Se non fosse per gli jihadisti, il regime sarebbe caduto molto tempo fa
di Karlos Zurutuza/IPS
I combattenti curdi sono emersi come una componente importante nella guerra siriana grazie alle Yekîneyên Parastina Gel (YPG – “Unità di Difesa del Popolo”), un gruppo armato apparentemente ben organizzato che fino ad ora si è dimostrato in grado di difendere il territorio che rivendica nella Siria settentrionale.
IPS ha parlato con Redur Khalil nel quartier generale delle YPG a Qamishli nel nordest della Siria. Un ex combattente del Partito del Lavoratori del Kurdistan (PKK) con dieci anni di esperienza, Khalil – considerato la faccia pubblica della resistenza curda in Siria – è stato ufficiale nelle YPG fin dall’inizio della guerra in Siria.
Circa 40 milioni di curdi costituiscono attualmente la più grande nazione senza uno stato. Con circa tre milioni di persone, in Siria sono la minoranza più grande del paese, tanti quanti gli alauiti, il gruppo etnico-religioso del presidente siriano Bashar al-Assad.
I curdi hanno ancora il controllo delle loro zone nel nord della Siria in un equilibrio precario tra l’Esercito Libero Siriano (ESL) e l’esercito di Assad. Ciononostante la più grande minaccia per la stabilità nelle zone dove sono concentrati, è costituita dai gruppi collegati ad Al Qaeda molti dei quali, secondo quanto viene riferito, vengono sostenuti dalla Turchia.
D: Qual’è la situazione attuale della sicurezza nelle zone sotto controllo curdo?
R: Dal 16 luglio le nostre forze sono state costantemente impegnate in scontri con gruppi collegati ad Al Qaeda come Jabhat al Nusra e in particolare con l’ISIS – Stato Islamico in Siria e nel Levante – in tutto il territorio.
Questi gruppi terroristici non solo hanno ucciso e rapito curdi e deportato civili dai loro villaggi, ma anche rubato i loro averi, depredato le loro case e posti di lavoro. Dopo pesanti scontri in zone come Afrin, 340 km a nord di Damasco, e Serekaniye, 506 km a nord di Damasco, li abbiamo respinti fino a Til Kocer, 840 km a nordest di Damasco al confine tra Siria e Iraq.
D: Molti affermano che la Turchia ha fatto infiltrare gli jihadisti attraverso i propri confini. Cosa ne pensa?
R: Su questo non c’è dubbio. Alcuni giorni fa li abbiamo individuati di nuovo mentre arrivavano dal confine turco e siamo persino stati attaccati dall’artiglieria turca sul loro lato. Due dei nostri combattenti sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco di soldati dall’altra parte. Ma abbiamo anche un’ampia collezione di carte d’identità che appartenevano a combattenti provenienti da Egitto, Tunisia, Bahrein … Molti dall’Iraq e fino ad ora tre dalla Turchia [mostra un mucchio di carte d’identità].
Q: Ma la presenza di Assad nelle vostre zone è quasi marginale. Perché c’è una presenza così numerosa di combattenti stranieri nell’area?
R: Si tratta di una sfortunata coincidenza di due fini: sciovinismo turco, che vuole boicottare ogni passo verso il riconoscimento del popolo curdo in Siria e in qualsiasi altro luogo, e il sogno degli islamisti arabi di uno stato islamico.
Noi curdi ci troviamo in mezzo a questi due piani; siamo un vero ostacolo per loro e per questo di fatto al momento siamo noi quelli contro i quali al momento combattono. Negli ultimi 20 mesi abbiamo subito oltre 20 attacchi suicidi.
Oltre agli stranieri, Assad ha anche rilasciato prigionieri in tutto il paese. Se non fosse per gli jihadisti, il regime sarebbe caduto molto tempo fa.
D: Avete qualche tipo di comunicazione con questi gruppi? E con le forze di Assad?
