Camera dei Deputati: Iniziative, in sede europea ed internazionale, in relazione all’assedio della città siriana di Kobane da parte dei miliziani dell’ISIS

(Iniziative, in sede europea ed internazionale, in relazione all’assedio della città siriana di Kobane da parte dei miliziani dell’ISIS – n. 2-00709)

  PRESIDENTE. Passiamo all’interpellanza urgente Palazzotto n. 2-00709, concernente iniziative, in sede europea ed internazionale, in relazione all’assedio della città siriana di Kobane da parte dei miliziani dell’ISIS (Vedi l’allegato A – Interpellanze urgenti).

Iniziative, in sede europea ed internazionale, in relazione all’assedio della città siriana di Kobane da parte dei miliziani dell’Isis – 2-00709

 I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri, per sapere – premesso che:
dopo oltre venti giorni di assedio al cantone di Kobane nel Kurdistan occidentale, i miliziani dell’Isis sono entrati nella città di Kobane, terza città della Siria al confine della Turchia;

la città è oramai allo stremo e a difenderla ci sono solo le forze di protezione del popolo curde delle YPG e YPJ si difendono con le poche armi leggere che hanno a disposizione;

attualmente l’attacco alla città prosegue da sud, ovest ed est, mentre combattimenti corpo a corpo sono, inoltre, segnalati nelle zone di Mgtel, Botan e sulle colline di Mistenur;

le unità di protezione del popolo continuano a resistere agli attacchi, nonostante non sia una guerra equilibrata, sia in termini di numeri di uomini che di armamenti a disposizione;

secondo quanto dichiarato a l’Espresso, in data 7 ottobre 2014, dal presidente del cantone di Kobane, Enver Muslim: «ora intorno a noi ce ne sono circa ottomila, ma ogni giorno ne arrivano di nuovi da Tilabyad, da Ar-Raqqah. Sono sempre di più. Attaccano prima da lontano con lanciarazzi, carri armati e mortai, poi si scagliano a migliaia. Non finiscono mai. Si vede che dietro di loro c’è una forza. Hanno a disposizione le armi dell’esercito iracheno prese a Mosul e anche quelle dell’esercito siriano. Possiedono cannoni da 133 e 122 millimetri di modello sovietico, tanks T-72 e T-55, missili Fagost 9K111 e Konkurs, tutti i tipi di mitragliatrice. Negli ultimi 21 giorni ne abbiamo uccisi più di 300, tra loro c’erano anche molti marocchini e turchi»;

critica risulta essere la situazione in Turchia nella zona prossima al confine siriano. Nella città di Suruç  ci sono al momento oltre 100 mila profughi scappati da Kobane, costantemente controllati dalla polizia e dall’esercito turco;

Kobane e Suruç  sono collegate da un rettilineo di circa 7 chilometri. Oltre a pick-up carichi di persone, la strada è percorsa dai tank militari dell’esercito turco e dalle camionette della polizia, che presidiano la zona e non permettono a nessuno di oltrepassare il confine da entrambi i lati;

nei giorni scorsi le forze di sicurezza turche hanno addirittura disperso con cariche e l’uso di gas lacrimogeni i giornalisti, attivisti per i diritti umani e civili che chiedevano di entrare in Siria per poter portare un sollievo umanitario ai resistenti di Kobane e documentare quanto sta accadendo in città;

tuttavia, fonti locali, confermate su diversi media internazionali, riferiscono che in realtà la Turchia, mentre chiude la frontiera ai curdi che vogliono entrare a Kobane per lottare o mandare aiuti alla popolazione, in realtà apre la stessa frontiera agli jihadisti dell’Isis che vogliono andare in Siria per combattere. Addirittura si riferisce di treni che fermano in un posto dove non c’è la stazione e riforniscono di armi i miliziani;

in data 7 ottobre 2014, dopo oltre venti giorni di assedio, ci sono stati i primi raid aerei della coalizione internazionale nella zona. Inoltre i raid condotti sino ad ora sarebbero totalmente inefficaci nel contrastare le milizie islamiche. Fonti indipendenti riportano la circostanza che quando gli aerei cominciano a bombardare le postazioni, le milizie dell’Isis si allontano e tornano di nuovo quando gli aerei vanno via;

i bombardamenti sono discontinui e senza una logica. Come riportato sempre da Enver Muslim: «Se gli aerei bombardassero per due giorni di seguito, colpendoli davvero, sarebbero già finiti. Ma non lo fanno. E così non appena gli aerei si allontanano, si rafforzano e ci attaccano di nuovo»;

nel novembre 2013, durante la guerra civile siriana, le enclavi curde di Kobane, Afrin e Cizre hanno costituito la regione autonoma di Rojava nel Kurdistan siriano e si sono date una costituzione ed un’organizzazione con delle istituzioni riconosciute dalla popolazione;

