Dal Trentino a Kobane, una delegazione visita l’orfanotrofio finanziato dalla Provincia di Trento
La struttura è intitolata al piccolo Alan, ritrovato morto su una spiaggia in Grecia. Veniva da Kobane e la sua famiglia era fuggita mentre la città era attaccata dall’Isis. Lo ha ucciso il mare mentre cercavano di entrare in Europa
KOBANE. “Abbiamo due palazzi a disposizione, uno sarà il dormitorio, con circa cento letti. I bambini che verranno avranno tra gli 1 e i 16 anni. Inizieremo a settembre con 50 bambini”. Ci spiega questo Dilar, la responsabile della struttura la cui costruzione siamo venuti a visionare: “L’arcobaleno di Alan”.
Il nome è quello del bambino di tre anni il cui cadavere è stato ritrovato su una spiaggia in Grecia. Veniva da Kobane e la sua famiglia era fuggita mentre la città era attaccata dall’Isis. Lo ha ucciso il mare mentre cercavano di entrare in Europa.
Si tratta di due edifici di tre piani, rivestiti con la pietra bianca di queste parti. In uno ci saranno la cucina, le camere da letto e gli spazi comuni per i circa cento orfani che vivranno qui quando la struttura sarà pienamente in funzione. Nell’altro ci sono già aule capaci di ospitare oltre 500 studenti, dall’asilo alle superiori. Lì si terranno anche corsi di lingua straniera, musica e informatica il pomeriggio.
Della delegazione trentina venuta a visionare l’effettiva realizzazione della struttura facciamo parte in tre: io per la Fondazione Museo storico del Trentino, il professor Toccoli e il professor Cavalchini dell’associazione Docenti Senza Frontiere, promotrice del progetto. A farci da traduttrice c’è Ozlem Tanrikulu, di UIKI, l’Ufficio Informazione del Kurdistan in Italia.
Dopo aver visto l’edificio possiamo testimoniare che i 134.000 euro stanziati dalla Provincia di Trento sono stati spesi bene. Di sicuro meglio che i sei miliardi di euro regalati dall’Unione Europea al regime islamista di Erdogan per tenersi, spesso in condizioni disumane, i profughi da paesi come Siria e Iraq che ha contribuito a destabilizzare. I soldi del Trentino invece serviranno per consentire a bambini e bambine di Kobane di poter vivere con dignità sulla terra che i loro genitori hanno liberato a prezzo della vita.
Dietro l’edificio che ospiterà le aule troviamo un sotterraneo in costruzione. I piloni in cemento armato spuntano spessi dal sottosuolo e non serve certo essere esperti per capire che non si tratta di misure anti-sismiche ma di una specie di bunker.
Ozlem ci traduce la spiegazione di Dilar: “Questo è il rifugio contro i bombardamenti o gli attentati. Normalmente servirà da palestra ma se fosse necessario faremmo scendere qui i bambini. Vedete? Di li si apre un passaggio sotterraneo per uscire senza farsi vedere. Fino a che non sarà ultimato il rifugio nessuno potrà usare la scuola o abitare nell’edificio, è una regola che vale per tutte le strutture pubbliche qui”.
Da queste parti infatti bambini e insegnanti possono diventare bersagli. Come fu nell’alba di sangue del 25 giugno 2015 quando un centinaio di jihadisti, con tre autobombe, vennero lasciati entrare dal confine turco che costeggia da vicino la città. Kobane era stata liberata sei mesi prima, i suoi abitanti erano tornati e avevano già iniziato a ricostruirla. I terroristi iniziarono a sgozzare la gente sorpresa nel sonno e a sparare dagli edifici più alti, uccidendo più di 250 persone, tra cui 36 bambini, prima di essere eliminati.
Quel massacro, le cui vittime furono soprattutto civili inermi, è forse la ferita più dolorosa nella memoria collettiva di Kobane. Qui tutti hanno perso almeno un familiare, molti anche due o tre. Anche per questo i giovani sono pochi in questa città. Quelli che non sono caduti sono al fronte o nelle caserme.
In compenso ci sono sciami di bambini da tutte le parti. Nonostante la guerra e un processo evidente di emancipazione femminile questa rimane una società prolifica, forse perché essenzialmente contadina. Il numero dei bambini è tale da lasciare sorpresi noi europei. Spesso giocano con piccole riproduzioni delle armi vere che sparano pallini di plastica, ovviamente rimettono in scena la guerra contro Daesh.
La cosa non è affatto gradita a molti adulti, tra cui gli amministratori locali. Hemin, il responsabile esteri del cantone (l’equivalente della nostra provincia) che ci accompagna ha detto che stanno discutendo su come vietare questo tipo di giochi.
Da queste parti l’educazione di bambini e ragazzi è presa terribilmente sul serio. Non la si ritiene qualcosa di legato solamente alla sfera individuale o familiare ma ad un processo di sviluppo complessivo della società di cui ogni singolo è parte.
Parlando dei bambini che abiteranno nell’”Arcobaleno di Alan” Dilar dice: “Non vogliamo che i bambini che vivranno qui crescano isolati dalla società o diventino una sorta di élite. Per questo andranno nelle stesse scuole degli altri bambini della città e ai corsi che verranno organizzati qui verranno anche i bambini che non vivono qui. Cosi non si staccheranno dalla società. Perché i bambini devono crescere con la loro società e la società deve sentire come questi bambini come una propria parte”.