“Volevano uccidere tutti”: sul conflitto in Siria e la questione curda
Intervista ad Adem Uzun, membro del Consiglio Esecutivo del Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK). Adem racconta ciò che accadde nel conflitto ad Afrin e spiega la teoria del Confederalismo Democratico.
Il popolo curdo è considerato la più grande popolazione al mondo senza Stato, con circa 40 milioni di persone, concentrate prevalentemente nel territorio conosciuto come Kurdistan, che si trova in Medio Oriente, tra Turchia, Iran, Iraq e Siria, e 2 milioni in altri territori, principalmente in Europa. La maggior parte, tuttavia, vive nelle terre turche e iraniane.
Dal gennaio di quest’anno, Afrin, città siriana nella regione di confine con la Turchia e abitata dai curdi, è brutalmente attaccata dalle forze armate della Turchia, sotto il comando del presidente Recep Tayyip Erdoğan, insieme al Free Syrian Army e altri gruppi che portano avanti un’opposizione armata al governo di Bashar al-Assad. Questo attacco, che si trascina da tre mesi, è responsabile per l’uccisione di migliaia di civili e per la fuga di centinaia di migliaia di curdi a dalla città. Atti di solidarietà da parte della società civile sono stati registrati in tutti i continenti, il 24 marzo, mostrando la grande preoccupazione umanitaria per l’invasione della regione.
Sin dalla fondazione della Repubblica turca nel 1923, la Turchia ha attraversato cinque colpi di stato e oggi possiede il secondo più grande esercito tra i membri della NATO, con 402 mila soldati. Sono riportati, a partire dal 1980, numerosi crimini di guerra e contro l’umanità commessi dallo Stato turco che, oltre a ciò, conta più di 40.000 prigionieri politici, tra cui più di 140 giornalisti.
Conversiamo oggi con Adem Uzum, membro del Consiglio esecutivo del KNK (Kongresso Nazionale del Kurdistan), un’entità a “ombrello”, che aggrega vari movimenti e partiti della nazione. Le organizzazioni della resistenza curda attirano l’attenzione internazionale a causa della loro resistenza contro il cosiddetto Stato Islamico (Isis, Daesh) e lo Stato turco, in particolare per il ruolo centrale delle donne e per la loro proposta di un Confederalismo Democratico come soluzione alla questione curda. In questa intervista, Adem parla della complessità degli interessi nella regione di Afrin e del cambio di paradigma del movimento curdo nei primi anni del ventunesimo secolo.
Brasil de Fato: Cosa c’è in gioco oggi ad Afrin?
Tutto è iniziato con un’invasione dello Stato turco il 20 gennaio di quest’anno. Questa invasione era contro le leggi internazionali, le leggi civili, contro il diritto umanitario. E, naturalmente, contro tutte le persone che vivevano lì. Dall’inizio della guerra civile in Siria, Afrin non fu coinvolta e rimase un posto sicuro, ricevendo molti rifugiati da altre regioni. Ad Afrin non ci sono solo i curdi, ma tutte le identità che si sono unite e hanno costruito la propria amministrazione. Ad Afrin non c’era Daesh, né alcuna presenza del governo centrale e il popolo viveva in pace. Le persone di Afrin erano molto contente del loro progetto e della loro vita in comune. È una regione molto ricca, con parecchie risorse, è, per esempio, il centro della produzione di olive nel paese. Inoltre Afrin è in un’enclave curda, sul confine turco, ed è collegata ad altre aree curde in Siria, che sono state liberate da Daesh. Era un luogo di resistenza come altri cantoni curdi nel nord della Siria e questo non è stato ben accolto dalla Turchia.
Afrin non è stata sostenuta dalla Russia, dal governo centrale e dalla coalizione internazionale.
Quante persone vivono nella regione?
