Ecco perchè l’HDP non ha perso le elezioni in Turchia
Le elezioni turche hanno consegnato la maggioranza dei seggi all’AKP di Erdogan in un clima di tensione e intimidazioni da parte della polizia. Ma è corretto dire che l’opposizione esce sconfitta dalla competizione elettorale?
“Non sono state elezioni regolari. Non abbiamo potuto fare una vera campagna elettorale in quanto abbiamo dovuto proteggere il nostro popolo da un massacro. È vero, abbiamo perso un milione di voti, ma questa è ancora una grande vitoria perchè abbiamo resistito contro la politica dei massacri e del fascismo.”
Con queste parole i co-presidenti del partito dei popoli democratici (HDP) Selahattin Demirtas e Figen Yuksedag hanno chiuso la conferenza stampa al termine della lunga e tesa giornata del 1° Novembre, che ha visto la Turchia tornare al voto dopo neanche 5 mesi dalle elezioni politiche del 7 Giugno e l’HDP riuscire per la seconda volta a superare l’alta soglia di sbarramento (10%) necessaria per sedere nel parlamento di Ankara.
I media mainstream di tutto il mondo si sono affannati nel celebrare i risultai del voto parlando di “Trionfo di Erdogan” e “sconfitta per i flo-curdi”, ma per avere un quadro obiettivo e completo delle ultime ore, è necessaria un’analisi più profonda e che tenga conta di quanto accaduto (e che poco è stato raccontato) degli ultimi mesi in Turchia.
Partiamo proprio dalle parole di Demirtas e dal perchè quelle del 1° Novembre non possono essere considerate elezioni regolari.
Le elezioni del 7 Giugno scorso avevano consegnato una situazione nuova, dopo gli ultimi 13 anni di potere incontrastato da parte del piccolo sultano Erdogan. Il suo partito (AKP) ed il premier fantoccio Ahmet Davutoglu hanno per la prima volta dovuto fare i conti con una grossa perdita di consenso, lascito dei risultati delle urne che, soprattutto grazie allo strabiliante risultato dell’HDP (oltre 6 milioni di voti), hanno scombussolato i piani politici di Erdogan: accentramento dei poteri nelle sue mani e riforma in chiave iper-presidenzialista del sistema politico. Nonostante anche prima del 7 Giugno gli attacchi contro HDP, i suoi membri ed i suoi elettori si erano contati a centinaia con l’apice raggiunto nell’attentato di Diyarbakir (che ha di fatto riaperto la “nuova stagione” dello stragismo di piazza), è stato certamente a partire dal 20 Luglio (attentato di Suruc) che il livello di attacco e violenza nei confronti dell’opposizione politica e del “vecchio nemico” curdo, si è alzato vertiginosamente.
La brusca interruzione del processo di pace da parte dello Stato turco è stata ampiamente programmata già prima della bomba che ha ucciso 33 persone a Suruc. Nonostante venga indicato come il momento del ritorno alla lotta armata da parte del PKK, erano già settimane che l’aviazione turca era tornata a bombardare le sue basi nelle zone del Kurdistan iracheno, violando di fatto gli accordi del 2013 e facendo ripiombare la Turchia indietro di 20 anni.
Gli ultimi mesi
Tre attentati bomba diretti contro HDP che hanno fatto 166 morti e più di 1000 feriti. Oltre 190 sedi del partito attaccate, bruciate, distrutte. Pogrom contro i cittadini curdi con pestaggi, accoltellamenti e morti nella prima settimana di settembre. Quasi 3500 arresti tra cui 500 membri e dirigenti del partito. 22 sindaci arrestati e rimossi dall’incarico. Tre mesi di terrorismo di Stato contro la popolazione curda nel sud-est del paese con coprifuoco contnuo e 258 civili uccisi dalle forze di sicurezza turche, tra cui 33 bambini. Sono i numeri terribili della vendetta di Erdogan contro HDP. Sono la “campagna elettorale” dell’AKP e buona parte dei fattori che hanno prodotto quello scarto di 9 punti percentuali dal 7 giugno al 1 novembre. Ignorati dai media mainstream e tollerati da quegli alleati occidentali (Italia compresa) sommessamente impegnati nel tenersi buono il cane da guardia, messo lì a tappare le masse di rifugiati in fuga dalla guerra e dirette in Europa.
