Erdogan, la lunga repressione

C’è un’alternativa a Erdogan? È stato lui stesso a creare le premesse per soffocare la società civile turca. L’impennata della repressione seguita al controgolpe sembra che possa fare tabula rasa della borghesia e degli oppositori, non solo dei gulenisti, i seguaci dell’imam Fethullah Gulen: in realtà è dal 2013, dopo lo scandalo di corruzione esploso dentro al governo, che la Turchia è entrata nel collimatore del presidente.

La svolta è stata il famoso scandalo per corruzione che falciò uno degli esecutivi del governo nel dicembre di tre anni fa e che coinvolse chiaramente i membri della famiglia del presidente, il figlio Bilal e molti ministri. All’epoca furono rimossi più di 500 funzionari di polizia, tra questi il capo delle forze di sicurezza di Istanbul, accusati di avere contribuito all’inchiesta della magistratura.

È iniziato allora un processo di distruzione sistematica dello stato di diritto, quindi la fine dell’indipendenza della magistratura e poi anche dell’informazione e della stampa che sono due pilastri della democrazia. Chi si dice particolarmente preoccupato oggi è perché ha fatto finta di non vedere allora. La censura del partito di governo Akp, si scatenò: vennero licenziate dozzine di giornalisti non graditi e cominciarono ad aprirsi le porte delle carceri per quelli che avevano toccato direttamente Erdogan. Questa ondata repressiva fu anche alla base delle proteste che aveva innescato la rivolta divampata a Piazza Taksim e poi anche nel resto del Paese. Nessuno in Europa o negli Stati Uniti fermò Erdogan.

Perché l’Unione europea è stata inefficace e ha lasciato campo libero a Erdogan? Il motivo è semplice: per 15 anni Bruxelles ha tenuto la Turchia nell’anticamera dell’Europa. Si è così innescato un gioco delle parti ammantato di ipocrisia. Ma era anche un gioco pericoloso: il partito islamico Akp ha usato l’Europa per far fuori i generali kemalisti, facendo finta di voler rispettare le regole dell’Unione. Gli europei hanno lasciato fare perchè né la Germania né la Francia avevano intenzione di far accomodare i turchi nell’Unione: Erdogan e la stessa opinione pubblica lo hanno capito perfettamente. Si è fatto credere che l’Europa era un traguardo della Turchia ma si trattava in realtà di un obiettivo irraggiungibile. Non stupisce che oggi i vertici della Turchia si facciano beffe dei moniti degli stati europei. Perché mai dovrebbero dargli retta? Erdogan è stato ben felice di partecipare a questa partita senza finale che gli consentiva di fare quello che voleva contro la società civile, i curdi e gli stessi partiti dell’arco costituzionale in Parlamento.

Quando si dice che «se la Turchia dovesse votare la reintroduzione della pena di morte, Bruxelles sarebbe costretta a riconsiderare la sua candidatura alla Ue», questa minaccia è un’arma spuntata. La Turchia di Erdogan applica ogni giorno la pena di morte, nel senso che la lotta alla guerriglia e al terrorismo del Pkk nell’Anatolia del Sud Est si è scatenata anche contro la popolazione civile: poche settimane fa sono state portate all’Onu di Ginevra le prove dell’uccisione di 150 civili trucidati dalle forze di sicurezza nella città curda di Cizre. Ma quale è stata la reazione occidentale? Quasi nulla. Per questo oggi i partiti dell’opposizione, il Chp repubblicano e l’Hdp filo-curdo, sanno che anche le proteste più legali rischiano mandare in carcere i loro militanti. Qualcuno ha protestato quando si è tolta l’immunità ai parlamentari curdi sotto inchiesta della magistratura? Quando si dice l’opposizione a Erdogan è debole, priva a di strategie e con capi poco carismatici è vero. Questi partiti non sono stati capaci di intercettare il voto conservatore moderato e tradizionalista né quello degli strati più poveri. Ma è ancora più vero che lo stessa democrazia in Turchia è stata sequestrata.

di Alberto Negri, Il Sole 24 ore
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