Reportage relativo alla criminale politica di Erdogan contro il popolo curdo
Reportage di FONTI DI PACE ONLUS sulla sessione del TRIBUNALE PERMANENTE dei POPOLI (TPP) svoltosi a Parigi il 15-16 marzo 2018 relativo alla criminale politica di Erdogan contro il popolo curdo
“La Turchia come tale, il suo Presidente Erdogan ed il Generale Adem Huduti che è stato a capo delle operazioni militari contro i Curdi con il sostegno attivo di milizie legate a Daech devono essere condannati per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, in quanto organizzatori di massacri, bombardamenti deliberati di civili curdi e distruzione di interi villaggi, repressione politica e pulizia etnica, assassinii di oppositori curdi anche all’estero, all’interno di una strategia della tensione che investe l’intero territorio della repubblica turca con pratiche di terrorismo di stato che mirano ad annientare in tutti i modi -legali e non- le rivendicazioni del popolo curdo a cui va invece riconosciuto il pieno esercizio del diritto all’autodeterminazione come enunciato dalle Nazioni Unite”: è quanto chiede Jan Fermon, avvocato belga Segretario Generale dell’Associazione Internazionale degli Avvocati Democratici, nelle sue vesti di Procuratore Generale presso il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) convocato a Parigi il 15-16 marzo 2018 per giudicare la politica di Erdogan nei confronti dei Curdi.
Siccome la Turchia non ha mai ratificato il Trattato di Roma sul Tribunale Penale Internazionale, non può essere giudicata in quella sede per reati di crimini di guerra e contro l’umanità che pur ha commesso e commette. Ecco perché si è costituito a Parigi il TPP sulla Turchia ed i Curdi: per presentare comunque all’opinione pubblica internazionale una serie precisa di fatti e testimonianze di massacri e violazioni gravi dei diritti dei Curdi da parte della Turchia di fronte ad una giuria di sette membri presieduta da Philippe Texier (Giudice Onorario presso la Corte di Cassazione francese), tra i quali il magistrato Domenico Gallo e Luciana Castellina, chiamati entro maggio ed emettere una sentenza simbolica che dettagli in termini politico-giuridici le responsabilità dello stato turco nell’inammissibile repressione politico-militare dei Curdi.
Decine di testimoni hanno così presentato alla giuria popolare di Parigi le prove di quella che Jan Fermon afferma essere una “deliberata strategia criminale di Erdogan contro i Curdi; siamo di fronte ad uno stato, la Turchia, che agisce come una vera e propria organizzazione criminale al di fuori di ogni controllo, che ha sostenuto e sostiene organizzazioni terroriste legate alla djhad islamica e a Daech pur di contenere le rivendicazioni legittime dei Curdi, che occupa e bombarda indiscriminatamente altri stati sovrani come la Siria o l’Irak per impedire l’autogoverno democratico, laico e progressista dei Curdi”. Da notare che il Presidente del Tribunale ha formalmente invitato l’Ambasciata turca a Parigi ad indicare un avvocato difensore nell’ambito del processo, richiesta rimasta inevasa.
É sempre difficile confrontarsi con i racconti dei testimoni curdi che hanno vissuto sulla propria pelle la repressione armata di Erdogan: ci sono Faysal Sariyildiz e Elyla Imret che hanno visto intere famiglie sterminate a Cizre; Erhan Dinc e Sabiha Gunduz che raccontano delle nefandezze dell’esercito turco a Nusaybin; Fatma Sirk e Ercan Ayboga che descrivono i bombardamenti indiscriminati a Sur, o Faruk Encu che ricorda quando e come decine di Curdi sono stati uccisi e Roboski. “Non sono episodi isolati che la Turchia giustifica in nome della lotta al terrorismo”, dice Jan Fermon, “si tratta invece di una politica precisa elaborata in seno a frange estremiste dello stato turco alla cui sommità si trova il Presidente Erdogan”.