Questo è stato il clima in cui la Turchia è andata a votare; i carri armati per le strade, i corpi senza vita dei militanti curdi trascinati nelle vie delle cità dietro i blindati della polizia, le pistole puntate alle tempie dei giornalisti, bambine e bambini uccisi dai militari turchi durante gli attacchi alle città curde, e “conservate” nei freezer in attesa della sepoltura.
Queste sono le immagini di quanto accaduto nel Kurdistan turco negli ultimi mesi. È impensabile che questo non abbia in nessun modo influito sul voto di qualche giorno fa. Evidentemente lo ha fatto eccome, facendo credere che dopo le elezioni di giugno fosse urgente tornare “all’uomo solo al comando”, al partito unico, alla governabilità, all’unità nazionale ed alla sicurezza, anche se in cambio dovesse essere ceduta una buona fetta di libertà.
L’AKP è stato di fatto l’unico partito a fare campagne eletorale. In particolare, dopo la strage di Ankara che ha colpito la marcia per la pace, l’HDP ha annullato tutti i comizi per salvaguardare la sicurezza dei propri elettori. Nelle televisioni e sui giornali nessuno spazio è stato concesso ai partiti di opposizione, e quei media non ancora allineati alle dirette di partito sono stati letteralmente occupati e “commissionati” dagli uomini di Erdogan.
Il giorno delle elezioni
Fin qui quanto successo nel periodo pre-elettorale. Ed il giorno delle elezioni? Il quadro generale non è stato per nulla diverso. In particolare nel sud-est del paese il voto si è svolto in un clima da guerra totale. I dintorni dei seggi e delle città sono stati militarizzati da centinaia di mezzi dell’esercito e della polizia. Si sono contati moltissimi episodi di violenza ed intimidazione. La sera del 31 ottobre un attacco aereo è stato condotto nella città di Sirnak. La mattina del 1° novembre, fuori e dentro i seggi, uomini delle forze speciali armati fino ai denti hanno minacciato la popolazione, arrestato diverse persone durante le operazioni di voto e preso in custodia membri dell’HDP.
In diversi quartieri è stata staccata la corrente elettrica e si è impedito in diversi modi alle persone di raggiungere i luoghi dove si votava. Ad esempio a Lice (roccaforte dell’HDP nei dintorni di Diyarbakir) di prima mattina l’esercito, dopo aver chiuso la strada che conduceva ai seggi elettorali, ha proceduto a renderla inutilizzabile facendola saltare con l’ausilio di mine. Diversi osservatori internazionali sono stati arrestati, portati nelle caserme e/o sequestrati all’interno dei seggi dove avevano riscontrato palesi irregolarità durante il voto.
Come già accaduto nelle ultime elezioni di giugno, nei dintorni dei seggi ed in prossimità delle caserme e delle sedi dell’AKP, si sono palesate auto senza targa, usate “storicamente” il giorno delle elezioni per sottrarre le urne eletorali con i voti una volta terminate le elezioni. Una volta chiuse le votazioni è stato abbastanza sconcertante verificare con che velocità siano stati conteggiati i voti: in poco meno di 3 ore sono stati scrutinati 48 milioni e mezzo di voti (qualche migliaio di schede elettorali al secondo…). Un record niente male considerando che solo 5 mesi prima, alle elezioni del 7 Giugno, le operazioni di scrutinio erano durate in tutto 10 ore.
