Prigionieri bruciati vivi nell’ “Operazione Ritorno alla vita”
L’ operazione “Ritorno alla vita” fu condotta 14 anni fa in diverse prigioni allo scopo di risolvere il così detto “problema delle prigioni” in Turchia e provocò la rapida morte di prigionieri che avevano protestato contro il loro trasferimento nelle prigioni di tipo F con celle più piccole.
L’operazione iniziò presto la mattina del 19 Dicembre 2000 in 20 prigioni simultaneamente e coinvolse migliaia di reclusi e dieci mila facenti parte del personale di sicurezza. 28 persone morirono nell’operazione e tra di loro due soldati. 237 detenuti e carcerati furono gravemente feriti.
Un soldato che era in servizio presso la prigione Bayrampaşa durante l’operazione “Ritorno alla vita” ha confessato 11 anni dopo: “I detenuti volevano uscire fuori dalle celle che erano in fiamme e arrendersi ma le porte non erano aperte e i vigili del fuoco non intervennero”.
Il sergente di Polizia Sabsız che ha dato la sua deposizione di fronte alla Prima Alta Corte dei Crimini di Van il 5 Luglio 2011 ha affermato: “Bombe a gas incluso diverse sostanze sconosciute furono usate; non si lasciava uscire e la gente che si trovava nel fuoco delle celle e che voleva arrendersi; nessuno è intervenuto per sedare le fiamme; coperte imbevute di combustibile liquido sono state tirate sopra i prigionieri ustionati”.
Soltanto nella prigione di Bayrampaşa dodici detenuti e carcerati morirono e 55 persone riportarono ferite. Cinque donne morirono bruciate. In una dichiarazione ufficiale rilasciata a seguito dell’operazione fu comunicato che furono i prigionieri stessi ad appicare il fuoco. Tuttavia, la deposizione di Sabsız smentì la dichiarazione uffciale e rivelò che i progionieri furono lasciati morire. Inoltre, la sua deposizione confutò la denuncia contenuta nelle dichiarazioni ufficiali secondo cui “i prigionieri fecero resistenza con la forza delle armi”.
Sabsız espresse i seguenti punti nella sua deposizione:
* I membri inviati dal Commando Speciale di Sicurezza della Polizia di Ankara (JKÖAK) e altro personale di cui non conosco la provenienza fecero irruzione e spararono. I detenuti e i carcerati reagirono chiudendosi nelle proprie celle.
*Furono perforate le mura della prigione e i soffitti per gettare bombe a gas. Non so cosa contenessero le bombe; non facevano parte del nostro armamento. Nnostante io fossi coinvolto nell’organizzazione, per lungo tempo furono usati fucili automatici che non avevo mai visto prima.
*Quando stavo aspettando nel corridoio, dei detenuti dentro una cella di donne bussarono forte alla porta. Volevano uscire. Ci chiesero di aprire le porte affinchè potessero uscire. Non intervenimmo perchè non ci fu dato l’ordine. Dopo un pò, la cella era in fiamme. Nemmeno la squadra dei vigili del fuoco sul luogo intervenne.
*Quando entrammo nella cella, vedemmo che le donne erano carbonizzate. Mi sembrava strano che fossero bruciate fino a quel grado perchè gli unici oggetti nella cella erano un letto e una coperta e i corpi bruciati giacevano a distanza dal letto.
*Qualcuno dei miei colleghi che ricoprivano incarichi al JKÖAK e che incontrai anni dopo mi disse che avevano detto ai prigionieri “Vi salveremo. Vi stiamo per lanciare addosso coperte bagnate. Proteggetevi e avvolgetevi nelle coperte”. Nei fatti queste coperte erano state imbevute di combustibile liquido e dissero che avevano funzionato come acceleratori del fuoco.
Birsen Kars era incarcerata nel reparto delle donne al tempo dell’operazione. Quando fu portata in ospedale in seguito gridò: “Ci hanno bruciati vivi!”. Disse nella dichiarazione data successivamente: “Mentre aprivano il fuoco su di loro, contemporanemente tiravano in continuazione bombe a gas attraverso il soffitto perforato. Inoltre, usarono un gas di colore nero che era un gas nervino. Capelli e pelle dei reclusi vennero via e in seguito il fuoco divampò”.
Fu messo agli atti del processo che “un’arma chimica” fu usata contro le persone allo scopo di ucciderle bruciandole. La tesi fu provata dall’affermazione secondo cui “i vestiti dei prigionieri rimasero intatti mentre la loro pelle si staccò per effetto della combustione”.
Bülent Ecevit, Primo Ministro all’epoca dei fatti, dichiarò alla fine dell’operazione: “Questi terroristi devono finalmente capire che non possono farcela contro il governo”.