R: Qualche giorno fa abbiamo rilasciato alcuni prigionieri in cambio dei corpi dei nostri martiri. Questo è tutto. Come YPG non abbiamo alcun tipo di comunicazione con il regime di Assad.
D: Corre voce che combattenti del PKK stiano entrando nella Siria curda per unirsi ai vostri ranghi.
R: Non è vero. Oltretutto non li aspettiamo perché abbiamo già chiaramente dimostrato che possiamo gestire la situazione per contro nostro. Abbiamo un esercito di 45,000 combattenti che hanno già svolto un programma di addestramento di 45 giorni in diversi campi nelle zone curde.
D: Tuttavia il PJAK – la controparte iraniana del PKK nel Kurdistan sotto controllo iraniano – ha detto pubblicamente che vuole venire a combattere con le vostre truppe.
R: Sono pronti a mandare i loro combattenti, ma come ho detto possiamo gestire la situazione senza aiuti dall’esterno. Sia il PKK che il PJAK sono benvenuti se vogliono venire, ma al momento non abbiamo un vero bisogno di loro.
D: Nei vostri ranghi ci sono dei non-curdi?
R: In effetti. Ci sono una serie di arabi, assiri e turcmeni che si sono uniti a noi, così come uomini e donne di ogni provenienza. Il 35% dei nostri combattenti sono donne. Abbiamo vissuto insieme per secoli e loro sono parte integrante del Kurdistan proprio come lo sono i curdi. La missione delle YPG è di proteggere il Kurdistan occidentale e tutte le sue componenti etniche, nazionali e religiose.
D: Ma c’è anche chi dice che le YPG stanno reclutando bambini.
R: La chiamata alle armi sotto l’età legale viene del tutto rifiutata, è inaccettabile e proibito dalle norme e regole della zona.
Sfortunatamente questo non ha impedito che alcuni lo facessero volontariamente sotto la pressione delle circostanze e nella trascuratezza di alcuni. In questi pochi casi non gli è stato consentito di partecipare ad operazioni militari e non sono stati inviati nelle zone “calde”. Quello che voglio sottolineare è che si è trattato solo di azioni individuali, non di un sistema o dell’organizzazione in quanto tale.
D: I partiti dell’opposizione curda vi hanno accusato di uso indiscriminato della forza contro manifestanti nella città di Amude, che a giugno è risultato nella morte di tre attivisti.
R: Abbiamo video, fotografie e documenti che mostrano che quello che è successo ad Amude era parte di una cospirazione. Uomini armati si sono uniti ai manifestanti e non hanno esitato a sparare contro un convoglio delle YPG di ritorno da un combattimento nei dintorni di Hasakah, 550 km a nordest di Damasco. Un componente delle YPG, Sabri Gulo, è stato ucciso in quell’attacco e altri due combattenti sono rimasti feriti.
D: Da dove prendete fondi e rifornimenti?
R: Riceviamo sostengo dall’Alto Consiglio Curdo e dalle tasse che raccogliamo lungo i confini sotto il nostro controllo.
D: Jabhat al-Akradis è un’altra unità armata curda, ma non combatte insieme alle YPG. Che tipo di rapporto avete con loro, se lo avete?
R: Jabhat al-Akrad è stata costituita come un’unità curda che si è unita all’ESL ad Aleppo. Ma hanno persino avuto scontri con loro quando l’opposizione araba ha attaccato le zone curde. Anche loro sono impegnati nella difesa del territorio curdo.
D: Cosa pensate del processo di pace tra Ankara e i curdi della Turchia?
R: Come al solito la parte curda ha fatto passi in avanti, mentre i turchi fino ad ora non hanno mosso un dito. Nonostante gli ostacoli, io credo davvero che la pace alla fine arriverà e che le questioni tra le due parti verranno risolte. Non è solo una parte, ma l’intera società turca che lo chiede. Potrà volerci più tempo del previsto, ma sono convinto che alla fine succederà.
QAMISHLI, Siria , 25 ottobre 25 2013 (IPS)