Per chi non ne fosse a conoscenza la normale procedura elettorale in Turchia si svolge così: le persone possono votare fno alle 17, dopodiché si chiudono i seggi, le votazioni vengono ufficialmente dichiarate concluse e si passa al conteggio dei voti. Le schede vengono poi messe in sacchi e portate alle rispettive commissioni elettorali distrettuali. Secondo la legge, voti e rapporto vengono compilati presso la commissione elettorale distrettuale prima di essere portati alla YSK (Suprema Commissione Elettorale Turca). Tuttavia la YSK ha annunciato il risultato per molte regioni di Istanbul (tra le più popolose di tutta la Turchia) prima del trasferimento dei documenti elettorali alla commissione distrettuale. Proprio per questo tipo di pratica il quartier generale HDP ha annunciato che secondo i dati raccolti dalla loro sede centrale, i risultati reali sarebbero così distribuiti: AKP 44,5% – CHP 25,9% – HDP 14,2% – MHP 11,7.
Come se non bastasse sono stati documentati voti sotratti e portati via da diverse auto a Gaziantep, un seggio elettorale addirittura posizionato dentro la casa di un capovillaggio nei dintorni di Urfa, un uomo con due sacchi pieni di voti è stato fotografato su un autobus nella città di Erzurum, centinaia di schede elettorali sono state ritrovate nell’immondizia a Diyarbakir, a Cizre la polizia ha attaccato con gas lacrimogeni i rappresentanti dell’HDP che scortavano le urne elettorali (per essere nuovamente contate in un’unica sede per “ragioni di sicurezza”) ed un video ha mostrato un dirigente dell’AKP ad Adiyaman pagare in contanti alcuni elettori in cambio di voti.
L’analisi del voto
Possibile che i 4 milioni e 800.000 voti presi in più da Erdogan in queste elezioni arrivino tutti da frodi eletorali? Io non credo. Penso sarebbe riduttivo credere che gli ultimi mesi di guerra non abbiano prodotto degli sconvolgimenti reali all’interno del paese.
Partiamo dai dati ufficiali: rispetto alle elezioni di giugno, Erdogan ed il suo partito conquistano 9 punti percentuali, ovvero 4 milioni e 800.000 voti in più. Il partito kemalista (CHP) mantiene sostanzialmente gli stessi voti (+591.915 dal 7 Giugno) mentre è soprattutto il braccio politico dei Lupi Grigi (il partto nazionalista MHP) ad aver avuto un vero tracollo, facendo segnare un dato negativo di circa 1 milione e 800.000 voti in meno. Il partito dei popoli democratici (HDP) si attesta sul 10,76% superando nuovamente l’alta soglia di sbarramento, entrando in parlamento, ma perdendo in 5 mesi poco meno di un milione di voti (-911.818).
È evidente come gran parte dei voti della destra e dei nazionalisti turchi, dopo la campagna anti-curda degli ultimi mesi, siano confluiti dentro AKP. I Lupi Grigi pagano probabilmente lo scotto di aver respinto la proposta di coalizione per la formazione di un governo di unità nazionale. D’altra parte AKP si è accaparrato le simpatie dei fascisti con la ripresa delle ostilità con il PKK da un lato, e con le mobilitazioni di piazza che hanno visto diversi appartenenti AKP in prima fla nelle azioni di pogrom contro HDP e cittadini curdi.
Ma facendo due conti è evidente che non possono bastare i voti persi da MHP, né tantomeno quelli di HDP, per far confuire un così alto numero di preferenze verso Erdogan. Allora da dove arrivano tutti questi voti? Un parte molto considerevole arriva da quella galassia di partiti e partitini che in Turchia si presenta sempre molto numerosa alle elezioni politiche. Questo agglomerato di partiti avevano raccolto 2.960.057 voti alle elezioni di giugno, mentre il 1° novembre ne hanno presi solo 1.299.710, facendo segnare meno 1.660.347 vot, finit per gran parte al partito di sviluppo e giustzia.
In questo senso deve aver raccolto proseliti l’invito fatto da Erdogan a meno di 24 ore dalle elezioni, in cui esortava i turchi a votare un solo partito (il suo chiaramente), nel segno dell’unità nazionale.
