Ankara impone il coprifuoco su 176 villaggi curdi
Ieri il governo turco ha imposto il coprifuoco su 176 villaggi del Bakur, il Kurdistan turco. «Il coprifuoco è in vigore dalle 8 di mercoledì fino a nuove ordine», il comunicato scarno del governatore di Diyarbakir. I distretti interessati sono Silvan, Lice, Hazro e Kulp. Qui, secondo Ankara, il Pkk è attivo: i coprifuoco serviranno a «neutralizzare» membri e collaboratori «dell’organizzazione terrorista separatista».
Subito è montata la paura tra i residenti che temono che il coprifuoco non sia altro che il preludio a rinnovate operazioni militari su larga scala. Come quelle lanciate nel luglio 2015 e proseguite per oltre un anno, con un bilancio devastante: mezzo milione di sfollati, 2mila morti secondo l’Onu, interi quartieri distrutti e oggi oggetto di una ricostruzione di Stato che è gentrificazione in chiave nazionalista, comuni amministrati dal partito di sinistra Hdp commissariati e migliaia di amministratori locali e di sostenitori arrestati.
Il timore è rafforzato dall’offensiva turca in corso oltre il confine, a Rojava, contro il cantone curdo di Afrin. Lì, da due giorni l’esercito turco avrebbe dispiegato centinaia di uomini specializzati in guerriglia urbana per occupare Janadaris.
E se nel Bakur Ankara avanza con l’esercito, a Istanbul lo fa con la magistratura: martedì è stata arrestata Serpil Kemalbay, co-leader dell’Hdp al fianco di Demirtas dal marzo 2017 fino al congresso della settimana scorsa. Accusata di «affiliazione a organizzazione terroristica», ha iniziato ieri in prigione lo sciopero della fame.
Nel mirino della giustizia post-epurazioni di Erdogan, è finita anche la co-presidente fresca di nomina, Pervin Buldan (eletta con Sezai Temelli). Insieme al collega di partito, Sirri Surreya Onder, è accusata di aver criticato l’operazione contro Afrin, «reato» per cui dal 20 gennaio sono state già arrestate 666 persone, con l’accusa di «propaganda terroristica».
Cosa ha detto al congresso? «Rinunciate alle politiche di guerra che portano a dolore e distruzione. La soluzione non è combattere, ma è la pace». Per queste frasi la procura di Istanbul ha aperto l’inchiesta.
di Chiara Cruciati, Il Manifesto