Kobane è il primo posto dove è partita la «rivoluzione del Rojava». Nel cantone vivono etnie diverse, non solo curdi, ma anche arabi, turcomanni, assiri, armeni e cristiani, yazidi, musulmani e la loro convivenza pacifica è il futuro dell’umanità;

è una città simbolo, un modello per il futuro della Siria e per tutta l’area. La capitolazione della città di Kobane significherebbe la fine di quel modello di autonomia democratica e volontà popolare;

nello scongiurare la caduta della «democratica Rojava» e il conseguente massacro di migliaia di civili la comunità internazionale sarebbe responsabile di tutto ciò;

la Turchia, che la settimana scorsa ha approvato una mozione per l’invio di forze terrestri in Siria, sta ancora tergiversando, nonostante il suo presidente, Recep Tayyip Erdogan, in data odierna abbia avvertito che «i bombardamenti aerei a Kobani non sono sufficienti» per fermare i jihadisti;

Ankara però, per ora, si è limitata a fornire supporto logistico alle forze della coalizione internazionale, senza intervenire, ribadendo, invece, che le forze curde, che in questo momento combattono a Kobane, sono dei nemici alla stregua dell’Isis;

il ruolo della Turchia appare determinante per scongiurare un massacro e un riequilibrio democratico dell’area e la comunità internazionale, compreso il nostro Paese, deve avere un ruolo attivo per indurre il Governo di Ankara a scelte che vadano in questa direzione, compreso l’apertura immediata delle frontiere per ragioni umanitarie;

il Sottosegretario per gli affari esteri, Mario Giro, durante un’interrogazione a risposta immediata in Commissione esteri lo scorso 1o ottobre aveva così risposto: «Ankara ha negli ultimi giorni rafforzato i presidi militari lungo i confini, schierando carri armati e artiglieria lungo il confine con la Siria. Proprio in questi giorni è in discussione al Parlamento turco la questione delle autorizzazioni a compiere operazioni transfrontaliere in Siria e Iraq. L’esito di tale dibattito, che è previsto cominci il 2 ottobre, potrà dare indicazioni sul profilo che la Turchia vorrà adottare nei confronti delle crisi ai propri confini. Su questi e correlati temi, di importanza cruciale per la stabilità della regione medio orientale, i Governi di Roma e Ankara mantengono frequenti contatti e un costante approfondito dialogo. È nel quadro di questo dialogo che il Governo intende richiamare – nelle modalità che verranno ritenute opportune – l’attenzione di Ankara sulla questione» –:

quali iniziative il Governo italiano stia intraprendendo, anche con gli altri partner internazionali, per scongiurare il massacro di Kobane;

quali iniziative in sede europea, anche alla luce della circostanza che l’Italia è presidente di turno dell’Unione europea, intenda adottare;

quali siano, alla luce delle dichiarazioni del Sottosegretario riportate in premessa, gli intendimenti rispetto alla politica del Governo di Ankara e se, e che in modo, non intenda richiamare «l’attenzione di Ankara sulla questione»;

quali siano le iniziative di carattere umanitario che il nostro Paese e la coalizione internazionale stiano portando avanti nella zona del Kurdistan occidentale e, in particolare, nella regione della Rojava;

se non intenda, con urgenza, riconoscere formalmente le istituzioni autonome della Rojava. (2-00709) «Palazzotto, Scotto, Pannarale».

