Report della delegazione Van-Yuksekova
A Diyarbakir, in mattinata ci rechiamo presso “Tuhad-Der”, Associazione di sostegno alle famiglie di curdi martiri o attualmente in carcere, impegnata per il rispetto dei diritti umani dei detenuti. È composta di 3 rappresentanze e 9 succursali distribuite in tutta la Turchia. È stata fondata nel 2003 con questo nome, raggruppando differenti Associazioni già presenti sul territorio dal 1995. Ci aggiornano sul numero dei detenuti curdi in carcere per motivi politici, attualmente sono 6.500; molti sono accusati di appartenere al PKK e KCK, altri sono stati arrestati “semplicemente” perché accusati di essere sostenitori, “fiancheggiatori del terrorismo”. L’anno scorso erano 10.000, il numero varia col variare della situazione politica.
I detenuti hanno diritto a:
-se condannati a pene inferiore all’ergastolo 2 visite al mese, una visita aperta (senza vetro comunicando a voce) e una no e a 1 telefonata alla settimana della durata di 10 minuti ;
-se condannati all’ergastolo una visita e una sola telefonata al mese.
Tuttavia i prigionieri vengono trasferiti in strutture carcerarie lontane anche migliaia di kilometri dalle famiglie, rendendo così estremamente difficili le visite da parte dei famigliari cui avrebbero diritto.
Il Governo esercita una pressione psicologica sul detenuto per indurlo ad abbandonare la lotta e in questo modo punisce non solo il detenuto, ma anche la famiglia.
Dal 2000 lo Stato ha costruito carceri di tipo F (le peggiori) dove le celle sono piccolissime, non esistono spazi comuni e hanno diritto solo ad un’ora d’aria da soli, senza incontrarsi mai fra detenuti; recentemente sono state installate telecamere sia nelle celle che nei corridoi, che sono state messe fuori uso dai detenuti. Da queste strutture di tipo totale i detenuti non si spostano mai, neppure in occasione del processo perché recentemente sono state costruite aule processuali nel carcere stesso.
Fra i detenuti politici ve ne sono 600 malati e fra questi 122 sono casi gravi, ci sono referti dell’ospedale che attestano che la loro patologia non è compatibile con la carcerazione, tuttavia il governo non consente che possano essere adeguatamente curati se non c’è il benestare della polizia ( che difficilmente viene concesso).
L’iter eventuale per giungere ad un soddisfacente approccio medico, anche in caso di patologie molto gravi, è talmente lungo e complicato, da consentire il ricovero in ospedale solo quando non esiste più alcuna possibilità di cura.
Quand’anche il detenuto malato ha la possibilità di essere visitato in un ospedale specializzato, a volte rifiuta di sottoporsi alla visita in quanto non gli vengono tolte le manette, come chiede, appellandosi al fatto di essere un detenuto politico.
Finora nulla è cambiato anche da quando è iniziato il processo di pace.
Per lottare contro queste “angherie” è stata organizzata dall’Associazione “Tuhal-der” una marcia che partirà il 6 aprile da Diyarbakir, per concludersi ad Ankara di fronte al Parlamento.
Nel 2013 sono morti, senza essere stati sottoposti a terapie adeguate, 12 detenuti.
Ci hanno parlato della “tortura del furgone” che consiste nel fare compiere un percorso molto lungo, anche di settimane, per completare il trasferimento dal carcere alla struttura sanitaria. Il lungo viaggio dipende dalle tappe che vengono effettuate per caricare sullo stesso furgone detenuti malati da diverse carceri e indirizzati allo stesso ospedale. Recentemente un detenuto proveniente dal carcere di Van dopo dieci giorni di viaggio è deceduto, senza raggiungere l’ospedale.
Salutiamo i rappresentanti dell’Associazione lasciando il contributo per le famiglie in affido.
Il secondo incontro a Diyarbakir è stato con l’Associazione “Madri per la pace”. Ci accolgono nella loro sede, con affetto. Sono presenti una decina di aderenti all’Associazione che dopo averci offerto il tè di rito, iniziano a raccontarci squarci della loro vita. Ci ha colpito particolarmente la storia di una madre con tre figli detenuti, angosciata in modo particolare per la figlia arrestata e condannata a tredici anni, quando ventitrenne aveva partecipato a una manifestazione in occasione della festa della donna e a un funerale. Quando è stata arrestata era incinta di tre mesi, ha avuto il bambino che ora vive con la nonna, la donna che ci ha dato la testimonianza. Cerca di provvedere economicamente al bambino facendo dei maunufatti in carcere che poi la nonna vende. E’ stata abbandonata dal marito che ha chiesto il divorzio, è malata di cancro al seno, ma non vuole approfondire gli accertamenti per timore di metastasi. Questa “madre della pace”, mostrando la foto della figlia ci chiedeva di intervenire, soprattutto rendendo note queste situazioni, che avvengono all’interno del carcere. La stessa madre aveva altri due figli detenuti.
La più anziana delle presenti, continuava a dirci sconsolata che il figlio era in carcere da 22 anni.
Un’altra signora, recentemente rimasta vedova, ci racconta, parlando in Kurdo, le tragedie che hanno colpito la sua famiglia: anche lei ha due figli in carcere, arrestati in occasione di manifestazione e accusati di sostenere il PKK. Un’altra signora fra le presenti, non aveva congiunti in carcere, ma solidale con l’associazione, si rendeva disponibile a collaborare alle diverse iniziative.
Nonostante le loro tragedie famigliari tutte queste donne lottano – con i loro veli bianchi sul capo – non solo per la libertà dei detenuti, ma per la pace e per la cessazione delle tensioni affinchè non ci siano più morti da nessuna parte.
Commossi salutiamo le “madri della pace” con l’impegno di ritornare e di fare quanto in nostro potere per diffondere il loro messaggio di pace. Lasciamo loro il contributo per le famiglie in affido raccolto fra le famiglie italiane.
Il 24 marzo la delegazione Van-Yuksekova lascia il paese per fare ritorno in Italia.
In italia ci portiamo tante emozioni, un po’ di amarezza per quanto di triste e tragico ancora una volta abbiamo incontrato, con la speranza di poter essere d’aiuto anche semplicemente diffondendo nei nostri ambienti di vita quotidiana queste informazioni e questi aneliti di speranza e di apertura.
Il viaggio oltre a consentirci di vedere luoghi stupendi, di muoverci in una natura che si sussegue dalla mezza luna fertile, alle montagne innevate, a siti archeologici che riconducono alle origini dell’uomo, ci ha ha soprattutto permesso di incontrare volti, sorrisi, emozioni di un’umanità vera.
Delegazione Van-Yuksekova
(Alfonso, Andrea, Emilio, Franco, Giorgio, Lerzan, Lucia, Margherita, Paolo, Pier Paolo, Renato)