Pena di morte all’ordine del giorno
Erdogan e fascisti invocano modifica costituzionale in Turchia. Obiettivo è dividere l’opposizione In Turchia si è riacceso il dibattito sulla pena di morte. Dal 1984 la pena di morte in Turchia non è più stata eseguita, nell’ambito del processo di entrata nell’UE nell’anno 2004 è stata abolita. Ma già nella notte del fallito golpe del 16 luglio 2016 il Presidente Recep Tayyip Erdogan davanti a una folla all’aeroporto di Istanbul che chiedeva a gran voce la reintroduzione della pena di morte, aveva espresso il suo assenso. Nei mesi passati inoltre una vistosa frequenza di assassinii di bambini in diverse regioni ha scosso il Paese. Commentatori di media vicini al governo, dopo il ritrovamento di bambine maltrattate hanno chiesto la pena di morte per i responsabili.
Erdogan ha riportato il tema all’ordine del giorno a metà della scorsa settimana. Durante la cerimonia funebre per una giovane madre e il suo bimbo di undici mesi nella provincia di Sivas, il Presidente dello Stato ha proclamato che non avrebbe esitato a firmare una legge per la reintroduzione della pena di morte se il Parlamento avesse votato a favore. Entrambi il giorno precedente erano rimasti uccisi in un’esplosione vicino alla città curda di Yüksekova nei pressi di una caserma nella quale la donna aveva vistato il marito di stanza come soldato.
Immediatamente dopo il fatto i media hanno accusato all’unisono il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) di aver piazzato una carica esplosiva sul bordo della strada. La guerriglia in una dichiarazione sulla pagina Internet non ha escluso che l’auto della 24enne nel mezzo del territorio di guerra sia stata colpita accidentalmente, ma ha assicurato che i civili non sono un obiettivo. Abitanti del villaggio accorsi presso il veicolo distrutto hanno però dichiarato all’agenzia stampa Mezopotamya che l’esplosione sarebbe stata causata dall’esplosione di una bombola di gas surriscaldata.
Lunedì il Presidente del Partito della Grande Unità (BBP), Mustafa Destici, ha annunciato che dopo la fine della pausa estiva in ottobre presenterà un disegno di legge per la reintroduzione della pena di morte in casi di omicidio, alto tradimento e abusi sessuali su bambini. Per un’iniziativa del genere Destici ha bisogno di altri alleati. Perché è entrato in Parlamento come unico deputato del suo partito religioso-fascista attraverso l’alleanza elettorale con il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) di Erdogan. Anche il partito fascista del Movimento Nazionalista (MHP), parte dello schieramento di governo, è considerato sostenitore della pena di morte.
Dato che il Partito Popolare Repubblicano (CHP) kemalista come partito più forte dell’opposizione e il Partito Democratico dei Popoli (HDP) di sinistra rifiutano la pena di morte, una maggioranza di due terzi necessaria per una modifica costituzionale è esclusa. Per far votare la popolazione tramite referendum, bastano 360 deputati della Grande Assemblea Nazionale a Ankara che conta 600 componenti. Ma lo schieramento governativo di AKP, MHP e BBP dispone solo di 340 parlamentari. Dipenderebbe quindi da transfughi della scissione dell’MHP, il Buon Partito (IYI), che fa parte dell’opposizione o dall’ala destra del CHP.
Ma la Turchia è firmataria del secondo Protocollo Facoltativo del 15 dicembre 1989 per il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e del Protocollo della Convenzione Europea sui Diritti Umani. Entrambi vietano la pena di morte. Lo ha ricordato la vice-Presidente dell’AKP, Nayati Yazici, parlando con l’emittente turca NTV. Öztürk Türkdogan, Presidente dell’Associazione per i Diritti Umani in Turchia (IHD), ha messo in guardia da un »suicidio economico«, dato che la reintroduzione della pena di morte significherebbe la fine ufficiale delle speranze di ingresso nell’UE.
L’obiettivo primario di Erdogan non dovrebbe essere effettivamente l’introduzione della pena di morte. Il dibattito mira piuttosto a un’ulteriore polarizzazione del Paese per distrarre dall’acuta crisi economica e valutaria. Da un lato in questo modo può essere mobilitato lo zoccolo duro dei seguaci del governo contro presunti nemici interni, dall’altro viene messo sotto pressione e diviso lo schieramento dell’opposizione.