Chiedo al deputato Palazzotto se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  ERASMO PALAZZOTTO. Signora Presidente, signor sottosegretario Giro, è da più di venti giorni che la città di Kobane, nel Kurdistan occidentale o siriano, si trova sotto l’assedio dei miliziani dell’ISIS. Kobane è la terza città della Siria, quasi al confine con la Turchia. La città è oramai allo stremo e a difenderla sono rimaste soltanto le forze di protezione del popolo curdo delle YPG. Si difendono con poche armi leggere a disposizione fronteggiando, invece, miliziani dell’ISIS in grande quantità e armati di tutto punto, anche con carri armati presi nell’assalto a Mosul.
Attualmente, l’attacco alla città prosegue da sud-ovest, da est, mentre combattimenti corpo a corpo sono segnalati nelle periferie. Le unità di protezione del popolo continuano a resistere, nonostante non sia una guerra equilibrata. Infatti, a l’Espresso il presidente del cantone di Kobane, Enver Muslim, dichiarava: Intorno a noi ce ne sono circa 8 mila, ma ogni giorno ne arrivano di nuovi. Sono sempre di più. Attaccano prima da lontano con lanciarazzi, carri armati e mortai, poi si scagliano a migliaia. Non finiscono mai. Si vede che dietro di loro c’è una forza. Hanno a disposizione le armi dell’esercito iracheno prese a Mosul, anche quelle dell’esercito siriano. Possiedono cannoni da 133 e da 122 millimetri di modello sovietico, tank T-72 e T-55, missili Fagost 9K111 e Konkurs, tutti i tipi di mitragliatrice. Negli ultimi 21 giorni abbiamo ucciso più di 300 miliziani; tra loro c’erano anche molti marocchini e turchi.
La situazione risulta, quindi, essere molto critica, soprattutto in Turchia, nelle zone prossime al confine siriano. Nella città di Suru, infatti, ci sono oltre 100 mila profughi che sono fuggiti da Kobane, in seguito all’avanzata delle truppe dell’ISIS, e che hanno varcato il confine illegalmente perché la Turchia, appunto, non faceva passare i profughi e i civili in fuga dalla città di Kobane. Kobane e Suru, infatti, sono collegate da un rettilineo di circa 7 chilometri, su cui viaggiano pick-up carichi di persone, tank militari dell’esercito turco, camionette della polizia che presidiano la zona e che, appunto come dicevo, non permettono a nessuno di oltrepassare il confine da entrambi i lati.
Le forze di sicurezza turche nei giorni scorsi hanno addirittura disperso, con cariche, con l’uso di gas lacrimogeni e di idranti, attivisti per i diritti umani, civili e i curdi turchi che provavano a entrare in Siria per potere portare sollievo umanitario ai residenti di Kobane e documentare quello che stava accadendo. Ci viene confermato, da fonti locali, e diversi media internazionali riferiscono, appunto, che la Turchia, mentre da una parte chiude la frontiera ai curdi che scappano da Kobane, chiude la frontiera ai curdi che cercano di andare a Kobane a combattere con i loro fratelli in Siria, a difendere quella città dall’avanzata dell’ISIS, allo stesso tempo lascia quella frontiera aperta per i miliziani dell’ISIS. Ci risulta che dal valico di Tall al-Abyad siano transitate armi, oltre che a quasi tutti i miliziani che, come ben sappiamo, dall’Occidente arrivano a combattere in Siria e che transitano attraverso la Turchia senza nessun problema. Noi abbiamo, appunto, avuto anche notizie, rispetto sempre a queste fonti, che riferiscono di come alcuni treni fermano in luoghi dove Pag. 48non ci sono stazioni, vicino al confine, per permettere ai miliziani di fare rifornimenti di armi. Di questi giorni sono anche le notizie non solo dello scambio di prigionieri che la Turchia ha fatto, liberando proprio in prossimità di Kobane oltre 150 miliziani dell’ISIS, ma anche del fatto che i miliziani dell’ISIS possono tranquillamente attraversare il confine, andarsi a curare, per le ferite da arma da fuoco, negli ospedali turchi e tornare a combattere in Siria senza nessun ostacolo.
Nel novembre 2013, quando ancora l’ISIS non si era manifestata in tutta la sua forza e la sua minaccia e in Siria si combatteva la guerra civile, le enclavi curde di Kobane, Afrin e Cizre hanno costituito la regione autonoma del Rojava, appunto nel Kurdistan siriano, e si sono date una propria costituzione e un’organizzazione con delle istituzioni riconosciute dalla popolazione ed elette democraticamente. Si sono date delle forze di difesa del popolo, le YPG che citavo poc’anzi, che sono quelle milizie che oggi combattono per la difesa dei civili a Kobane. Kobane è proprio la capitale del Rojava, il posto da cui la «rivoluzione del Rojava», così viene chiamata, è partita. Questa rivoluzione è un’esperienza straordinaria in un luogo come la regione mediorientale, proprio per la sua capacità di convivenza e di tolleranza. Appunto nella regione del Rojava vivono etnie diverse, non solo curdi, ma anche arabi, turcomanni, assiri, armeni, cristiani, yazidi, musulmani.
