La vita di due donne arabe cambiata grazie allo YPJ
NERGİZ BOTAN – Due mesi fa la vita di Rewan è cambiata radicalmente. Come lei stessa ha dichiarato, prima era lontana dal mondo e dalla società, viveva in una società chiusa. Adesso afferma: ”Dentro di me c’è sempre stato un sogno di libertà che ora si è realizzato”. Analogamente, anche la sua conterranea Zelal per un momento aveva creduto che la sua nuova vita fosse un sogno.
Rewan è una donna araba di 25 anni. Suo padre, bigamo, dopo il suo secondo matrimonio ha fatto perdere le proprie tracce. È stata sua madre, invece, a prendersi cura di lei. Rewan afferma che nella società araba la donna è totalmente insignificante: è messa da parte e non ha alcun valore all’interno della società. “Ci hanno allontanate dalla vita, in casa vivevamo quasi come prigioniere”, dice.
“Gli uomini ci hanno ridotte in schiavitù. Non ci hanno permesso di acquisire alcun diritto. La loro mentalità li spinge a comportarsi in questo modo. Nella società in cui vivo si intromettevano anche in materia di abbigliamento. Perfino nelle quattro mura domestiche eravamo costrette a vivere secondo le regole della famiglia”.
Sono passati appena due mesi da quando Rewan si è arruolata nella divisione femminile del Kurdistan Occidentale, lo YPG, diventando anch’ella una delle donne che, entrando nello YPG, incrementano sempre più il numero dei suoi membri. Come molte donne di questa regione, anche la sua vita è un dramma. Residente a Tel Koçer, città del Kurdistan Occidentale al confine con Mosul, Rewan ha sempre voluto realizzare il suo sogno.
L’INIZIO DI UNA NUOVA VITA
Rewan dichiara di aver scoperto il significato della vita solo dopo aver conosciuto lo YPJ e che vi è una differenza enorme tra la sua vita presente e quella passata. “Prima ero lontana dal mondo e dalla società. La società in cui vivevo era chiusa, una società in cui non si da valore alla donna e non le si consente nemmeno di uscire di casa. Dentro di me c’è sempre stato un sogno di libertà che ora si è realizzato”.
Per lei lo YPJ rappresenta l’inizio di una nuova vita. Tuttavia, questa nuova vita non è piaciuta ai suoi parenti. Rewan racconta di aver ricevuto reazioni del tipo: “Com’è che indossano questi abiti?”. Afferma, inoltre: “Secondo i nostri familiari, noi dovremmo vivere in una condizione in cui non possiamo uscire di casa, dobbiamo solo lavare le stoviglie, fare il bucato e partorire e non abbiamo alcuna libertà di parola. Secondo loro non abbiamo né la forza né l’intelligenza necessaria per svolgere altri lavori”.
Rewan precisa: “Nel Movimento per la Libertà non vi è alcuna differenza tra uomo e donna. Le donne hanno perfino il comando di ogni attività, contrariamente a quanto avviene nella nostra società, in cui l’uomo è sempre in una posizione di superiorità rispetto alla donna, per quanto questa possa essere forte.”
Rewan confessa di essere rimasta colpita, in particolare, dal pensiero del leader del popolo curdo, Abdullah Öcalan. “La leadership è un richiamo per tutte le donne, non solo per le donne curde”, afferma. Rewan pensa che sia necessario anche le altre donne arabe prendano posto nelle fila dello YPJ, “perché qui c’è umanità, c’è fratellanza”, afferma. “Tutte, come me, dovrebbero conoscere se stesse e la propria vera indole e abbandonare la vita della schiavitù. Tutte le ragazze arabe dovrebbero abbattere l’autorità maschile e venire qui”.
Così come Rewan, anche Zelal Serhat è di Til Koçer e due mesi fa è entrata nello YPJ. Zelal conosceva lo YPJ già da prima, tuttavia, non trovando il modo per farlo, ha dovuto posticipare il suo arruolamento. Alla fine, lei e il suo fratello maggiore hanno deciso di prendere parte alle organizzazioni di difesa del Kurdistan Occidentale.
Dopo l’arruolamento, per un periodo Zelal ha creduto che la sua nuova vita fosse un sogno. Perché la sua vita è cambiata, esattamente come quella di Rewan. Zelal confessa di essersi liberata delle paure del passato. “Quando in casa mi ammalavo, se fossi morta non sarebbe importato a nessuno. Come se questa fosse una situazione normalissima! Mai nessuno mi chiedeva come stavo. Se dicevo qualcosa, nessuno mi ascoltava o mi prestava attenzione. Dopo l’arruolamento, se qualcuno veniva da me e mi parlava mi meravigliavo; un giorno mi sono anche ammalata e grazie alle cure delle amiche ho imparato a non trascurare la mia malattia”.
Zelal afferma che le uniformi del YPJ che loro indossano sono viste come un motivo di vergogna all’interno della società araba, tanto che alcuni parenti le avrebbero detto: “Non avete una famiglia voi? Com’è che indossate questi abiti?”. Zelal dice che adesso nessuno interviene contro di loro e contro la loro libertà e che quegli abiti che hanno indosso sono motivo di profonda autostima.
Zelal racconta di come sia rimasta colpita dalle idee di Öcalan circa la libertà femminile e pensa che tutte le donne, non solo quelle curde, debbano conoscere se stesse, rendersi conto della ragione per cui sono al mondo, conoscere la leadership e acculturarsi.
ADESSO SONO UNA FIGLIA DEL YPJ
Zelal, esprimendo il desiderio che tutte le donne arabe rompano le loro catene ed entrino nello YPJ, riassume così le trasformazioni che ha vissuto:
“Quando dico qualcosa alle mie amiche di qui, loro mi ascoltano e mi accontentano, mentre quando ero a casa qualunque cosa dicessi mi sembrava di parlare con il muro, nessuno mi accontentava. Ad esempio, se in questo momento la mia mano cominciasse a sanguinare anche leggermente, tutta la truppa si riunirebbe intorno a me. Quando in casa mi ammalavo, se fossi morta non sarebbe importato a nessuno, come a dire “Non sei indispensabile per noi”. Avevano addirittura un approccio nei miei confronti che sembrava dire “Perché sei nata?”. Noi siamo legate al YPJ volontariamente.
Con il consenso di Allah, gli arabi e i curdi sono una sola cosa. Non riuscivo ad avvicinare le amiche arabe con la stessa facilità con cui avvicinavo le amiche curde. Queste ultime mi comprendono meglio. Faccio un appello a gran voce alle donne arabe: uscite da questa situazione, da questa prigione, venite qui e unitevi al YPJ! L’affetto che vedo nelle mie amiche del YPJ non l’ho mai visto nei miei familiari.
Coloro che non intendono arruolarsi sono coloro che non vogliono conoscere la vera vita e il suo reale significato. Solo dopo aver scoperto questo, io ho scoperto il mondo. Dopo essere entrata nel YPJ sono andata in luoghi che non potevo nemmeno immaginare. Quando ero in famiglia, stavo in casa 24 ore al giorno. Se avessi voluto uscire un po’, la mia famiglia mi insultava e mi tratteneva dentro casa. Solo qui ho scoperto che anche la donna possiede dei diritti. Forse mia madre e mio padre mi hanno messa al mondo, ma adesso io sono una figlia del YPJ e lo sarò fino alla morte”.