Appello del PYD alla Comunità Internazionale

Appello del co-presidente del PYD, Mohamed Saleh Muslim, per conto del popolo nei cantoni del Rojava, Qamişlo, 01.09.2014

Alla comunità internazionale,
Ai componenti delle Nazioni Unite,
Alle organizzazioni umanitarie internazionali,

In occasione della Giornata Mondiale per la Pace, come persona che non ha perso la sua speranza per la pace, voglio indirizzare a voi questa lettera. Lo scopo di questa lettera non è di descrivervi gli eventi tragici che si sono verificati in Siria negli ultimi tre anni. Ma faccio appello a voi affinché vi assumiate la responsabilità di mettere fine a questa tragedia: voglio anche dirvi come stiamo cercando di essere all’altezza delle nostre responsabilità.

Nel marzo 2011, la popolazione della Siria è scesa in strada per la prima volta per dare voce alle sue legittime richieste al regime di Assad e abbiamo provato a ribellarci contro ciò che per decenni ha represso e tormentato la nostra popolazione. Abbiamo mandato via le forze del regime dalle zone a maggioranza curda nel nord del paese e siamo determinati, come gruppo etnico, compresi i giovani, le donne e gli uomini del Rojava, a costruire da noi il nostro futuro d’ora in avanti. Sia il regime che vari gruppi islamici sono contrari alla nostra decisione – perché hanno iniziato ad attaccarci. Contro questi attacchi abbiamo fatto uso del nostro legittimo diritto all’autodifesa. Non avevamo altra scelta.

Negli ultimi due anni, inizialmente gli islamisti del Fronte Al-Nusra e poi ISIS (o l’IS), hanno assunto un ruolo guida nella lotta contro di noi. Non abbiamo avuto a che fare solo con islamisti provenienti dalla Siria o dall’Iraq, ma con insorti che sono arrivati e continuano ad arrivare non solo da regioni e paesi come la Cecenia e l’Egitto, ma anche dall’Europa o persino dall’Australia. Sono organizzati in molti paesi e spesso usano la Turchia come paese di transito. Abbiamo dovuto contrastare gli attacchi di questa gente e abbiamo avuto la necessità, e l’abbiamo ancora, di difenderci.

Ma per il popolo del Rojava una cosa è certa, ovvero che nulla sarà più com’era prima dell’inizio della guerra civile. Ma come sarà poi la situazione? Per trovare le risposte a queste domande abbiamo sviluppato soluzioni ed avviato i relativi progetti. E questo diritto all’autodeterminazione è per a noi, la popolazione del Rojava, della massima importanza.

Abbiamo sempre detto che siamo in una fase rivoluzionaria. La nostra idea di rivoluzione tuttavia non ha a che fare con la divisione della gente e dei gruppi, ma riguarda il metterli insieme. Il risultato di questa idea è che la rivoluzione nel Rojava risulta nella costruzione di un progetto di Autonomia Democratica; un progetto in cui i siriaci, armeni, arabi, turcomanni e curdi del Rojava sono tutti coinvolti e nel quale partecipano in modo paritario. Ma questa Autonomia Democratica è anche un progetto che si intende come parte di una futura Siria democratica e pluralista. La speranza in una Siria democratica, per la quale la gente è scesa in strada all’inizio della rivoluzione siriana – oggi nel nord della Siria, nel Rojava, una questione davvero viva.

La struttura dell’Autonomia Democratica non è, come spesso viene rappresentata nei media, il risultato di un “andare da solo” del PYD. Più di 50 partiti e organizzazioni che comprendono siriaci, armeni, arabi, turcomanni e curdi sono entrati in questo sistema e vi prendono parte quotidianamente. Nel gennaio 2014, coloro che sostengono l’Autonomia Democratica hanno deciso (con il consenso della popolazione) la realizzazione di questo modello di società nei tre cantoni di Afrin, Kobanê e Cizîrê e hanno adottato un contratto sociale.

Il Rojava attualmente sembra l’ultimo barlume di speranza della rivoluzione siriana. Mentre il resto del paese è dominato dalla guerra e dalla violenza, risultando in centinaia di migliaia di persone costrette a fuggire dalle proprie case. Nel Rojava molte di queste persone sofferenti provenienti dal resto della Siria hanno almeno trovato un rifugio. Anche questo è un risultato della nostra idea di rivoluzione. Quello che succede nel Rojava, non è una “rivoluzione nazionale”, è l’espressione di una costante insistenza sul principio di fratellanza tra le nazioni, proprio il contrario della filosofia di tutti i conflitti alimentati su base etnica e religiosa nella regione.