La loro convivenza è assolutamente pacifica. Le istituzioni della Rojava sono nate con l’idea della convivenza tra popoli, culture ed etnie diverse. Kobane appunto è una città simbolo, un modello anche per il futuro di quella terra, una volta che la minaccia dell’ISIS sarà sconfitta. La capitolazione di quella città e così importante per l’ISIS proprio perché rappresenta un simbolo di un’alternativa possibile al modello sociale e religioso che l’ISIS impone. Allora, nello scongiurare la caduta della democratica Repubblica di Rojava e il conseguente massacro di migliaia di civili, la comunità internazionale si ritroverebbe ad esserne responsabile se non interviene. La Turchia la settimana scorsa ha approvato una mozione per l’invio di forze terrestri in Siria e sta ancora tergiversando, nonostante il Presidente Erdogan in data odierna abbia avvertito che bombardamenti aerei non sono sufficienti per fermare i jihadisti, non sta facendo nulla.
Ankara allo stato attuale si è limitata semplicemente a fornire supporto logistico alle forze della coalizione internazionale, ribadendo invece che le forze curde, che in questo momento sono quelle che stanno combattendo a Kobane, sono, esattamente come l’ISIS, nemici e terroristi. Ora da questo punto di vista il ruolo della Turchia appare determinante non tanto per l’intervento che potrebbe fare, trovandosi la città di Kobane a pochissima distanza dal proprio confine, dove ha schierato ingenti forze di terra, con carri armati ed altre apparecchiature belliche, ma soprattutto per la possibilità di rifornire chi combatte in questo momento a Kobane di aiuti umanitari e di sostegno da parte delle forze curde che dalla Turchia cercano di andare in questo momento a combattere l’ISIS.
Lei stesso durante un’interrogazione a risposta immediata in Commissione lo scorso 1o ottobre aveva risposto che appunto la Turchia stava avviando una discussione in Parlamento, aveva aperto un dibattito e che l’esito di quella discussione avrebbe potuto dare indicazioni sul profilo che la Turchia avrebbe adottato nei confronti della crisi che si svolgeva ai propri confini.
Ecco, noi alla luce di questo e dei rapporti tra il nostro Governo e il Governo turco, che in questo momento sta non solo assistendo inerme al massacro di Kobane, ma sta anche agevolando quel massacro – noi discuteremo prossimamente in Commissione affari esteri anche la ratifica di un accordo di cooperazione internazionale nella lotta al terrorismo con la Turchia – noi vorremmo sapere quali sono le iniziative intanto che il nostro Governo vuole mettere in campo anche in relazione con gli altri partner internazionali per scongiurare Pag. 49che Kobane cada nelle mani dell’ISIS e quali iniziative in sede europea.
Ricordo che noi in questo momento siamo nel semestre di Presidenza italiana dell’Unione europea ed esprimiamo la carica di Miss PESC con il nostro attuale Ministro degli affari esteri, che ricopre entrambe le cariche in via transitoria, eppure non siamo in grado di avanzare una proposta europea rispetto all’intervento. Se c’è un grande assente dentro questo scenario in questo momento è proprio l’Europa e io penso che proprio su questo serva uno sforzo maggiore del nostro Governo per arrivare a un intervento dell’Europa e intanto anche ad una scelta di strategia comune dell’Europa, che in questo momento non c’è e non si vede. In più quali sono, alla luce della discussione che si è svolta in Turchia, gli interventi che il nostro Governo vuole fare nei confronti del Governo turco, che in questo momento si sta rendendo responsabile di questa situazione, e se il nostro Paese ha intenzione di avviare dei processi di aiuti umanitari nel Kurdistan occidentale, nella regione del Rojava, per cercare di alleviare le sofferenze delle popolazioni che in questo momento si trovano in conflitto.
Infine, un’ultima osservazione la faccio anche rispetto al ruolo delle organizzazioni internazionali, perché, se vi è veramente una cosa a cui assistiamo, è che in questo momento, davanti all’avanzata dell’ISIS, si continua a combattere in ordine sparso. Gli Stati Uniti stanno effettuando dei raid aerei, in questo momento, sia sul territorio siriano sia su quello iracheno; altre forze alleate del mondo arabo, ma anche della Francia e del Regno Unito, in questo momento, bombardano solo in Iraq.
Ci sono diverse risoluzioni dell’ONU che, al netto di una condanna dell’ISIS, non danno alcun mandato per un possibile intervento. Ci chiediamo anche se il nostro Paese non sia intenzionato a premere in sede ONU perché si arrivi alla possibilità che una risoluzione dell’ONU conferisca un mandato a delle forze militari per combattere l’ISIS, e non ci si muova in ordine sparso, come sta accadendo.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Palazzotto. Prima di dare la parola al sottosegretario Giro, salutiamo le alunne e gli alunni dell’Istituto comprensivo statale di Monteodorisio, in provincia di Chieti, che assistono ai nostri lavori dalle tribune.
Il sottosegretario di Stato per gli affari esteri, Mario Giro, ha facoltà di rispondere.

