Abbiamo fatto rivoluzioni nella rivoluzione

Hesen Mihemed Elî del comitato di presidenza del Consiglio Democratico della Siria e responsabile per il lavoro nelle regioni di Raqqa e Deir ez-Zor, riferisce della contemporanea lotta difensiva contro la Turchia e IS e costruzione di un nuovo sistema.

Hesen Mihemed Elî del comitato di presidenza del Consiglio Democratico della Siria (MSD) è responsabile per l’organizzazione dei consigli civili. Riferisce che la popolazione araba, come anche le altre popolazioni della regione si amministrano da sé e hanno adottato il sistema. Per questo non solo curd*, ma tutte le popolazioni della regione si opporranno a un attacco turco. Hesen Mihemed Elî è responsabile in particolare per la costruzione dei consigli civili a Raqqa e Deir ez-Zor e il coinvolgimento delle tribù e della popolazione araba. Sui lavori nella regione, la posizione della popolazione araba e le conseguenze della decisione degli USA, le attività della Turchia e del regime nella regione e l’atteggiamento rispetto alle minacce di invasione della Turchia, ha rilasciato un’intervista al quotidiano curdo Yeni Özgür Politika.

Lei ha lavorato con il consiglio civile di Raqqa e Deir ez-Zor. Per iniziare ci può raccontare qualcosa sull’organizzazione sociale del consiglio civile? Com’è la partecipazione dei diversi strati della società araba?

Noi come MSD ci occupiamo di tutti i consigli in tutto il Rojava, Siria del nord e dell’est. Questi nuovi consigli a Tabqa, Raqqa e Deir ez-Zor per la popolazione locale rappresentano un capitolo nuovo. In particolare la popolazione araba locale da decenni non poteva più fare niente secondo la propria volontà. Erano sotto il dominio del regime Baath e si aspettavano anche tutto dal regime. Ora per la prima volta la popolazione si amministra da sé, regolamenta le sue questioni e si sente responsabile in prima persona. Si amministra da sé nel consiglio civile di Raqqa, in tutti i quartieri e villaggi sono stati costruiti consigli e comuni. Nell’organizzazione di assir*, arab*, circass*, ci sono bisogni e problemi differenti. Questo comporta anche uno sviluppo ulteriore per quanto riguarda le nostre capacità.

Il 21° secolo rappresenta l’inizio di un’epoca nuova. Il nostro movimento è l’avanguardia di questa epoca. Per quanto i media possano influenzare la popolazione, il movimento di liberazione rappresenta l’avanguardia dei popoli del Medio Oriente. Noi abbiamo inflitto una sconfitta a IS. La maggioranza delle Forze Siriane Democratiche (FSD) è composta da arab*. Coloro che in precedenza erano sotto il dominio di IS, ora lo combattono. Questo è nuovo. A Raqqa sono caduti soprattutto nostri fratelli e sorelle arab*. Dopo la liberazione dicono: “Noi combatteremo e non accetteremo questa situazione.”

Alla ricostruzione di Raqqa partecipano sia la coalizione internazionale sia l’Arabia Saudita. Oltre al sostegno finanziario, quali sono i lavori, cosa significa l’attuale decisione degli USA per la ricostruzione?
La ricostruzione viene effettuata dalla popolazione. La popolazione araba si organizza da sé e ricostruisce tutto. Non c’è una relazione con la NATO, le forze della coalizione o gli USA. Ci sostengono nella lotta contro IS. La costruzione delle strutture nella popolazione, l’organizzazione e la ricostruzione sono compiti nostri. A questo scopo abbiamo rafforzato i consigli. Facciamo proposte su questa nuova struttura e sulla ricostruzione. Ma la nuova costruzione dipende anche da qualcos’altro. Ogni volta che vengono aperte strade da nuovi territori o questi vengono liberati, arriva gente nuova nella regione. Per questo alcune istituzioni cambiano e si adattano alle nuove condizioni, perché si tratta di dare nuovi compiti alle persone appena arrivate. Secondo il nostro paradigma la popolazione si amministra da sé.