Tutti i media hanno parlato di affluenza record. Anche se certamente l’affluenza è stata alta (85,18%) non è stata da record, in quanto ha chiuso con poco più di un punto percentuale in meno rispetto alle elezioni del 7 giugno (86,64%). Decisamente sopra la media nazionale è stata l’astensione registrata nel sud-est, ovvero nella regione del Kurdistan turco. Si va dal 7% in meno ad Agri, 5% in meno del distretto di Hakkari (fortemente colpito dalle dichiarazioni di coprifuoco da parte del governo centrale) e Batman, al 4% in meno di Dersim, Bitlis, Van, Kars, Mus, mentre in altri distretti come Diyarbakir (-2%), Mardin (-1%), Sirnak (-1%) la differenza è meno netta. Se consideriamo i soli distretti in cui HDP aveva vinto a Giugno (vittorie confermate anche il 1° novembre, tranne che a Kars ed Ardahan) il partito ha perso circa 270.000 voti, di cui gran parte possono essere imputati all’astensione di un pezzo di quello che è l’elettorato HDP, probabilmente dovuta alla repressione ed alle intimidazioni del governo.
Altrettanto vero è che qualche decina di migliaia di voti sono andati da HDP ad Erdogan, ed in parte sicuramente minore anche a CHP (soprattutto a Dersim). In senso opposto nelle zone roccaforti di AKP (Ankara, Konia, Bursa, Duzce ecc.) l’affluenza, anche se di poco, è aumentata, segno di uno sforzo di mobilitazione dell’elettorato chiesto da Erdogan.
Questo in Turchia, ma come ha votato la diaspora curda nel Mondo?
Sostanzialmente a favore di Erdogan. In Europa HDP vince in Italia (anche se di soli 7 voti), Svizzera, Polonia (di 3 voti su AKP), Regno Unito e Finlandia. Erdogan strappa il grosso dei voti in Germania, Francia, Svezia, Austria ecc. Nel resto del mondo è quasi solo AKP, con ancora una grossa tenuta da parte di CHP che vince negli Stati Uniti, Russia, Spagna, Cina ecc.
Il progetto del confederalismo democratico
Se è vero che le elezioni del 1° novembre passeranno alla storia come “il voto della paura” ed il “trionfo di Erdogan” ci sono alcuni dati oggettivi su cui ragionare. Intanto, se è vero che Erdogan ha conquistato la maggioranza assoluta, lo è anche il fatto che per cambiare la costituzione ed attuare la riforma in chiave presidenzialista deve avere 367 deputati (al momento ne ha 317) o 330 per votarla in parlamento e poi metterla a verifica attraverso un referendum popolare.
Parlare di sconfitta di HDP, oltre ad essere ingeneroso, non sta nella realtà dei fatti. Può dichiararsi sconfitto un partito che la seconda volta che si presenta alle elezioni prende più di 5 milioni di voti?
Può dirsi sconfitto un partito che è arrivato a queste elezioni tra arresti, minacce, attacchi, bombe in piazza, militanti assassinati e nessuna campagna elettorale? Il dato più interessante di queste elezioni arriva da quelle zone in cui Erdogan ha colpito più duramente. Sono le zone del Kurdistan turco ad aver sostenuto con un plebiscito l’HDP ed il progetto politico che ci sta dietro, ovvero il confederalismo democratico. Sono i quartieri e le città sottoposte a coprifuoco, attaccate dall’esercito e in cui sono stati fatti veri e propri massacri ad aver urlato forte EDI BESE! (ORA BASTA!).
Lì dove le dichiarazioni di autogoverno ed autonomia democratica si sono succedute una dopo l’altra, lì dove il sistema del confederalismo democratico è stato applicato dal basso e dal popolo, dove sono state istituite le comuni (assemblee di quartiere), le commissioni per l’autodifesa, l’istruzione, l’arte, il diritto ecc., sono state create cooperative economiche e la parità di genere è più vicina che mai, è lì che HDP ha consolidato il proprio consenso.
In quelle città, come Lice, Cizre, Nusaybin, Yuksekova, Silvan ecc., l’HDP ha preso percentuali quasi sempre sopra il 90% (aumentando anche rispetto a giugno), segno tangibile che nè i massacri, nè la repressione più spietata, nè l’orrore di vedere bambini, donne e uomini uccisi, può fermare il cammino di vera democrazia e pace che si è messo in moto in Kurdistan.
di Luigi D’Alife / Dinamopress