  MARIO GIRO, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, ringrazio, innanzitutto, l’onorevole Palazzotto per la sua interpellanza su un tema talmente drammatico. L’assedio della città di Kobane è solo l’ultimo dei tragici sviluppi del nuovo ciclo di violenze e atrocità innescato dall’avanzata dei miliziani dell’ISIS in Siria e in Iraq. L’efferatezza delle violenze ai danni dei civili nei territori contigui alla cittadina, che hanno provocato l’esodo di quasi 100 mila cittadini siriani di etnia curda nella vicina Turchia, suscita il più forte sdegno.
È fonte di preoccupazione l’evidente disparità delle forze in campo, ben descritta dall’onorevole interpellante, aggravata dalla circostanza che gli assediati sono accerchiati da tre lati e non dispongono di vie di rifornimento alle loro spalle, tenuto conto della chiusura del valico con la Turchia. Sottolineo qui quanto dichiarato ieri dall’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, e cioè – cito – che «la comunità internazionale deve agire con urgenza per difendere la città siriana di Kobane, che sta per finire nelle mani dei jihadisti dello Stato islamico, ed evitare un massacro. Il mondo intero, tutti noi ci pentiremo profondamente se l’ISIS riuscirà a conquistare una città che si è difesa con coraggio, ma che non ce la fa più. Dobbiamo intervenire adesso. La comunità internazionale la deve difendere, non può tollerare che una nuova città finisca nelle mani dello Stato islamico» – fine della citazione – ha commentato ancora l’inviato dell’ONU, parlando anche di una nuova Srebrenica. Ha lanciato un appello, contestualmente, alla Turchia affinché – lo cito – «consenta ai volontari di entrare nella città con Pag. 50equipaggiamenti sufficienti e contribuire alle operazioni di autodifesa».
Vorrei darvi e dare all’onorevole interpellante anche gli ultimi aggiornamenti sulla posizione espressa dal Parlamento e dal Governo turco. Con un’ampia maggioranza (298 voti a favore e 98 contrari), come sa, il Parlamento turco ha approvato, il 1o ottobre scorso, la mozione che autorizza l’esercito ad intervenire oltre confine, in territorio siriano e iracheno, per fare fronte alle crescenti minacce poste dall’avanzata delle forze dell’ISIS.
La mozione ha unificato le precedenti autorizzazioni alle operazioni transfrontaliere in Iraq (contro eventuali azioni terroristiche del PKK) e in Siria (in difesa degli interessi nazionali minacciati dagli scontri tra le forze del regime e i ribelli). Il mandato di questa mozione approvata dal Parlamento, della durata di un anno, consente anche il transito in territorio turco di truppe straniere e l’utilizzo delle basi militari turche da parte della coalizione internazionale.
La mozione menziona esplicitamente anche l’enclave turca in territorio siriano dove si trova il mausoleo di Suleyman Shah, fondatore dell’impero selgiuchide in Anatolia, presidiato da un contingente militare turco. Come anche dichiarato nei giorni scorsi dal Primo Ministro turco Davutoglu ai media internazionali, il Governo turco ha da tempo avanzato le richieste di istituire una buffer zone e una no-fly zone, quale contropartita per la messa a disposizione del proprio spazio aereo e delle basi militari per le forze armate della coalizione.
E a questo proposito, aggiungo che sempre in Parlamento turco, il Primo Ministro ha respinto la proposta dell’opposizione, segnatamente del Chp, il maggiore partito dell’opposizione (repubblicano del popolo), a favore di un «intervento di terra limitato alla città di Kobani». Il leader del Chp, aveva presentato una mozione ieri in Parlamento, chiedendo di modificare quella approvata la settimana scorsa, che ho appena citato, che autorizza l’invio di militari turchi in territorio siriano e iracheno, sostenendo che: «L’attuale mandato dà un’autorizzazione vaga alle operazioni transfrontaliere in Iraq e in Siria», ma è stata respinta.
È in corso ad Ankara la visita del Segretario generale della NATO, Stoltenberg, e aspettiamo anche gli esiti finali della visita in corso del rappresentante speciale del Presidente Obama per il contrasto all’ISIS, generale Allen, ma non si registrano, fino ad oggi, evoluzioni della posizione turca con riferimento alla strategia di contrasto all’ISIS, nonostante l’avanzata delle milizie jihadiste nella città curda di Kobane e anche nonostante le proteste interne curde in Turchia contro l’inazione turca che hanno funestato l’ultimo giorno della festa del Sacrificio nelle principali città a maggioranza curda in Turchia, direi oltre i 30 morti, che sono molti di più di quelli che erano avvenuti per la manifestazione di Gezi Park, l’anno scorso.