Normalmente 300 mila. Ma dopo la guerra, la regione ha ricevuto molti rifugiati e la popolazione ha raggiunto i 500 o 600 mila. Tuttavia la Turchia non era soddisfatta, perché non vuole che i curdi abbiano uno status, non importa dove, Siria, Iraq, Turchia o Brasile. La politica della Turchia si basa sulla negazione degli altri. In Turchia ci sono quasi 25 milioni di curdi, tutti con diritti fondamentali negati. Non esistono ufficialmente. Pertanto i turchi temono che, se i curdi ottengono uno status in un altro paese, allora anche tutti gli altri curdi lo vorranno. È una politica di negazione, di annullamento. I turchi li accusano di essere curdi. Questi attacchi turchi ad Afrin avvengono per questi due motivi: per la politica di negazione e perché Afrin è una regione ricca. Stanno cercando di ottenere altri territori della Siria attraverso le invasioni e questo è illegale. Vogliono accedere ad Aleppo. Il sogno della Turchia è quello di inaugurare un nuovo Impero Ottomano, a partire dalla Siria. Pertanto, hanno iniziato questa invasione con il permesso della Russia, che ha dato il via libera; la coalizione internazionale rimane in silenzio e il governo siriano non ha fatto nulla.
La lotta è proseguita per due mesi e, dopo che le forze turche si sono unite con i jihadisti, con al Qaeda, con alcuni resti dell’ISIS, tutti riuniti sotto l’ombrello della Turchia – con le armi fornite dalla NATO – si sono avvicinati ad Afrin. Quindi la popolazione e le forze curde decisero di lasciare la città, perché la Turchia voleva fare un massacro. Volevano uccidere tutti, non importa se si trattava di civili, donne, bambini o combattenti. C’è stato quindi un ritiro da Afrin e la Turchia e i jihadisti hanno distrutto tutto. La Turchia sta cercando di fare pulizia etnica, cacciando l’enclave curda e ripopolando con i jihadisti e le loro famiglie – il che è un attacco criminale al diritto civile e al diritto internazionale.
D’altra parte, i paesi europei stanno dando soldi alla Turchia per mantenere i rifugiati nel paese e la Turchia sta creando profughi. Dopo l’invasione di Afrin, 200.000 curdi sono diventati rifugiati. Quindi, in sostanza, l’Unione Europea sta dando denaro per creare nuovi rifugiati.
Penso che l’invasione di Afrin sia una contraddizione internazionale, è un’invasione, è un crimine.
Quali sono gli interessi geopolitici nella regione?
Con la primavera araba, la gente ha lottato per i propri diritti. Tuttavia, sfortunatamente, i leader non sono stati in grado di proporre buoni progetti in modo che le persone potessero avere i loro diritti garantiti. Inoltre, le potenze internazionali hanno seguito i loro interessi e abusato di queste rivolte per iniziare una guerra contro alcuni paesi e usare queste persone a proprio vantaggio. Alla fine, le rivolte del cosiddetto “mondo arabo” non hanno cambiato molte cose per le persone che stavano combattendo per i loro diritti e per più democrazia. In tutti questi paesi, un potere è stato sostituito da un altro ugualmente antidemocratico. Durante questo periodo, migliaia di jihadisti, sostenuti dalla Turchia, si unirono a Daesh per continuare la lotta lì, perché la Turchia voleva usarli per condurre la propria guerra in Medio Oriente. Ciascuno dei paesi della regione e di altri paesi esteri vuole rafforzare lì i suoi interessi.
La Siria è ricca di petrolio e gas ed è un ponte per raggiungere l’Iran o l’Asia. Gli Stati Uniti vogliono avere una base aerea; la Russia vuole mantenere la sua base aerea; la Turchia vuole portare alcune aree della Siria nel proprio territorio; anche l’Iran ha interessi nella regione. Pertanto, la popolazione siriana riceve attacchi da Al Qaeda, Daesh e dal governo centrale. E come stanno? Cercano solo di sopravvivere. Fortunatamente, siamo riusciti a sconfiggere lo Stato Islamico, ma questa sconfitta ha generato paura in alcuni governi, in particolare nella Turchia, perché loro usavano le forze dello Stato Islamico contro il popolo curdo.
Potresti parlarci un po’ del ruolo degli Stati Uniti?
All’inizio, gli Stati Uniti erano contrari al regime di Assad, esportarono le rivolte arabe in Siria, ma videro che ciò non avrebbe funzionato. Così hanno cercato di unirsi alla lotta contro Daesh e hanno creato una coalizione internazionale, con lo scopo di indebolire il governo centrale e avere una base militare nel paese. È chiaro che gli Stati Uniti vogliono assicurarsi i propri interessi, beneficiare delle risorse del paese e impedire l’influenza dell’Iran e della Russia nella regione. Gli Stati Uniti sono in competizione con la Russia in Siria per avere maggiore influenza in Medio Oriente.