Ma devo anche dire che siamo stati abbandonati dalla comunità internazionale. Non abbiamo ricevuto né il necessario sostegno politico né sufficienti aiuti umanitari.

Attualmente ci confrontiamo con un flusso ancora più grande di profughi verso il Rojava. Perché centinaia di migliaia di curdi provenienti da Sengal, turcomanni da Tal Afar e siriaci da Karakos hanno dovuto lasciare le proprie case nel nord dell’Iraq. Inoltre sono stati, e di fatto sono ancora, esposti agli attacchi dell’organizzazione disumana “Stato Islamico”. Dato che questi gruppi non avevano unità di autodifesa, avevano e hanno tutt’ora poche possibilità di opporsi ai loro aggressori. Cosi non hanno avuto (e non hanno) altra scelta che fuggire o esporsi al pericolo di essere massacrati.

Se i e le combattenti delle YPG e YPJ, responsabili da due anni della difesa del Rojava, non fossero corsi oltre il confine irakeno a Sengal, forse migliaia di turcomanni e siriaci, 200,000 curdi yezidi della città non sarebbero sopravvissuti all’avanzata dell’IS.
Sono riusciti a fuggire a piedi passando per le montagne di Sengal per sfuggire agli islamisti.

Le YPG e YPJ sono riuscite a salvare questa gente, nonostante dozzine di perdite tra i propri ranghi, fornendo un corridoio per la fuga attraverso le montagne ed a portare decine di migliaia di loro nel Rojava in sicurezza.

Anche se il Rojava sulla mappa sembra appena più grande di una piccola macchia appena visibile, il sistema sociale che stiamo mettendo insieme in quest’area attualmente rappresenta l’altra faccia di questa regione. Questa piccola macchia anche negli ultimi giorni ha di nuovo svolto un ruolo vitale fornendo a decine di migliaia di persone un rifugio e la difesa contro organizzazioni disumane come l’IS.

E siamo convinti che con il nostro sistema potremmo dare protezione e rifugio non solo a noi stessi, ma che avremmo molto da offrire anche alle centinaia di migliaia di persone che sono fuggite nel Rojava – se non fosse per questa guerra e se gli attacchi disumani e barbarici da parte dell’IS venissero fermati e rimosso l’embargo contro il Rojava. Ma al momento siamo esposti ad una situazione di vita o di morte. Non passa giorno senza guerra, senza rapporti su nuove morti, su fughe e “pulizia etnica”.

Chiediamo all’opinione pubblica mondiale di rompere finalmente il muro di silenzio riguardo a tutto questo. Perché fino a quando c’è silenzio fuori dalla Siria e dall’Iraq, gli assassini e le uccisioni nei due paesi aumenteranno costantemente. Mentre all’ONU, nell’UE ed in altri luoghi si discute di possibili aiuti, gruppi assassini dell’IS stanno avanzando e stanno distruggendo le vite di molte altre persone e famiglie. Mentre rimanete in silenzio vengono scritti altri capitoli della tragedia in cui le vittime sono i popoli del Vicino e del Medio Oriente.

Per noi da tempo è davvero troppo che a New York, Ginevra, Bruxelles, Londra, Berlino, Parigi e Istanbul, le discussioni non risultino in altro che in uno spettacolo di apparente simpatia per la sofferenza della gente. Se siete davvero preoccupati per la sofferenza delle persone, allora vi sollecitiamo ad agire. Insieme aiutiamo la gente costretta alla fuga ed espulsa. Limitare gli aiuti solo all’Iraq, chiudere i confini del Rojava, sarebbe fatale. Questi confini artificiali nella regione hanno perso da tempo qualsiasi significato.

E ho riferito del Rojava, nonostante tutti gli attacchi lì l’aspirazione ad una Siria democratica è molto viva mentre con le sue risorse molto limitate cerca di dare protezione e rifugio a decine di migliaia di persone che hanno bisogno di protezione e rifugio. Il parlamentare tedesco Jan van Aken, che ha visitato la regione all’inizio del 2014, ha detto che il Rojava costituisce un barlume di speranza nel Medio Oriente. Condividiamo l’opinione del signor van Aken e siamo pienamente convinti che è tempo che la comunità internazionale riconosca l’autonomia del Rojava democratico.

Per conto della popolazione che vive nei cantoni del Rojava
il co-presidente del PYD
Mohamed Saleh Muslim
Qamişlo, 01.09.2014