Di tutto questo il Governo italiano è ben cosciente, così come è cosciente dell’importanza determinante della Turchia, come ben detto dall’interpellante, per il conseguimento degli obiettivi strategici della coalizione attuale nel contrasto al sedicente stato islamico. Ciò, anche nella piena consapevolezza del ruolo chiave turco nell’Alleanza atlantica. Da parte italiana si auspica che, nel pieno rispetto delle esigenze di sicurezza turche, evidentemente, Ankara sappia articolare il proprio apporto alla strategia della coalizione, commisurandolo alla vasta portata della minaccia di ISIS alla stabilità della regione mediorientale e della Turchia stessa.
Come ho già avuto modo di riferire in Commissione esteri, su questi argomenti, d’importanza cruciale per la stabilità della regione medio orientale, i governi di Roma e Ankara hanno frequenti contatti, contatti che continuano, e nel quadro di questi contatti il Governo richiama ancora – e se posso dire: ancora una volta – a un maggiore impegno nella questione in oggetto. D’altra parte molti altri soggetti internazionali e molti altri Paesi hanno insistito provando a convincere la Turchia Pag. 51a fare di più, o almeno a far passare chi vuole andare a combattere per difendere l’enclave di Kobane.
Sul piano umanitario l’Italia ha sensibilizzato sia i partner internazionali che il Governo di Ankara per propiziare l’apertura di flussi di assistenza ai curdo-siriani tramite i valichi con la Turchia (anche nell’ambito di un ampliamento della sfera di applicazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza 2165) e quelli con l’Iraq. La Cooperazione italiana è intervenuta tempestivamente in risposta alla crisi umanitaria in Iraq visto l’afflusso di rifugiati siriani e, più recentemente, a causa dell’offensiva dell’ISIS, come si sa. Secondo le ultime stime delle Nazioni unite, vi sono oltre 1,8 milioni di sfollati in Iraq. Più di 850.000 persone hanno trovato rifugio nelle province di Niniwe, Diyala, Anbar e in quella di Dohuk nel Kurdistan iracheno.
Finora sono stati erogati 500.000 euro all’OMS, 250.000 euro al PAM, 230.000 euro all’UNICEF. In aggiunta, parte del programma del valore di 1 milione di euro già avviato in Iraq in favore dei rifugiati siriani presenti nelle aree del Kurdistan iracheno, è stato riconvertito per realizzare attività in ambito sanitario e formativo in favore dei nuovi sfollati interni presenti nel Paese. Ricordo anche che, in collaborazione con la nostra Aeronautica militare, sono stati effettuati sei voli umanitari, dopo la visita del Presidente Renzi, dal 16 al 20 agosto, per il trasporto e la distribuzione di 50 tonnellate di acqua e biscotti proteici, 200 tende e 400 sacchi a pelo, messi a disposizione dalla Cooperazione Italiana, in collaborazione con la base delle Nazioni Unite di Brindisi, per un valore complessivo pari a circa 125.000 dollari.
Per quanto riguarda la regione di Kobane, le precarie condizioni di sicurezza non hanno sino ad ora consentito di svolgere attività umanitarie internazionali. Dunque, è intenzione della cooperazione effettuare, quando le condizioni di sicurezza lo consentiranno, operazioni umanitarie anche a beneficio della popolazione civile della regione curdo-siriana (in particolare le altre due enclave che sappiamo formano il Rojava) attraverso trasporti di generi di prima necessità da realizzare in collaborazione con la base di Brindisi dell’ONU o finanziando la realizzazione di iniziative a forte impatto sociale da parte delle agenzie del sistema ONU e della Croce Rossa Internazionale.
Tali attività potranno essere realizzate grazie al ricorso di risorse aggiuntive stanziate nel decreto missioni relativo al secondo semestre 2014.
Sulla Siria, l’Italia, in linea con l’orientamento della comunità internazionale, auspica con forza il mantenimento dell’unità statuale e l’integrità del Paese, nella prospettiva – speriamo non lontana – dell’uscita dal conflitto. In tale contesto l’esperienza di convivenza inter-comunitaria avviata nei distretti della Siria settentrionale di prevalente etnia curda e l’orientamento generalmente scevro da esasperazioni settarie, sin qui seguito dalle leadership curdo-siriane nelle aree amministrate, costituiscono aspetti di indubbio e positivo interesse e valore.
L’Italia continuerà a seguire ciò che sta avvenendo in Siria e Turchia con il massimo impegno, di concerto con i nostri partner internazionali.

