Dobbiamo ballare tutte insieme in piazza
di Global Project – E’ così che ha chiuso l’intervento Salma Irmak, copresidente della società democratica curda, rivolgendosi a tutte le donne del mondo. Ed è anche così che si è caratterizzato il corteo: caotico, gioioso, festoso, ma allo stesso tempo determinato e resistente. Questo è l’elemento che ci è rimasto più impresso di questo 25 novembre al confine con la Siria. Non era scontato, infatti dall’inizio del 2014 in Turchia sono state uccise purtroppo già 250 donne. Non era scontato, perché molte mamme oggi in corteo hanno i loro figli e figlie in prima linea nei combattimenti a Kobane. Alcune ci hanno mostrato le cicatrici, segni delle percosse subite dalla polizia turca in questi anni di resistenza kurda.
Eppure non abbiamo facce sofferenti, ma orgogliose e degne.
La giornata è iniziata a Mehser alle 10 di mattina con l’abituale catena umana di fronte alle case. Solo che quest’oggi era lunga centinaia di metri. Ci siamo spostati in corteo fino al villaggio vicino di Dewesshen. Qui abbiamo aspettato l’arrivo delle persone da varie città del Kurdistan e della Turchia con mezzi di tutti i tipi: pullman, furgoni, moto, pick-up. Il ritrovo della manifestazione si è riempito principalmente di donne, uomini, ragazze e bambini. Erano presenti poi anche collettivi di femministe turche, alcune anche da Istanbul.
La manifestazione è partita in ritardo a causa di alcuni posti di blocco dell’esercito turco, che fermavano i pullman in arrivo da Sanliurfa e Diyabakir. Ma con l’apparizione del pullman scoperto con gli autoparlanti, seguito da una lunga colonna di pulmini, il corteo ha avuto inizio. Più di 5000 persone si sono messe in marcia, non c’era una testa ben definita, c’era chi sfilava nella stradina di asfalto, chi nei campi adiacenti, chi in moto.
Il percorso non è stato molto lungo. Si è ritornati a Mehser e la piazza di fronte alla piccola moschea si è presto riempita. Canti popolari e di lotta si sono intervallati da numerosi interventi al microfono di donne che sottolineavano l’importanza dell’esperienza del Rojava. L’alto volume degli autoparlanti era un modo per fare arrivare le voci della piazza fino all’altra parte del confine ai e alle combattenti/e di Ypg e Ypj, arrivat* oggi al 72esimo giorno di resistenza.
Enea, Jacopo, Marko, Teo, Centri Sociali del Nordest