Aylan seppellito a Kobane
di Giuseppe Acconcia – «Ora non ho più motivo di fuggire», con queste parole Abdullah, il padre di Aylan Kurdi, il bimbo kurdo siriano di tre anni annegato tra Bodrum e Kos nella notte di martedì, ha voluto riportare a Kobane i suoi familiari. L’immagine del piccolo corpo di Aylan, riverso sul bagnasciuga di Bodrum, ha intaccato per un momento l’indifferenza di vari leader europei riguardo alle disastrose conseguenze della guerra civile siriana. Abdullah, che ha perso anche la moglie Rihan e l’altro figlio Galip di cinque anni nel naufragio, ha deciso di fare immediatamente rientro in Siria per seppellire i suoi familiari.
«Tenevo mia moglie per la mano. I miei bambini mi sono scivolati», ha raccontato in lacrime il padre di Aylan prima di rinunciare al suo sogno di raggiungere il Canada dove sua sorella Teema attendeva la famiglia di profughi a cui non era stato concesso lo status di rifugiati. Da tre anni la famiglia di Aylan era fuggita dal Kurdistan siriano in Turchia. I veicoli della polizia turca hanno scortato i corpi delle vittime del naufragio fino al confine di Suruç. Anche ieri la guardia costiera turca ha fermato 57 profughi che tentavano di fare la stessa traversata per raggiungere l’Europa.
Aylan è stato seppellito insieme alla madre e al fratello nel cimitero di Kobane, tra i corpi delle decine di combattenti delle Unità di protezione maschili e femminili (Ypg e Ypj) che abbiamo visto seppellire ogni giorno dopo i più duri combattimenti contro lo Stato islamico. Parlando con i giornalisti locali al confine tra Turchia e Siria dove vige uno stato di assedio permanente per gli aiuti umanitari che dovrebbero raggiungere la città distrutta di Kobane, Abdullah, accompagnato nel cantone di Rojava da alcuni parlamentari del partito della sinistra filo-kurda Hdp, si è augurato che l’esempio di suo figlio scuota anche i leader arabi.
«Voglio che i governi dei paesi arabi guardino l’immagine di mio figlio e aiutino i profughi siriani, non i leader europei», ha denunciato Abdullah. Arabia Saudita e Paesi del Golfo non concedono ai siriani lo status di rifugiati. Lo stesso fa l’Egitto di al-Sisi che ha strappato i permessi concessi dall’ex presidente Morsi, nonostante gli squallidi propositi del magnate copto Naguib Sawiris che ieri ha espresso l’intenzione di acquistare un’isola greca o italiana per ospitare i profughi. Mentre Turchia, Libano e Giordania scoraggiano i rifugiati siriani non concedendo facilmente ulteriori permessi o spingendoli a fare rientro in patria.
Giovedì il premier turco del governo ad interim che porterà il paese al voto anticipato del primo novembre, Ahmet Davutoglu aveva criticato l’atteggiamento dell’Unione europea rispetto alla gestione della crisi siriana. Il leader di Akp aveva aggiunto di ritenersi «orgoglioso di vivere in un paese che accoglie due milioni di profughi siriani».
Eppure non accennano a fermarsi gli attacchi contro il partito dei lavoratori kurdi (Pkk) che vanno avanti dallo scorso 24 luglio. Altissima era la tensione ieri a Dersim dove due comandanti del partito di Ocalan sono stati uccisi a colpi di mitra dalla polizia turca. Quattro sono i feriti tra gli abitanti della cittadina kurda, tra cui un medico impegnato nei soccorsi, colpito alla gola, e una donna con suo figlio di soli 15 anni. Nonostante la dura campagna contro la stampa indipendente da parte del presidente Erdogan in vista delle elezioni, una buona notizia è arrivata invece sulla sorte dei giornalisti britannici del blog Vice News, arrestati a Diyarbakir nei giorni scorsi con l’accusa di terrorismo. I due reporter sono stati rilasciati, mentre resta in prigione il loro interprete iracheno.
Il Manifesto