Il popolo curdo è considerato la più grande popolazione del mondo apolide, con circa 40 milioni di persone. Ma l’obiettivo principale non è la creazione di uno Stato Nazione, ma un sistema chiamato Confederalismo Democratico. Potresti spiegare meglio la soluzione alla questione curda proposta, oggi, dal Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK)?
I curdi sono una nazione, ma non hanno uno Stato-Nazione. In un periodo in cui molti popoli stavano lottando per ottenere il proprio Stato, i curdi erano deboli e non riuscirono a impegnarsi in questo tipo di lotta. Dopo questo periodo, osservando molti movimenti di liberazione in tutto il mondo, si impegnarono anche loro. Il crollo dell’Unione Sovietica ha suscitato un acceso dibattito: dovremmo seguire lo stesso approccio? Dovremmo continuare sulla stessa strada e combattere per il nostro Stato-Nazione? I curdi osservarono quei movimenti di liberazione che ottennero il loro Stato, ma non la loro vera indipendenza: sono ancora legati al sistema capitalista, all’economia liberale, all’imperialismo, sono ancora burocratici, seguono ancora il nazionalismo, ecc.
Quindi il PKK ha posto la domanda: forse possiamo continuare a lottare per avere il nostro Stato-Nazione, ma che tipo di Stato sarà? Potremmo provare ad avere uno Stato-Nazione socialista, ma abbiamo visto che lo Stato nell’Unione Sovietica è crollato.
Questo significa che il problema non è il socialismo, il problema è lo strumento che viene utilizzato per arrivarci. Il problema è lo Stato stesso. Perché lo Stato è legato al nazionalismo, il ché significa essere omogeneo, rifiutare le differenze e combattere gli altri e avere un’economia liberale a beneficio di un’élite. Il nazionalismo è basato sulla burocrazia. Non è aperto ad altri gruppi e usa la democrazia solo per beneficiarne. Non si tratta di proteggere le persone, ma di proteggere i confini. Le società e le etnie non sono soggetti. Con la creazione di Stati nascono le guerre. Le persone sono chiamate a combattere per difendere i confini e in migliaia muoiono e vengono uccise.
Qual è la proposta per opporsi allo Stato-Nazione?
Öcalan parla del rischio di diventare il proprio nemico non appena si conquista lo Stato. Suggerisce un’altra idea, un sistema in cui tutti possono esprimersi: il Confederalismo Democratico. Questa proposta è un prodotto, un accumulo di tutte le precedenti idee nella storia, idee umanistiche, lotte e rivolte del popolo curdo, idee di movimenti di liberazione nazionale, idee marxiste, socialismo reale, femministe, movimenti ambientalisti, anarchici, movimenti per i diritti umani, di tutte le esperienze che abbiamo oggi e abbiamo avuto nella storia che si uniscono in una proposta di sistema in cui le persone possano esprimersi.
Non solo la maggioranza, ma anche i piccoli gruppi devono avere i loro diritti fondamentali garantiti, la loro amministrazione, la possibilità di decidere autonomamente. Il Confederalismo Democratico sta dicendo: c’è uno Stato, io sono contro lo Stato, ma è un processo. È necessario indebolire lo Stato, ma in parallelo è necessario organizzare la società. La società non dovrebbe più essere vittima degli obiettivi dello Stato. Lo Stato non dovrebbe poter continuare a manipolarla.
Proteggeremo la nostra società, con tutte le differenze, organizzandola, anche se lo Stato è ancora lì. Se organizzi la società con la politica e l’etica, allora diventerà più forte, più democratica, consapevole dei propri diritti e dei propri bisogni. E poi le persone sapranno dire allo Stato: “So cosa è meglio per me”. Il Confederalismo Democratico è l’organizzazione nella società, parallela allo Stato, per indebolirlo, per contenere lo stato di oppressione e di guerra.
Quindi non è necessario uno Stato perché il popolo organizzi la sua sovranità?
Non c’è bisogno che uno Stato organizzi la società. L’autodeterminazione non significa avere uno Stato, significa essere in grado di decidere per i propri diritti, ossia, essere organizzati e politicizzati. È il riconoscimento che lo Stato non è Dio, per dirgli:«puoi esistere solo quando esisto io». Lo Stato non può esistere senza la società, ma la società può esistere senza lo Stato.