Noi approfittiamo degli aiuti degli Stati. In nella coalizione ci sono oltre 70 Stati. Anche la Russia, l’Iran, la Turchia e i loro agenti fanno parte degli Stati che agiscono qui. Fanno politica e noi seguiamo con attenzione gli equilibri. Noi non abbiamo mai rappresentato la posizione che noi non ci siamo più quando gli USA si ritirano. Quando abbiamo iniziato qui non c’erano gli USA. Noi abbiamo fatto tutto con la volontà della popolazione del Rojava, la nostra volontà, la nostra lotta e le nostre possibilità. Questo sarà così anche in futuro. Questo non significa che noi non approfitteremo dell’aiuto degli Stati. Questa qui è una guerra. Noi ci troviamo in una grande gara contro i nostri nemici. Loro cercano di annientarci e noi cerchiamo di affermarci. Si tratta di una resa dei conti storica. Coloro che si organizzano bene e costruiscono il loro sistema di conseguenza, che metto in pratica la volontà delle persone e valutano correttamente le condizioni politiche, avranno successo. Noi finora siamo stati efficaci e continueremo ad esserlo anche in futuro. Per via delle guerre potranno esserci determinate compromissioni, ma si va avanti. Noi andiamo sempre più avanti. Guardi che caos è scoppiato negli USA per via della decisione di Trump. Ci sono stati scontri interni e perfino dimissioni. Anche questo mostra la nostra posizione. La nostra condizione ha raggiunto una posizione così significativa che una decisione su di noi incide sugli equilibri nel mondo. Il livello che abbiamo sviluppato può avere effetti anche sui grandi Stati. Per questo curd* e popoli che lottano insieme a loro dovrebbero intendere questa fase come una fase in loro favore. Sono davvero determinati ad avere successo. Ma basta questo? No, non basta. Il nostro obiettivo è grande. Sono necessarie più lotta, organizzazione e misure rispetto alla situazione mondiale che cambia. Da questo punto di vista dobbiamo fidarci di noi e della nostra forza.

Cosa è stato fatto finora nelle città per la ricostruzione, l’insediamento, la produzione, la sussistenza e il commercio?
Se in una regione c’è la guerra, allora lì tutto crolla e deve essere ricostruito. I passi che abbiamo compiuto e quello che nonostante le condizioni difficili abbiamo realizzato, diventano particolarmente evidenti se confrontiamo la situazione con quella delle zone sotto il controllo del regime o con quella di altri luoghi. Raqqa è stata rasa al suolo. La situazione oggi a Raqqa è migliore di quella a Homs, Deir ez-Zor, Dara o Aleppo. Queste regioni sono sotto il controllo del regime. La popolazione migra da noi dalle zone controllate dal regime. Qui c’è stabilità, giustizia, sviluppo e speranza.

La popolazione nella nostra regione vive di agricoltura. Noi miglioriamo i canali di irrigazione. Abbiamo garantito alla popolazione la fornitura di energia elettrica. Anche se le condizioni nel corso dell’anno non sono state buone, il nostro consiglio civile è riuscito a portare avanti sviluppi enormi. Sono state riparate dozzine di ponti. Se ora si arriva a Raqqa, come una volta, a stento si riesce a camminare per via della quantità di gente. Attualmente a Raqqa vivono 200.000 persone. È iniziato il commercio. Nella nostra regione si vende il pane più economico di tutta la Siria. Un litro di gasolio al momento costa 55 SL (0,0938 Euro). Da nessuna parte al mondo c’è gasolio così a buon mercato. Nella regione abbiamo messo in moto tutto. A Raqqa, Tabqa e Deir ez-Zor vanno a scuola 300.000 student*. Sono state aperte 800 scuole, ci lavorano 11.000 insegnant*. Non sono conquiste semplici.