  PRESIDENTE. Saluto gli studenti e le studentesse dell’Istituto comprensivo statale «Ex circolo didattico Rionero», di Rionero in Vulture, in provincia di Potenza, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi). Grazie per essere qui.
Il deputato Palazzotto ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  ERASMO PALAZZOTTO. Signor Presidente, io non sono ovviamente soddisfatto. Ringrazio il sottosegretario Giro per le informazioni che qui ci ha portato, ma non sono soddisfatto, non tanto dalla risposta, quanto dallo stato dei fatti e delle scelte del nostro Paese.
Vede, sottosegretario, dire che le condizioni di sicurezza non consentono al nostro Paese di portare degli aiuti umanitari Pag. 52ad una città che dista quasi un chilometro dal confine con la Turchia, che è un Paese dove invece le condizioni di sicurezza non sono agibili forse solo per i curdi che manifestano al confine, dire che è un Paese che fa parte della Nato e che è un Paese partner dell’Italia sia nella cooperazione militare che in quella civile e soprattutto in quella economica è un po’ un controsenso.
Penso che, davanti a quello che sta accadendo a Kobane, il nostro Paese dovrebbe avere una posizione diversa nei confronti del Governo di Ankara e dovrebbe chiedere immediatamente al Governo di Ankara, più che lasciare lo spazio aereo per il transito di velivoli militari, intanto per esempio di aprire le frontiere per garantire gli aiuti umanitari ai cittadini di Kobane che fuggono dall’ISIS.
Vorrei leggere in quest’Aula, nel tempo che mi è concesso, alcune parole che sono estrapolate dal preambolo e da alcuni articoli della Carta costituzionale del Rojava, proprio per ricordarci di chi stiamo parlando e di che cosa stiamo parlando. «Noi popoli che viviamo nelle regioni autonome democratiche di Afrin, Cizre e Kobane, una confederazione di curdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni, liberamente e solennemente proclamiamo e adottiamo questa Carta. Con l’intento di perseguire libertà, giustizia, dignità e democrazia, nel rispetto del principio di uguaglianza e nella ricerca di un equilibrio ecologico, la Carta proclama un nuovo contratto sociale, basato sulla reciproca comprensione e la pacifica convivenza fra tutti gli strati della società, nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, riaffermando il principio di autodeterminazione dei popoli. Noi, popoli delle regioni autonome ci uniamo attraverso la Carta in uno spirito di riconciliazione, pluralismo e partecipazione democratica, per garantire a tutti di esercitare la propria libertà di espressione. Costruendo una società libera dall’autoritarismo, dal militarismo, dal centralismo e dall’intervento delle autorità religiose nella vita pubblica, la Carta riconosce l’integrità territoriale della Siria con l’auspicio di mantenere la pace al suo interno e a livello internazionale. Con questa Carta, si proclama un sistema politico e un’amministrazione civile fondata su un contratto sociale che possa riconciliare il ricco mosaico di popoli della Siria attraverso una fase di transizione che consenta di uscire da dittatura, guerra civile e distruzione, verso una nuova società democratica in cui siano protette la convivenza e la giustizia sociale. La Carta adotta la Dichiarazione universale dei diritti umani, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, così come tutte le altre convenzioni internazionali sui diritti umani». Nella Carta è garantito il diritto a manifestare liberamente la propria identità etnica, religiosa, di genere, linguistica e culturale.
La Carta dice, all’articolo 23, che ognuno ha il diritto di vivere in un ambiente salubre, basato sull’equilibrio ecologico. All’articolo 26, dice che il diritto alla vita è fondamentale e inviolabile e, in accordo a questa Carta, la pena di morte è abolita nel Rojava. La Carta dice che uomini e donne sono uguali davanti alla legge e garantisce l’effettiva realizzazione dell’uguaglianza delle donne e incarica le istituzioni pubbliche di lavorare per eliminare ogni discriminazione di genere. La Carta garantisce, inoltre, i diritti dei bambini e afferma che tutti i cittadini hanno libertà di religione e di culto a livello individuale e collettivo e che sono proibite tutte le persecuzioni per motivi religiosi.