Nella storia, la società esisteva senza lo Stato. Öcalan dice che la società è flessibile: apporta cambiamenti quando necessario, ma lo Stato non lo accetta, ed è per questo che attaccano, attaccano ora in Africa e ovunque. Ma possiamo difenderci, militarmente, politicamente e praticando l’internazionalismo.
Il Confederalismo Democratico sta già avvenendo in Kurdistan, senza i confini. La Nazione Democratica è una mente, è un valore comune, un sentimento comune, un obiettivo comune. Se ce l’hai, puoi organizzarti senza confini. In ogni territorio, è possibile avere federalismo, confederazione, nazione democratica …
Il Confederalismo Democratico non è solo per i curdi. In Kurdistan non viviamo da soli. Per fare un esempio: nella parte settentrionale della Siria, dove i curdi sono la maggioranza, nelle assemblee tutti i gruppi hanno diritti, anche se piccoli. Ci sono 20.000 armeni che vivono nella stessa area con 1 milione di curdi e hanno lo stesso diritto ad avere un rappresentante. In una normale elezione, non sarebbero eletti, non avrebbero voti sufficienti, ma in questo sistema sono rappresentati.
Il Confederalismo Democratico è antistatale?
Non possiamo limitare il Confederalismo Democratico a una sola cosa. È anti-statalista, ma allo stesso tempo è anche anti-capitalista, anti-sessista e anti-nazionalista. Il nazionalismo è un veleno per la convivenza. Le persone possono vivere insieme. Le persone non devono odiarsi, combattersi, diventare nemici l’una dell’altra. Possono vivere insieme, con un po’ di consenso. Chiamiamo questo consenso “contratto sociale”. Dobbiamo avere alcuni accordi, sul sistema politico che chiamiamo Confederalismo Democratico. E la Nazione Democratica non è solo qualcosa per i curdi. È uno spazio in cui tutte le etnie e tutti i gruppi possono vivere insieme.
Un’altra dimensione che attira l’attenzione del mondo è la centralità data alla questione delle donne. Perché il PKK afferma che il principale conflitto nella società è l’oppressione delle donne e qual è la loro pratica in risposta ad esso?
Öcalan, sviluppando la sua teoria, ottenne molte informazioni da molte fonti: dalla sua esperienza, da Marx, Lenin, dai movimenti latinoamericani, dalle rivolte curde, da Wallerstein, Bookchin, dall’esperienza del PKK e dagli sviluppi geopolitici nella regione. È giunto alla conclusione che se vuoi cambiare qualcosa, non puoi separare le cose l’una dall’altra, devi pensarle insieme.
Questa idea di separazione viene dalle scienze positiviste. Se qualcosa è provato, va bene, è vero. Se no, non esiste. Lui critica questa impostazione. Parla di metafisica. Sottolinea inoltre che l’uomo ha creato le scienze positiviste, che sono patriarcali, escludendo metà della società, le donne, dai loro diritti sociali e politici. Le scienze positiviste sono più analitiche, ma abbiamo bisogno di scienze emotive, di pensiero emotivo. In passato, ce l’avevamo. Abbiamo bisogno di un equilibrio tra emotivo e analitico per interrompere la separazione tra oggetto e soggetto. Dobbiamo vedere le cose nel complesso, non a pezzi. Il sistema che ci attacca è un tutto. Il capitalismo, l’industrialismo e lo Stato-Nazione stanno agendo insieme e dominano la società, e non si può attaccarne solo uno. Ecco perché è necessario creare una nuova idea per affrontare questo stato di cose.
Migliaia di anni fa l’uomo voleva diventare più potente e la prima cosa che fece fu attaccare i diritti delle donne. Pertanto, le donne divennero i primi schiavi, la prima classe oppressa, i primi oggetti. Se rendiamo nuovamente visibili i diritti delle donne, le lotte delle donne, il pensiero emotivo, la scienza delle donne, il sistema patriarcale si indebolirà e le donne – e la società – saranno rafforzate. Come ho detto prima, in relazione alla società e allo Stato, lo stesso accade con il sistema patriarcale e le donne.