Oltre alle testimonianze agghiaccianti su questi eventi specifici che, messi in fila uno dopo l’altro, mettono in luce l’evidente strategia della tensione a cui fa riferimento Jan Fermon, una parte importante dei lavori del TPP è stata dedicata alla violenza e al terrorismo di stato. Esperti e testimoni hanno ad esempio fornito dati significativi sull’azione delle squadracce della morte al soldo del governo turco incaricate di eliminare fisicamente oppositori ed esponenti politici curdi in Turchia e all’estero. Indizi convincenti e concordanti esistono anche su “operazioni speciali” finalizzate alla liquidazione di esponenti della polizia turca da parte di agenti turchi dei servizi segreti governativi per scaricarne poi la responsabilità sul PKK e giustificare così ulteriori operazioni militari, quando invece i Curdi non hanno nulla a che fare con tali operazioni. Un esempio che spicca su tutti è quello dell’uccisione di due poliziotti turchi a Ceylanpinar il 22 luglio 2015 che immediatamente fu attribuita al PKK, Erdogan ci saltò sopra ed ordinò in rappresaglia pesanti operazioni militari nel sud-est della Turchia; vennero arrestati otto esponenti curdi sottoposti al pubblico ludibrio e odio nazionale, solo che il 1° marzo scorso sono stati tutti liberati per mancanza di prove, l’omicidio dei due poliziotti adesso è attribuito “ad autori sconosciuti”, una categoria processuale che spesso in Turchia significa che settori dello stato ne sono responsabili… Per non parlare della bomba che il 20 luglio 2015 ha uccio 33 giovani militanti pro-curdi a Suruc, o quella del 10 ottobre 2015 contro i partecipanti ad un meeting pacifista in cui morirono oltre 100 partecipanti ad Ankara. Il tutto -guarda caso- dopo che il partito pro-curdo HDP aveva superato la soglia del 10% su base nazionale nelle elezioni del 7 giugno 2015 entrando con 80 deputati al parlamento nazionale e fatto perdere ad Erdogan la maggioranza assoluta dei seggi. Quelle “bombe di stato”, insieme alla repressione militare generalizzata, portarono poi a nuove elezioni generali il 1° novembre 2015 in cui, grazie anche a brogli generalizzati, Erdogan si riprendeva con la forza la maggioranza assoluta nel parlamento di Ankara.
I servizi segreti turchi (MIT), poi, agiscono anche all’estero: durante la sua testimonianza davanti ai giudici, l’avvocato francese Antoine Comte fornisce ad esempio dettagli impressionanti sull’autore ed i mandanti dell’assassinio a Parigi di tre militanti curde, Sakine Cansiz, FIdan Dogan e Leyla Saylemez, il 9 gennaio 2013. “Ecco l’ordine di missione impartito all’assassino dal numero due del MIT”, dice l’avvocato Comte presentando ai giudici una copia firmata del lugubre documento; “Per la prima volta abbiamo le prove che lo stato turco è il mandante dell’assassinio delle tre donne curde”, afferma Comte che presenta anche una video-confessione da parte di esponenti del MIT catturati dai Curdi in Irak che, facendo nomi e cognomi precisi, illustrano la “catena di comando” dell’assassinio che porta ai vertici dello stato. “Esistono prove circostanziate e precise della responsabilità del MIT. É vero che il presunto assassino -esponente delle frange estreme del nazionalismo turco- è morto di un cancro al cervello nelle prigioni francesi solo venti giorni prima dell’inizio del suo processo, ma la nostra battaglia legale continua anche perché è la stessa procura francese ad aver indicato precise responsabilità dello stato turco nella morte atroce delle tre militanti curde, le indagini continuano”, afferma Comte. Rivelazioni estremamente recenti della stampa internazionale indicano inoltre come i servizi di sicurezza europei stiano cooperando tra di loro per impedire agli agenti turchi del MIT di eliminare i responsabili politici curdi in molti paesi dell’Unione Europea, in particolare in Belgio, Germania e Francia.
