Con il Kurdistan

di Alessio Di Florio

“Da oltre un anno nelle zone curde della Turchia è in corso una sporca guerra contro la popolazione civile”, denuncia la Rete Italiana di solidarietà con il popolo kurdo, invitando a scendere in piazza il 24 settembre prossimo a Roma (ore 14, partenza da Porta Pia).

Una guerra che ha avuto due snodi fondamentali: il primo col successo elettorale del Partito Democratico dei Popoli (HDP) nel giugno dell’anno scorso e il “fallito” golpe del 15 luglio scorso.

La sempre più feroce repressione turca viene ufficialmente motivata con il pretesto della lotta all’ISIS o a coloro che sarebbero considerati colpevoli di aver partecipato il golpe. Ma la verità dei fatti sta dimostrando che non è così e che l’unico vero obiettivo è cancellare ogni espressione democratica del popolo kurdo.

“Il 24 agosto 2016 l’esercito turco ha invaso la città di Jarablus con il pretesto di combattere il terrorismo e lo Stato Islamico (IS) che ha consegnato la città all’esercito turco e alle organizzazioni jihadiste a loro fianco, come Jabhat Fatah al-Sham e a gruppi come Ahrar El-Sham, senza colpo ferire. Gli attacchi dell’esercito turco non sono diretti contro ISIS ma contro le Forze Democratiche Siriane (SDF), esclusivamente ai danni dell’insorgenza liberatrice curda nei territori del Rojava”, documenta Rete Kurdistan che sottolinea come “il popolo curdo insieme agli altri gruppi etnici, religiosi e culturali ha costituito una Confederazione Democratica nel nord della Siria, il Rojava, dove coesistono pacificamente e nel rispetto reciproco popoli e fedi religiose diverse tra loro: assiri, siriani, armeni, arabi, turcomanni”.

Una vera e propria Confederazione che “rappresenta una prospettiva ed un valido esempio per una Siria democratica; per questo è necessario sostenere questa esperienza di rivoluzione sociale di cui sono state protagoniste in primo luogo le donne”. Una straordinaria esperienza democratica che “rischia di essere cancellata dall’invasione turca”.

Davanti a questo pericolo “è urgente la mobilitazione internazionale a fianco del Rojava e della resistenza del popolo curdo” e, per questo, la Rete invita “tutti e tutte coloro che in questi anni hanno sostenuto la lotta di liberazione del popolo curdo e la rivoluzione democratica, a scendere in piazza il 24 settembre a Roma”.

* Per fermare l’invasione turca del Rojava; contro la sporca guerra della Turchia al popolo curdo e sulla pelle dei profughi e rifugiati
* Contro la repressione della società civile, del movimento curdo e di tutte le forze democratiche in Turchia
* Contro la barbarie dell’Isis per l’universalismo dei valori umani;
* Per il Confederalismo Democratico
* Per bloccare il supporto delle potenze internazionali e locali, in particolare USA e UE alla Turchia e mettere fine al vergognoso accordo sui profughi
* Per la fine dell’isolamento e per la liberazione del leader del popolo curdo Abdullah Öcalan

Era il dicembre dello scorso anno quando la stessa Rete Italiana di solidarietà con il popolo kurdo denunciò che quotidianamente i civili curdi vengono “giustiziati da polizia e esercito turchi con l’impiego di tank” e i cecchini “sparano a donne e bambini perfino all’interno delle loro case, a ragazzini che vengono abbattuti nelle strade perché hanno osato scavare trincee per non far passare i carri armati dell’esercito e difendere così le proprie case e i propri cari”.

Il deputato HDP Ferhat Encü parlò di “una pulizia etnica” con attacchi ai “civili con armi pesanti” come se l’esercito turco si stesse “confrontando con militari di un altro stato”.

Una decina di giorni fa il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, ha riportato Al Arabiya, ha annunciato che “la Turchia sta preparando la più grande operazione militare della sua storia contro le milizie curde”. Il 29 Agosto Erdogan aveva già affermato che le operazioni militari turche “proseguiranno sino a quando l’organizzazione terrorista Daesh il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) e la sua filiale siriana Ypg non saranno più una minaccia per i nostri cittadini”.

Dopo il golpe di luglio oltre 11.500 insegnanti curdi sono stati colpiti dalla repressione del governo Erdogan e, nelle ultime settimane, ventotto municipalità nei distretti di Sur e Silvan a Diyarbakir sono state sequestrate sostituendo i sindaci democraticamente eletti con fiduciari del governo Erdogan.

“La mattina della vigilia della festa di Eid al-Adha, l’amministrazione politica ha fatto irruzione in 28 comuni, affermando di avere preso il potere attraverso i suoi fiduciari” ha reso noto il Comitato Centrale dell’HDP aggiungendo che “non c’è alcuna differenza di ottica tra chi bombarda il Parlamento e quella di chi cancella la volontà popolare irrompendo furiosamente nei Municipi, gridando di avere Preso il potere e usurpando le volontà espresse localmente attraverso le elezioni” paragonando quanto accaduto con il golpe del 12 settembre 1980.