Lo Stato è di sesso maschile e per questo sta creando guerra, invasione, aggressione, ma con il rafforzamento della società femminile questo sistema si indebolirà. In questo modo possiamo avere un equilibrio. Soprattutto in Medio Oriente dove il feudalesimo è così forte e le donne non hanno diritti. L’organizzazione del movimento delle donne può rompere molte barriere, molti dogmi, molte strutture maschili, molta burocrazia. La lotta delle donne è il nucleo, il centro del Confederalismo Democratico.
Ma il Confederalismo Democratico, d’altra parte, non è solo la lotta e l’emancipazione delle donne. È necessario avere una nuova scienza anche per questo: la Jineoloji. Jin in kurdo significa donna e, allo stesso tempo, “vita”. Quindi è la scienza delle donne, la scienza della vita – che, in questo senso, sono la stessa cosa. È una scienza che dice: «Devo avere un’alternativa a tutto. Perché le scienze, l’economia, lo Stato, il nazionalismo devono essere visti attraverso gli occhi delle donne». È una novità, e non è solo una lotta contro il patriarcato, ma anche contro le scienze patriarcali, l’economia e le pratiche di guerra.
L’autodifesa non è solo una questione militare per il movimento curdo, giusto?
Autodifesa significa avere una mente comune. Nella mente, tu hai bisogno di autodifesa. Pratichiamo l’autodifesa quando siamo politicizzati. E lo siamo quando conosciamo i nostri bisogni, quando abbiamo una morale e un’etica. Per evitare gli attacchi, possiamo fare molte cose, a diversi livelli.
Possiamo difenderci con mezzi militari – e il movimento curdo è anche ben organizzato in questo senso – ma possiamo anche avere autodifesa nella società, quando la società è organizzata in assemblee, comuni, consigli e movimenti. Così potete difendere la vostra zona, il vostro ambiente. Se hai una mente ecologica, un pensiero ecologico, una teoria ecologica, sei contro il potere. Pertanto, avere un pensiero ecologico è contrario al potere ed è anche un’autodifesa. Puoi essere in autodifesa contro la scienza positivista, che sta cercando di dominare la società. Se sviluppi nuove scienze, puoi praticare l’autodifesa in agricoltura costruendo eco-industrie. Se ti organizzi in cooperative, nell’economia sociale, fai autodifesa. Quindi, l’autodifesa significa organizzazione sociale, nuove scienze, organizzazione militare, valori comuni, significa, infine, conoscere la propria storia.
Il PKK negli anni 2000 ha sperimentato un “cambio di paradigma”, non presentandosi più come un’organizzazione marxista. Hai parlato della differenza con la teoria marxista sul ruolo dello Stato, sulla principale contraddizione nella società – che il PKK considera l’oppressione delle donne piuttosto che tra capitale e lavoro – e della critica all’idea di progresso dei periodi nella storia. In che modo questo cambio di paradigma pone la questione della lotta di classe nel quadro generale?
La teoria del Confederalismo Democratico, il PKK o Abdullah Öcalan non sono contrari al marxismo e al socialismo, dopotutto si considerano socialisti. Il nostro obiettivo principale è il socialismo democratico. Tuttavia, hanno alcune critiche positive alla teoria marxista. Non guardano alla teoria come a un dogma. Lenin non l’ha fatto. Anche Marx ha sempre voluto ripensare e sviluppare la sua teoria in modo continuo. Ma sfortunatamente il socialismo reale ha preso la teoria come dogma, e implementato alcune cattive metodologie in certe aree.
I marxisti hanno analizzato molto bene il capitalismo – perfettamente – ma il modo di combattere il capitalismo consisteva nell’avere un proprio Stato forte. Tuttavia lo Stato è uno strumento del capitalismo e pertanto questa teoria diventa imperfetta. Ma potrebbe essere diverso. Noi critichiamo questa parte e, d’altra parte, diciamo che dobbiamo mettere la società al centro delle discussioni. Non solo una nazione, non solo individui, non solo una classe, ma la società. Non stiamo rifiutando la classe, non stiamo rifiutando le differenze, ma la classe e le differenze sono oppresse dallo Stato-nazione, dalla modernità capitalista, insieme.
Lavoratori e non lavoratori?
Sì, insieme. Perché le cose sono cambiate. Non abbiamo solo la classe lavoratrice, abbiamo anche altre classi oppresse. Critichiamo l’approccio positivista alla trasformazione, anche riguardo al materialismo e alla visione della storia a pezzi. Con la teoria della fisica quantistica e le nuove scienze, possiamo avere il socialismo senza capitalismo nelle nostre aree; non dobbiamo aspettare di avere il socialismo.
