Nascita e sviluppo della confederazione democratica del Rojava
La democrazia del popolo che si è sviluppata e che, giorno dopo giorno, consolidatasi in Rojava (Nord Siria) si basa sul sistema ideologico del «Confederalismo Democratico » annunciato da Abdullah Öcalan nel 2005. Il paradigma del confederalismo democratico consiste nella «libertà democratica, ecologica e di genere». Con il termine «democrazia» non ci si riferisce al sistema parlamentare: quest’ultima ritiene necessaria la partecipazione popolare solo ogni 4-5 anni e, inoltre, lascia la popolazione alienata, alla mercè delle frange lobbistiche dei deputati eletti.
Questa «democrazia elementare» si basa sugli interessi del governo centrale e delle grandi aziende e non è mai venuta incontro alle reali esigenze della società, in nessuna parte del mondo.
Diversamente, una vera democrazia, definibile «democrazia del popolo», richiede approcci diversi, molto zelo e tempi lunghi. Uno sforzo in questa direzione è proprio quello che centinaia di migliaia di persone stanno facendo da tre anni in Rojava. Naturalmente ciò non è nato dal nulla, ma è il risultato di una lunga serie di precedenti e di un movimento politico pluriennale. Negli anni ’90 la popolazione di svariate città iniziò a formare assemblee e comitati di autogoverno, limitata però dalla necessità di agire clandestinamente. Questo sistema conobbe grande diffusione tra il 2000 e il 2004 come effetto dell’incremento della repressione del governo, quindi, nel 2011, l’istituzione di qualsiasi attività fu resa più agevole.
Il secondo terreno di esperienza è rappresentato dall’avvio di assemblee popolari in Kurdistan settentrionale nel 2007, la cui organizzazione ombrello era il DTK («Demokratik Toplum Kongresi», Congresso della Società Democratica). Nella primavera del 2011 ad Afrin, Aleppo, Kobani, Cizire e Damasco, ossia in tutti i luoghi abitati da un numero elevato di curdi, ci fu un breve periodo di fermento, ma la realizzazione concreta del confederalismo democratico si ebbe solo con il tempo e con l’acquisizione di una maggiore esperienza. Tale processo è tuttora in corso. Inizialmente venivano convocate riunioni a partire da realtà come i quartieri o i villaggi in cui si dibatteva con il popolo sulla formazione del movimento.
In breve tempo furono create assemblee a livello rionale e nei villaggi, i quali spesso si coalizzavano
per formare assemblee uniche di grado più elevato, analogo a quello delle assemblee dei quartieri delle città. Il passo successivo, corrispondente al secondo gradino del modello piramidale, consiste nell’istituzione delle assemblee a livello regionale. L’«assemblea regionale» comprende una città e uno svariato numero di villaggi del suo hinterland. Ad esempio, l’assemblea popolare di Serêkaniye rappresenta sia le assemblee dei quartieri delle città che le assemblee dei villaggi situati nelle aree rurali, spesso densamente popolate. L’organismo più piccolo era rappresentato dall’assemblea del villaggio delle aree rurali: a causa del fatto che, in proporzione, le assemblee rionali delle città erano troppo grandi dal punto di vista della popolazione, si generò un dibattito che portò alla nascita delle «assemblee della strada». In un secondo momento sorse un’organizzazione collocabile su un gradino ancora più basso, che consentiva alle persone di relazionarsi più agevolmente e di non sentirsi escluse.
Quest’organismo, che si formò nelle città, venne denominato «comune» (komun in curdo). Se pensate che questo termine sia un prestito dalle lingue europee, vi sbagliate: in curdo la parola «kom» significa «società». In una comune, a seconda dei casi, vi è un numero di abitazioni variabile da 30 a 500, ma generalmente non si superavano le 150 unità, e comprende un numero esiguo di strade. Ogni «comune » cerca di organizzare la vita politica, economica, sociale e culturale della propria strada (o strade) o del proprio villaggio e di discutere e risolvere eventuali problemi. Inoltre, invia i propri amministratori eletti (tra i 5 e i 7 individui) all’assemblea rionale in qualità di delegati.
Tutti, ad eccezione degli amministratori eletti, possono partecipare alle riunioni convocate settimanalmente o bisettimanalmente dalle comuni. Periodicamente tutti vengono convocati alle assemblee
della comune. Anche l’assemblea rionale invia i delegati scelti all’interno del suo organico all’assemblea regionale.
Tutte queste regioni del Rojava e i curdi di Aleppo si riuniscono insieme ai delegati da loro eletti nell’Assemblea del Popolo del Kurdistan Occidentale (MGRK). L’MGRK è stato annunciato nell’estate del 2011. Nel 2013, con le aggressioni da parte di gruppi armati contro le tre regioni del Rojava e la conseguente interruzione dei collegamenti, queste tre regioni (e Aleppo) hanno fondato una propria organizzazione dove comunque di solito agiscono in maniera piuttosto autonoma. L’MGRK, nel suo grado più elevato, è rappresentato da due co-presidenti (Abdulselam Ahmed e Sînem Muhammed) e si avvale di un’amministrazione di 33 membri incaricata di coordinare le attività ai livelli più alti. Il sistema della co-presidenza intende garantire una rappresentanza paritaria per genere.
È importante sottolineare che il sistema descritto non vale solo per i curdi: tutti gli abitanti dei tre cantoni sono rappresentati, perchè si tratta di un sistema che non si basa sull’appartenenza etnica, bensì sulla rappresentanza dal basso, e chiunque vive nel territorio ne fa parte ed è coinvolto. È una soluzione che potrebbe essere potenzialmente risolutiva di molti dei conflitti etnico-religiosi che attualmente caratterizzano in negativo il Medio oriente così come altre parti del globo.
Gli Stati Uniti ed altri stati occidentali stanno dando armi al governo di Baghdad ed al Governo regionale kurdo. Negli Usa c’è già chi parla di una nuova coalizione di volenterosi per intervenire anche in Siria.
Come valutate l’intervento delle potenze occidentali nell’attuale crisi?
Piuttosto che aumentare le armi in circolazione nella regione, o decidere interventi armati esterni che finiscono per rafforzare alcune parti a scapito di altre, si dovrebbe ricercare una soluzione politica stabile che finalmente consenta ai popoli del Medio Oriente di vivere in pace insieme, nella diversità. Certo, fino a quando perdurerà l’ attuale situazione è evidente la sproporzione di forze sul campo: le forze congiunte curde combattono con kalashnikov e altre armi leggere, mentre IS ha armi pesanti, grazie all’appoggio che gli hanno fornito Arabia Saudita, Qatar, Turchia e altri paesi. Quindi se si mandano armi allora bisognerebbe distribuirle a tutte le forze che stanno combattendo e fronteggiando IS. Il ruolo delle potenze occidentali sembra essere la ripetizione degli interventi neocoloniali: fino a quando si continuerà a destabilizzare la regione per i propri interessi, i popoli del Medio Oriente ne subiranno le conseguenze. Andrebbero piuttosto sostenuti anche con un riconoscimento ufficiale gli esperimenti di autogoverno democratico come in Rojava, che come si diceva prima potrebbero rappresentare una soluzione durevole per la convivenza democratica nell’intera regione.
di Ozlem Tanrikulu