Una particolare impressione l’ha poi fatta la testimonianza di David Phillips, attualmente Direttore del programma di peace-building e diritti umani della Columbia University negli Stati Uniti, che ha occupato anche posizioni di rilievo in seno a numerose organizzazioni politico-diplomatiche USA, oltre ad essere un noto commentatore politico americano sui fatti in Medioriente. “La Turchia si presenta come alleato della NATO o dell’Occidente -dice Phillips- ma in realtà abbiamo prove schiaccianti sul suo sostegno a Daech e all’integralismo djjadista nella regione: i passaporti trovati in possesso di esponenti di Daech sono stampati in Turchia; le carte telefoniche da loro usate sono state fornite dal MIT; esistono campi di reclutamento djhadista in Turchia, da cui sono stati poi inviati combattenti a Kobane, Afrin e altre aree curde; abbiamo le tracce di finanziamenti illeciti dal governo turco verso organizzazioni estremiste; ospedali alla frontiera con la Siria hanno accolto ed accolgono combattenti di Daech, compresi esponenti di primo piano dell’organizzazione di Al-Bagdadi, il capo dello stato islamico; il figlio di Erdogan è personalmente coinvolto in operazioni di sostegno finanziario a Daesch. Se la Turchia presentasse oggi una domanda di adesione alla NATO verrebbe immediatamente respinta -afferma Phillips- perché la Turchia non fa assolutamente parte di quella “comunità di valori” che la NATO dice di rappresentare”.
Dopo due giorni di intensi lavori, il quadro complessivo fornito dal Tribunale Permanente dei Popoli è quello di un Paese, la Turchia, completamente fuori controllo democratico, “una vera e propria impresa criminale organizzata con diramazioni terroriste come definite dalla Decisione-Quadro dell’Unione Europea sulla lotta al terrorismo internazionale”, dice Jan Fermon che chiede dunque ai giudici di condannare Ankara per le sue politiche di sterminio politico-militare dei Curdi. Allo stesso tempo, chiede ai giudici di affermare che ai Curdi si applicano i principii del diritto di autodeterminazione dei popoli come sancito dagli articoli 1, par. 2, 55 e 76 della Carta delle Nazioni Unite, diventato un diritto umano formalmente riconosciuto a tutti i popoli in virtù dell’identico articolo l dei due Patti internazionali sui diritti civili, politici, sociali, culturali ed economici del l966 ed entrati in vigore nel 1976, il quale recita: “(1) Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale. (2) Per raggiungere i loro fini, tutti i popoli possono disporre liberamente delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali senza pregiudizio degli obblighi derivanti dalla cooperazione economica internazionale, fondata sul principio del mutuo interesse, e dal diritto internazionale. In nessun caso un popolo può essere privato dei propri mezzi di sussistenza. (3) Gli Stati parti del presente Patto (…) debbono promuovere 1’attuazione del diritto di autodeterminazione dei popoli e rispettare tale diritto, in conformità alle disposizioni dello Statuto delle Nazioni Unite”. Infine, il Procuratore Generale del TPP chiede ai giudici di ribaltare la narrativa turca: “Con la Turchia non siamo di fronte ad uno stato democratico che usa metodi legali e proporzionati nella sua azione; non si tratta di “lotta al terrorismo” come afferma Erdogan bensì di una strategia terroristica contro un intero popolo, quello curdo, a cui dobbiamo peraltro gran parte della vittoria contro il flagello di Daech al costo di migliaia di vite di combattenti e civili”.
I sette giudici del Tribunale Permanente dei Popoli hanno annunciato che la loro sentenza sarà pronta entro fine aprile, i suoi contenuti verranno presentati entro fine maggio in una sessione finale del TPP che si terrà al Parlamento Europeo, nel cuore di quell’Europa che si ostina a non vedere cosa succede in Turchia e che in nome della realpolitik si gira dall’altra parte di fronte alle immagini di Cizre, Nusaybin, Sur, Sirnak, Roboski, ma anche Kobane ed Afrin solo per citare i massacri più recenti, in attesa del prossimo massacro…
a Cura di Fonti di Pace Onlus