Come si autogoverna un Paese? Ci sono centinaia di migliaia di persone che lavorano. Queste persone vengono anche retribuite. Questo significa per esempio che se 300.000 persone lavorano e vengono sostenute, alla sono anche 300.000 che hanno una sussistenza. Questo è uno sviluppo buono. Naturalmente non basta. Dobbiamo fare in modo che ci sia più sviluppo. Sviluppi del genere li abbiamo raggiunti nel mezzo della guerra. Sviluppi in guerra sono diversi da quelli dopo la creazione di stabilità. Da un lato abbiamo combattuto contro IS, ci sono le minacce della Turchia, e dall’altro viene sviluppato un sistema nuovo. Così vengono fatte molte cose contemporaneamente. Riparazioni, agricoltura, la ricostruzione di istituzioni, la costruzione di villaggi e quartieri non sono lavori facili. In effetti nella rivoluzione in tutto il Rojava e in Siria del nord abbiamo fatte altre grandi rivoluzioni.

In questi territori c’è contrarietà all’attuale amministrazione, opposizione, che non è collegata agli jihadisti?

Certo che ce n’è. Non non siamo perché ci sia un solo colore. Il luogo in cui c’è varietà è un luogo sano. Da parte di alcune persone ci sono contraddizioni e critiche. La popolazione critica i nostri presidenti dei consigli e la direzione. Alcuni arrivano e dicono, questo o quest’altro contraddice il vostro progetto. La popolazione si fida di questo sistema e può presentare le sue critiche. Il sistema in questo modo si sviluppa. Non ci si può sviluppare senza critiche. Ma coloro che ci vivono, sia quelli che criticano sia coloro che non lo fanno, dicono: „È un tempo nuovo, dobbiamo assumerci responsabilità per queste conquiste“. Alcuni altri però agiscono anche come braccio degli Stati. Intendono sabotare il lavoro qui. La Turchia fa lavorare alcuni suoi agenti nelle tribù e diffondere anti-propaganda. Si tratta di lottare. Se facciamo bene il nostro lavoro e mostriamo che non siamo deboli, nessuno può usarlo contro di noi.

Noi sappiamo che lo Stato turco costruisce una pressione seria tra Girê Spî e Raqqa. Alcune tribù vengono costrette alla collaborazione, ci sono attività di contrasto e continuamente anche attentati sotto falsa bandiera. Qual’è l’atteggiamento della popolazione locale in proposito?
Il regime, Mosca e l’Iran hanno annunciato: “Arriviamo noi e ripristiniamo il sistema vecchio.” Hanno iniziato a sperimentare altri metodi. La Turchia da nord fa attentati contro le FSD e cerca di intimidire e minacciare la popolazione. Inoltre cerca di creare problemi tra le tribù a Girê Spî e di metterle una contro l’altra. Si cerca di creare contraddizioni. Ora anche il regime da sud cerca di diffondere anti-propaganda come “i curdi sono arrivati per dominarvi”. Inoltre vengono fatti attentati contro gli sceicchi delle tribù e si cerca in questo modo di allontanarle da noi. Si minaccia dicendo che un avvicinamento ai curdi significa la morte. La popolazione lo ha capito, ma gli Stati cercano di creare una loro immagine. Ma finora non hanno avuto successo nel farlo. Di recente a Raqqa è stato assassinato uno sceicco. Si cerca di fomentare conflitti a Girê Spî, ma anche questo non riesce. In questa pratica lo Stato turco svolge un ruolo importante. Dato che questi metodi non hanno avuto successo, ora vuole attaccare in modo diretto. La popolazione per la prima volta può tirare un respiro di sollievo in una concezione democratica e si identifica sempre di più con il movimento.

Fino a che punto è sviluppata nella popolazione l’autodifesa contro un possibile attacco complessivo della Turchia?

Per quanto riguarda la capacità militare, ci sono dichiarazioni delle FSD sui loro preparativi. La guerra stessa già comporta distruzione. Se si arriverà a un attacco, le FSD e la popolazione faranno resistenza, faranno scoppiare l’inferno. Le FSD si preparano a questo e anche la popolazione si organizza. Se seguite in modo attento, potete osservare che la popolazione ormai reagisce anche alla minima minaccia. Anche arab* nei villaggi più fuori mano dicono: “Noi non lo accettiamo.” Se la Turchia attacca, ha contro tutti i popoli e perderà.