Cemil Bayik: “Serve una mediazione internazionale sulla questione kurda”
In un’intervista esclusiva con al Monitor Cemil Bayik, co-presidente del consiglio esecutivo dell’Unione delle Comunità del Kurdistan (organizzazione politica impegnata nell’implementazione dell’ideologia di Ocalan di confederalismo democratico) e uno dei leader del Pkk, chiarisce come l’eventuale voto turco del 16 aprile a favore dei cambiamenti costituzionali che daranno al presidente ampi poteri porterà solo all’instabilità; che il Pkk non ha timore di intensificare la guerra se il governo turco continuerà a rifiutare di negoziare un accordo di pace; e il perché i kurdi siano centrali per un Medio Oriente pacifico e stabile.
Di nuovo, il Pkk fa appello alla comunità internazionale, in particolare agli Stati Uniti, perché medino con il governo turco e risolvano la questione kurda in Turchia.
Bayik, kurdo dalla Turchia, è nato nel 1952 nella provincia di Elazig. È uno dei fondatori del Pkk, nel 1978, e da allora ne è stato la spina dorsale. È stato nominato vice segretario generale, il numero due dopo Ocalan. Leader dell’Esercito popolare di Liberazione fino al 1995 (oggi il braccio militare del Pkk è chiamato People’s Defence Force, Hpg, ed è guidato da Murat Karayilan) e direttore dell’Accademia Mahsum Korkmaz, il campo di addestramento del Pkk nella valle della Bekaa in Libano, Bayik è uno dei leader militari di spicco del Pkk e uno dei pensatori più influenti.
Il Pkk non ha risposto come prima, né militarmente né attraverso la mobilitazione delle masse all’arresto dei leader dell’Hdp e alla distruzione di villaggi e città kurde. Significa che avete perso credibilità tra la gente?
L’obiettivo del governo nell’escalation bellica contro di noi mirava a sopprimere il movimento kurdo per la libertà. Sfortunatamente, lo Stato turco usa i metodi più letali in questa guerra. Ci si può fare una prima idea guardando al rapporto di febbraio della Commissione Diritti Umani dell’Onu, riportata da numerosi media internazionali. Sottolinea chiaramente la distruzione di massa delle città e l’uso eccessivo della forza. Questi sono fatti che il mondo ha ignorato.
Il Pkk non ha perso credibilità tra le masse. Infatti ci sono continue pause da parte dello Stato. Lo Stato ha tentato di preparare movimenti alternativi durante la guerra per accaparrarsi i nostri sostenitori, ma la gente non si unisce a queste organizzazioni. Questi movimenti non hanno ottenuto alcun risultato, il chiaro segno che le masse continuano a sostenere il nostro movimento per la libertà.
Come risponderà il Pkk se vincerà il sì al referendum costituzionale turco?
Noi sosterremo qualsiasi costituzione che apre a maggiore libertà e rafforza la democrazia. Questo è il nostro criterio per sostenere riforme costituzionali. Quella di oggi, se approvata, porterà la Turchia in una direzione completamente opposta, che non sarà di beneficio né ai kurdi né ai turchi. Per questo, se il referendum non passerà, metterà fine al trend egemonico, permetterà la democratizzazione della Turchia e potrebbe creare nuove opportunità per una soluzione pacifica alla questione kurda per la quale abbiamo ripetutamente fatto appello, ottenendo solo rifiuti da parte del governo turco.
Tuttavia, se vincerà il sì, crediamo che la guerra – ricominciata il 24 luglio 2015 – si intensificherà. Dopo il golpe fallito dello scorso anno, è stato dichiarato lo stato di emergenza, niente di nuovo. Abbiamo rivisto la stessa situazione del golpe del 1980. Siamo impegnati nella nostra lotta da 45 anni e molti governi turchi hanno fallito nel reprimerci.
Avete fatto appello all’Unione Europea, agli Stati Uniti e alla comunità internazionale molte volte perché mediasse una soluzione della questione kurda. Avete ricevuto risposte? Dall’altra parte alcuni credono che il presidente turco Erdogan possa riavviare il dialogo con Ocalan a Imrali se abbandona i suoi sogni di modificare il sistema turco. C’è qualche speranza?
Non c’è dubbio che la questione kurda sta attirando l’attenzione internazionale nonostante i rinnovati sforzi del governo turco per rimpicciolire il nostro movimento. Il vecchio contesto politico, che necessitava di certi poteri per restare in silenzio di fronte al genocidio turco della nostra gente, non esiste più. Per questo facciamo appello a tutti i poteri globali perché giochino un ruolo positivo e costringano la Turchia ad accettare negoziati di pace sulla questione kurda. Abbiamo dichiarato in passato che se la Turchia è pronta ad una soluzione pacifica, il governo deve invitare i suoi alleati a monitorare i negoziati. Questo è ancora il nostro approccio, che la Turchia continua a rifiutare. I suoi alleati invece non hanno assunto le misure necessarie ad avviare il negoziato.