Non stiamo rimandando la liberazione delle donne a dopo la rivoluzione, dicendo: «Va bene, dopo la rivoluzione sarà migliore». Se vogliamo fare qualcosa, dobbiamo farlo ora, in parallelo; non possiamo aspettare i bei giorni a venire. Non ci stiamo sacrificando per il futuro, per qualcosa che è sempre nel futuro, nel futuro… Se vuoi un sistema democratico, devi essere democratico ora. Devi implementarlo ora. Se vuoi avere un sistema cooperativo, un’economia sociale, un’eco-industria, devi farlo ora. Devi attuare la teoria e la pratica ora, l’una inclusa nell’altra nel comportamento.
Non si tratta di competere con la modernità capitalista, vedere chi è più forte, ma cercare di mettere la società e gli individui al centro della discussione. Posso dire che la principale differenza in questa teoria, nel nuovo paradigma, è la liberazione delle donne, la democrazia e l’ecologia. Questi tre sono i pilastri del Confederalismo Democratico. E non sono in contraddizione con il marxismo. Tuttavia, la metodologia, gli strumenti, sono diversi. Non stiamo cercando, con questi tre pilastri, di avere uno Stato forte. No. Possiamo averlo nella nostra società, con noi. Senza confini, con le nostre differenze. Questo è il motivo per cui critichiamo il materialismo classico.
La filosofia curda potrebbe essere appropriata per altri paesi o lotte? Come?
Il Confederalismo Democratico non è solo per i curdi. I curdi hanno un problema specifico: sono oppressi, hanno vista negata la loro identità, i loro diritti fondamentali e democratici, i loro territori sono occupati. I curdi devono aver a che fare con tutto ciò e questa è la nostra questione. Ma il Confederalismo Democratico sta lavorando con altre contraddizioni che altre persone affrontano in altre aree. Ad esempio, la questione delle donne, dei diritti umani, dell’ambiente, dell’economia, dei diritti ecologici non sono questioni curde. Le vediamo emergere in America Latina, Africa, India, Cina, Stati Uniti.
Tutti cercano di affrontare queste contraddizioni e cercano di trovare alcune risposte, alcuni progetti. E il Confederalismo Democratico sta cercando di dare risposte, proporre soluzioni a queste contraddizioni. Quindi le idee sui diritti delle donne, sull’ecologia, l’economia, le scienze sono un contributo alla discussione di problemi globali. Stiamo assistendo a una crisi del sistema. Non è una crisi del capitalismo. Il capitalismo affronta sempre le crisi – e persino le produce – per sopravvivere. Potrebbero persino essere in grado di gestirle, ma l’intero sistema che chiamiamo modernità capitalista – basato sul capitalismo, sullo Stato-nazione e sull’industrialismo – è in crisi. È una crisi della modernità. E non può trovare una soluzione in se stessa.
La via d’uscita è populismo, burocrazia e terrore, e questo rende le persone spaventate con lo scopo di tenerle obbedienti. Per questo motivo le persone sono alla ricerca di nuove soluzioni, progetti e resistenze. Noi stiamo proponendo un progetto globale per problemi globali che ci riguardano tutti e proprio per questo è sempre più facile unirsi con gruppi in America Latina, Africa, Cina o Stati Uniti.
L’obiettivo del Confederalismo Democratico è agire localmente e pensare globalmente. In questo modo, puoi costruire una piattaforma della democrazia globale, in cui discutere con tutti gli altri gruppi e con tutte le altre idee, in modo autonomo, coordinandoti tra tutti. Perché c’è un’Unione Europea, per esempio, e noi non possiamo avere una piattaforma democratica globale per unirci, discutere e organizzare la lotta? La lotta sociale in America Latina è forte e influente nelle discussioni internazionali, quindi è molto importante che ci uniamo. Negli ultimi anni abbiamo avuto buoni contatti. E posso dire che le persone in Kurdistan sono sempre consapevoli di ciò che sta accadendo in America Latina.
*di Igor de Nadai e Joana Tavares. Inviati speciali ad Amsterdam (Olanda), 5 aprile 2018, ore 16:30
Fonte originale: Brasil de Fato
Traduzione di Gea Piccardi