU è stata la dichiarazione aperta sull’effetto dell’atmosfera politica in Turchia sul sistema giudiziario. La sentenza ha citato come base i pareri di diversi osservatori internazionali e i rapporti del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, affermando che “la tesa atmosfera politica degli anni recenti può influenzare i verdetti emessi dalla magistratura nazionale”. L’accento è posto sulle aspre sentenze emesse dai giudici contro diversi altri parlamentari dell’HDP, sindaci e “voci dissidenti in generale”, così come Demirtas.

MINACCIATO IL SISTEMA DEMOCRATICO
Alcuni dei commenti più aspri nella sentenza della CEDU sono quelli che affermano che il problema non è solo di violazioni dei diritti individuali che ha subito Demirtas. “La nostra corte è dell’opinione che non sono i diritti di Demirtas come individuo ad essere stati minacciati, ma lo stesso sistema democratico”, ha affermato la sentenza indicando gli “scopi nascosti” del governo dell’AKP in merito al referendum e alle elezioni. La dettagliata sentenza riconosce che il governo turco miri a “soffocare il pluralismo” e “restringere il campo della libera discussione politica che costituisce l’essenza di una società democratica” e afferma che sono stati così violati sia l’art. 18 sia l’art. 5, comma 3.