Leggere queste parole e parlare di una regione autonoma che si è data questa Carta costituzionale, di popoli, del popolo curdo e non solo, che vivono in quella regione, e pensare che lo abbia fatto durante un processo durato quasi tre anni, nel pieno della guerra civile siriana, nel cuore di quella regione dove è nato e si è potuto perpetrare uno scandalo, una furia distruttrice, una banda di assassini come l’ISIS, è un fatto straordinario. Io penso che sia un valore universale e imprescindibile da proteggere per noi. Infatti, questa Carta costituzionale, il fatto che, nonostante le condizioni sociali, economiche, Pag. 53militari di quel territorio e quel contesto, ci siano dei popoli che riescono a darsi questi valori e questi principi come fondanti per un nuovo modello di società, credo sia un valore su cui noi possiamo ricostruire tutto l’intero Medio Oriente.
Vede, questa Carta ci ricorda anche un’altra cosa, cioè che noi per molti anni, per un ventennio, forse anche di più, abbiamo dimenticato la questione curda. Il popolo curdo non veniva mai citato da nessun telegiornale, eppure hanno subito una persecuzione che può essere definita un genocidio in Iraq, nella stessa Siria e anche in Turchia. Le condizioni in cui il popolo curdo ha vissuto questi vent’anni, lottando per la propria esistenza, per la propria libertà e per riaffermare il principio di autodeterminazione dei popoli, sono state incredibili. E oggi noi ce ne accorgiamo semplicemente perché là, dove non esiste più nessun interlocutore credibile, sono proprio i curdi, le popolazioni curde a resistere alla brutalità e all’inciviltà dell’Islamic State. Noi abbiamo bisogno oggi di far appello alla nostra memoria per ricordarci che cosa è successo e dovremmo scolpire nelle nostre menti il ruolo che i curdi hanno oggi a difesa della civiltà in quel luogo.
Vede, su questo dovremmo anche ricordarci che l’Islamic State, l’ISIS o come si vuol far chiamare in questo momento storico, non è frutto del caso. L’Islamic State è figlio dell’Occidente, è figlio delle scelte politiche, economiche e militari degli Stati occidentali e anche del nostro Paese, che quelle scelte ha avallato, insieme agli Stati Uniti d’America; è figlio degli interessi economici delle multinazionali del petrolio e dei vari califfati locali. Vorrei ricordare che ancora oggi in quella regione è concentrato il 48 per cento delle risorse petrolifere e che i fondi sovrani dei Paesi del Golfo rappresentano oggi circa il 35 per cento degli asset globali.
Quindi, gli interessi che si stanno giocando in quella parte del mondo non sono interessi di poco conto. Su quella scacchiera hanno giocato tutti e l’ISIS è stato per molto tempo una pedina, l’alfiere di alcuni interessi, ed è stato finanziato, aiutato, lasciato agire perché in qualche modo faceva comodo ad alcuni anche dei nostri alleati nella regione. L’ISIS faceva comodo all’Arabia Saudita, perché in qualche modo osteggiava il Governo sciita di Bagdad e, quindi, la vicinanza politica di quel Governo con l’Iran, suo nemico nella regione. L’ISIS ha fatto comodo alla Turchia, non solo perché ha indebolito il fronte curdo al confine con la Siria, ma ha fatto comodo anche perché ha rafforzato il ruolo, invece, dei curdi iracheni, che in questi mesi hanno esportato, grazie anche a interventi strategici delle compagnie petrolifere, della British Petroleum e delle sue associate, che hanno costruito – guarda caso – in questi anni una bretella per collegare il petrolio del Kurdistan iracheno con la Turchia e commercializzarlo con l’Europa.
Si stima che circa 400 mila barili al giorno possano passare da quella condotta. Nel poco tempo che mi rimane vorrei dire che noi, oggi, non siamo più nelle condizioni di continuare con conflitti per procura, di far finta che tutto quello che è accaduto in questi mesi e in questi anni non sia accaduto. Abbiamo bisogno di un’assunzione di responsabilità e, per farlo, non c’è solo l’intervento militare, che noi riteniamo oggi pur necessario, sotto il mandato delle Nazioni unite, ma appunto serve l’assunzione di responsabilità della comunità internazionale e serve che le Nazioni unite elaborino e scelgano una strategia per intervenire. Serve che l’Europa torni ad avere una parola, anzi, forse abbia per la prima volta una parola unica su quello che sta accadendo.
Serve un cambio di strategia globale, cioè noi non ne usciamo semplicemente, sconfiggendo militarmente l’ISIS: serve cambiare la politica estera che il nostro Paese ed i Paesi occidentali hanno fatto nella regione mediorientale, facendo in modo che, in quella regione, possano esistere principi di libertà come quelli del Rojava.
Chiudo, dicendo che noi abbiamo bisogno oggi anche di garantire ai popoli del Pag. 54Medio oriente una nuova stagione di pace e su questo noi saremo pesati dalla storia.

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