Siamo molti ottimisti che la nuova amministrazione Usa, guidata da Donald Trump, possa incoraggiare la Turchia a cercare una soluzione pacifica alla questione kurda. Siamo pronti a impegnarci con chiunque voglia servire la pace e la stabilità.
Nel febbraio 2015 abbiamo accettato l’accordo di Dolmabahce, che indirizzava verso la democratizzazione in Turchia. Sfortunatamente, Erdogan ha rifiutato per le sue ambizioni presidenziali.
È possibile riavviare il processo di pace con lo Stato turco in questo momento?
La domanda dovrebbe essere rivolta al governo turco perché noi siamo sempre pronti alla pace. Tuttavia come possiamo avere la pace con il governo che continua a dire che non esiste una questione kurda? Il governo turco si oppone ai diritti dei kurdi anche in Siria, pensate in Turchia. Erdogan tenta di mostrare che non si oppone ai diritti kurdi avendo buone relazioni con il Kdp nel Kudistan del sud [Iraq],ma il principale fine di questa relazione con il Kdp è opporsi al Pkk.
Intere città nel Kurdistan del nord [Turchia] sono demolite e migliaia di attivisti sono in prigione, compresi i leader dell’Hdp. Come possono simili atti portare alla pace? Vogliono costringerci ad arrenderci. Se il governo rifiuta una soluzione pacifica e i poteri internazionali restano in silenzio, non avremo altra scelta che continuare la nostra resistenza.
Se una resistenza forte riuscirà a sconfiggere le politiche di Akp e Mhp, la strada per la democratizzazione sarà intrapresa. Democrazia e pace sono direttamente collegate. Non ci sarà pace fino a quando la Turchia non intraprenderà la via della democratizzazione.
Recentemente la situazione politica in Siria è cambiata. Le opposizioni sostenute dalla Turchia si sono ritirate da Aleppo e dopo il dialogo di Astana è partito. I kurdi sono stati esclusi dal tavolo. Come lo valuta?
La Turchia ha fallito nell’ottenere il sostegno della coalizione sulle sue politiche in Siria. Non ci aspettavamo la pace da Astana. È impossibile che si giunga alla pace in Siria senza includere nel dialogo i kurdi e altre minoranze parte della Forze Democratiche Siriane (Sdf) e della Federazione Democratica del Nord della Siria (Dfns).
I partecipanti ad Astana mancano di sostegno popolare in Siria. Mancano di influenza sociale, politica e militare. Sono semplicemente collaboratori stranieri. Non è invece il caso dei partiti della Dfns: hanno radici forti, diversità etniche e religiose. Includono arabi, siriaci, circassi, turkemni, cristiani, musulmani, yazidi e altri. La Dfns sta diventando un’entità forte in Siria che presenta una nuova alternativa ai problemi della regione.
Di nuovo, siamo ottimisti che americani e europei seguano questi sviluppi nel nord della Siria perché è nell’interesse di tutti assicurare che si raggiunga la pace e la stabilità nel paese.
Il ministro degli Esteri russo Lavrov ha menzionato l’esistenza di un negoziato tra kurdi siriani e governo siriano sotto la supervisione russa. Pensa che ci possa essere un qualche tipo di accordo con il regime?
Non c’è dubbio che la mentalità del precedente regime Baath rende ogni soluzione impossibile. Il vecchio regime aveva un carattere centralista e non riconosceva i diritti democratici delle comunità. Ha negato i diritti dei kurdi per molto tempo. Per questo la lotta dei kurdi in Siria per i propri diritti è una lotta per la democratizzazione della Siria. I kurdi stanno combattendo indipendentemente dal regime e altre forze per la democratizzazione della Siria. Non siamo per la creazione di uno Stato separato: il nostro obiettivo è la nascita di un sistema democratico nel nord della Siria che sia parte della Siria.
Rispetto ad una risoluzione con il regime siriano, non può essere affrontata con un approccio miope. Una soluzione alla questione kurda in Siria non è stata finora possibile. Tuttavia, se il regime apporterà cambiamenti democratici e adotterà una piattaforma democratica per il futuro della Siria, allora capiremo che c’è una cambiamento. Se succederà, emergerà la possibilità di raggiungere una soluzione.