Il regolamento che ha permesso questo provvedimento di Erdogan, denuncia l’HDP, “vìola le clausole costituzionali, gli accordi internazionali democratici sottoscritti dalla Turchia e tra questi la Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo e la Carta Europea per il Governo delle Autonomie Locali e i diritti umani fondamentali” ed “ignora la volontà degli elettori e rende inefficaci le amministrazioni locali” e per questo lo definiscono illegale e nullo.

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani Zeid Ra’ad Al Hussein ha dichiarato di essere in possesso di dati che documentano come nel Kurdistan del Nord “i diritti umani e il diritto internazionale sono costantemente violati. Tra questi ci sono civili morti, esecuzioni extragiudiziali, e sfollamento forzato su vasta scala. Riceviamo rapporti secondo i quali villaggi e città vengono abbattuti”.

Tutto questo sta avvenendo mentre gli “Stati Uniti e l’Europa non solo hanno chiuso un occhio su questi attacchi, ma stanno fornendo il sostegno allo Stato turco che con la complicità dell’UE continua a usare i profughi come arma di ricatto” denuncia ancora Rete Kurdistan nell’appello per la manifestazione del 24 settembre.

L’appello internazionale urgente contro l’invasione turca del Rojava, firmata da intellettuali, accademici, artistici, esponenti politici, attivisti nella difesa dei diritti umani e tantissimi altri solidali con il popolo kurdo riporta che “l’esercito turco ha invaso la città di Jarablus nella Siria settentrionale il 24 agosto 2016, utilizzando le operazioni anti ISIS come un pretesto. L’operazione è in collaborazione con il braccio siriano di El-Qaida (Jabhat Fatah al-Sham) e di gruppi come Ahrar El-Sham. ISIS ha consegnato la città, Jarablus, senza che un solo proiettile sia stato sparato. Questa è una chiara indicazione che c’è stato un accordo preventivo tra le parti, e che Jarablus doveva rimanere una base per i gruppi salafiti. Perciò Jarablus rimarrà un corridoio per i combattenti stranieri per entrare in Siria e ricevere addestramento, e poi tornare indietro per essere distribuiti in Europa e nel resto del mondo. Dal terzo giorno dell’operazione (26 agosto 2016) davanti agli attacchi che sono stati diretti contro le forze curde, il Consiglio Militare di Jarablus e il Consiglio Militare di Manbij in Siria settentrionale sono stati ampiamente ripuliti da ISIS da parte di queste forze con il sostegno della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Attaccando queste forze, la Turchia sta interrompendo la lotta contro ISIS e rafforzando ISIS. Tayip Erdogan e altre autorità turche hanno annunciato ufficialmente il proposito dell’operazione dall’inizio come attacchi contro le forze curde oltre che contro ISIS. L’esercito turco si è impegnato in attacchi aerei e in bombardamenti di zone civili, uccidendo almeno 45 persone in due villaggi a sud di Jarablus. Secondo rapporti locali e filmati ricevuti, le forze dello Stato turco e i loro complici stanno utilizzando armi chimiche”.

La manifestazione del 24 settembre non dimentica lo storico leader del PKK Abdullah Ocalan e le condizioni della sua detenzione nell’isola di Imrali. Lo scorso 5 settembre era partito uno sciopero della fame, a 18 anni dall’inizio della detenzione del leader curdo e 510 giorni dopo le ultime notizie sulle sue condizioni. Nei giorni scorsi finalmente al fratello Mehmet è stato possibile fargli visita.

Al termine della visita (che ha portato anche all’interruzione dello sciopero della fame) Mehmet Ocalan ha riportato che Abdullah Ocalan riferisce “l’isolamento continua, ma non ho problemi dal punto di vista fisico. La situazione continua come prima” e che “ha chiesto alle istituzioni democratiche, agli intellettuali, ai democratici a i pensatori umanitari di unirsi per una soluzione alla questione curda”.

Per il fondatore del PKK è in corso una “guerra cieca” nella quale “nessuno può vincere. Questa guerra è continuata per 40 anni. Forse continuerà per altri 80 anni. È una vergogna per via delle persone che muoiono. Questo sangue e queste lacrime devono finire”.

E questo può accadere “in sei mesi” se lo Stato turco volesse. Dopo la pubblicazione del messaggio di Ocalan, il deputato dell’HDP e portavoce della delegazione di İmralı Sırrı Süreyya Önder ha affermato “i tempi che offre per una soluzione e gli approcci principali fondamentali dovrebbero risvegliare tutti in Turchia e riportarli alla ragione” e lo Stato “deve prima interiorizzare che questa è una questione politica. Devono arrivare a questo. Se il loro approccio avviene con un’idea militare, si trasforma nell’analisi di Öcalan, non ci saranno vincitori e vinti, ma causerà anni di sofferenze e conseguenze sociali. Lo Stato deve prima liberarsi del suo approccio superficiale di definire la questione in base a concetti di guerra e militari”.