I kurdi lavorano con la Russia da una parte e con gli Stati Uniti dall’altra. Per quanto tempo si potrà mantenere questa strategia? Lei ha detto varie volte che la strategia della terza linea del Pkk è di successo. Può essere vero oggi, ma quanto può durare?
I kurdi portano avanti una causa legittima, combattono contro le atrocità. Quando il nostro leader Ocalan è stato imprigionato a Imrali, ha detto che “portiamo avanti una causa legittima, lo spiegheremo all’Europa, gli Usa, la Russia, la Cina, ai cristiani, agli ebrei, a chiunque”. Chiunque può guardare alla situazione di Rojava come esempio di una lotta legittima che promuove la coesistenza tra gruppi etnici e religioni diversi. Tutti sono uniti contro l’Isis e concordano sulla democratizzazione della Siria. I kurdi, con il loro approccio liberale e democratico, sono la base della pace e della stabilità nella regione. Le Sdf collaboreranno con chiunque cerchi una soluzione pacifica, stabile e democratica per la regione.
Gira voce che la bozza di costituzione preparata ad Astana sia stata preparata con i kurdi. Ne approvate i contenuti?
I kurdi non hanno avuto alcun ruolo nella bozza di costituzione di Astana. Infatti è stata criticata da molti kurdi perché non è in linea con la nostra visione per la Siria. La bozza parla di autonomia culturale, ma la Dfns è molto più inclusiva e democratica. I diritti previsti nella bozza sono insufficienti.
Ma considerando il duro trattamento del passato – assimilazione, genocidi, non-esistenza – discutere di diritti dei kurdi è un’intenzione positiva seppur insufficiente. Ci deve essere un approccio più democratico al problema siriano.
Alcune persone pensano che il Kurdistan siriano sarà una via di passaggio energetica per il Mar Mediterraneo e che questa è la ragione dell’opposizione di Turchia, Qatar e Arabia Saudita alla Dfns. La Turchia è impegnata in una guerra energetica contro di voi?
L’energia potrebbe essere un fattore, ma il fine principale è la mentalità fascista del governo turco che si oppone ai diritti dei kurdi. Oltre a ciò, i kurdi non hanno come obiettivo il controllo dei corridoi energetici, ma una giusta distribuzione delle entrate energetiche e una soluzione democratica.
La parola ‘Rojava’ è stata rimossa dalla Dfns. Il Pkk ha sostenuto questa rimozione? Significa che il Pkk pone fine alle ambizioni nazionali per un approccio confederale in tutto il Medio Oriente?
La rimozione della parola ‘Rojava’ dalla Dfns non è sbagliata perché la federazione non è composta solo da Rojava. Ci sono anche città arabe, come Shaddadah e Hol e altri distretti. Aggiungere Rojava avrebbe generato impressioni sbagliate. La sua rimozione non significa la rimozione e il diniego della sua esistenza perché la Dfns contiene anche Rojava.
Se ci opponiamo al nome ‘Repubblica siriana araba’ per via della caratterizzazione ‘araba’, come possiamo etichettare la Dfns come Rojava? Rojava è parte della federazione intesa come amministrazione autonoma. Per cui, per rispondere alla domanda, rimuovere la parola Rojava non ha nulla a che vedere con l’approccio nazionalista del Pkk. Il Pkk non ha visioni nazionalistiche.
Siamo un movimento liberale che punta al confederalismo, basato su una nazione democratica. Rojava non è stata rimossa perché il Pkk pensa che sia nazionalista. Se la Dfns diventerà un’entità politica basata sulla visione di Ocalabn, sarà organizzata come una società democratica dove donne, uomini e tutte le comunità vivranno e organizzeranno le loro vite nella coesistenza.
Trump guarda ad un lavoro maggiore con i kurdi. Ci sono sviluppi nella percezione Usa del Pkk?
Solo il tempo ci dirà se l’approccio Usa al Pkk cambierà. Riconoscere la dignità della coesistenza nella Federazione del Nord della Siria – completamente in linea con la visione di Ocalan – ma guardare al Pkk come nemico non è un approccio buono. Dobbiamo essere realistici: ci sono differenze ideologiche tra il Pkk e gli Stati Uniti. Tuttavia siamo certi che le nostre differenze politiche possano essere discusse, la radicalizzazione islamista è una minaccia molto più grande per il mondo dell’ideologia del Pkk.
Il Pkk non è interessato alla guerra. Vuole la pace. Siamo ottimisti che Trump giocherà un ruolo positivo nell’incoraggiare la Turchia a tornare al tavolo del negoziato. Noi siamo pronti.
Traduzione a cura della redazione di Nena News