Guerra giusta
Uno sguardo esclusivamente geopolitico non fraintende la dinamica della guerra popolare nel nord della Siria – Nell’estate 1917 Lenin è dovuto fuggire dalla Russia perché il regime provvisorio lo accusava di aver organizzato come agente tedesco una rivolta per indebolire il fronte russo. Retroscena dell’accusa di essere un agente era il fatto ch e Lenin con l’aiuto dello stato maggiore tedesco aveva raggiunto la Russia dall’esilio svizzero in un vagone piombato e era stato rifornito dal governo tedesco di denaro per la pubblicazione di stampa comunista di partito. Questo patto tra il rivoluzionario e il Paese del Kaiser era ammissibile perché Lenin non aveva mai promesso ai tedeschi altro che il fatto che nel caso di una presa di potere da parte dei bolscevichi, avrebbe ritirato la Russia dalla Guerra Mondiale. Lo stato maggiore in questo è stato un partner di breve termine, tattico, mentre il movimento rivoluzionario dei lavoratori tedeschi restava l’alleato strategico dei bolscevichi.
Oggi i curdi in Siria non si vedono esposti ad accuse di collaborazione con una potenza nemica imperialista non solo da parte del regime Baath al governo a Damasco, ma anche da parte di molti esponenti della sinistra, perché sono entrati in un’alleanza militare con le forze armate statunitensi per combattere »Stato Islamico« (IS). Le Unità di Difesa del Popolo e delle Donne YPG/YPJ come mercenari dell’imperialismo USA porterebbero avanti il suo obiettivo geopolitico di uno spezzettamento della Siria, questa l’accusa.
Circa 100 anni dopo che le potenze imperialiste Gran Bretagna e Francia, hanno dato al Vicino e Medio Oriente attraverso l’accordo Sykes-Picot l’aspetto attuale, questo ordine dato dalla definizione arbitraria dei confini e costruzione artificiale di Stati nazionali sulle macerie dell’impero ottomano multietnico è preso dalla dissoluzione. Così le grandi potenze cercano di superare attraverso interventi diretti e indiretti, i regimi incrostati che si stanno rivelando sempre di più un ostacolo nel far passare interessi del capitale internazionale e non sono più in grado di garantire il controllo sulle proprie popolazioni. Questi sconvolgimenti dello status quo a loro volta contribuiscono alla liberazione di forze reazionarie e progressiste a lungo represse.
Da un lato in questo modo si è verificata un’impennata di correnti religiose come i Fratelli Musulmani, di IS, ma anche di partiti e milizie sciiti. Dall’altro il Movimento di Liberazione Curdo vicino al suo pensatore Abdullah Öcalan assume un ruolo di avanguardia per le minoranze etniche e religiose finora escluse, per le donne che soffrivano di un’oppressione feudale e patriarcale e per le forze rivoluzionarie e democratiche nella regione. Perché proprio i curdi non hanno motivo di difendere un ordine che da un secolo gli nega uno status autonomo.
Così il Movimento Curdo ha sfruttato il vuoto di potere creatosi nelle zone curde all’inizio della guerra civile siriana per percorrere una propria terza via oltre il regime Baath e anche oltre l’opposizione dominata da forze religiose e nazionaliste arabe. A fronte del mosaico di popolazioni in Siria, il partito curdo-siriano PYD che si ispira alle idee di Öcalan, si è schierato consapevolmente contro ogni progetto separatista o nazionalista a favore di un’amministrazione autonoma basata sulla democrazia dei consigli che include tutti i gruppi etnici e tutte le comunità religiose. Così nelle strutture dirigenti dei cantoni di nuova creazione, oltre ai curdi sono rappresentati anche arabi, turkmeni e cristiani siriani. Per rispetto delle altre popolazioni è stato tolto perfino il nome curdo Rojava della Federazione Democratica Siria del Nord che in base al suo contratto sociale si intende come parte di una Siria democratica e federale alla quale si aspira.
Nella guerra civile siriana, che il Movimento curdo intende come un terreno di battaglia della Terza Guerra Mondiale iniziata in Medio Oriente, ogni parte ha bisogno di alleanze. Così il regime Baath senza l’appoggio della Russia – che a confronto degli USA è meno aggressiva, ma pur sempre una grande potenza imperialista – e dell’Iran come forza regionale, difficilmente avrebbe potuto tenere. E la città di Kobane senza il tardivo intervento dell’aviazione statunitense nell’inverno 2014/15 nonostante l’eroica resistenza dei combattenti delle YPG armati di sole armi leggere, sarebbe caduta. Tuttavia il Movimento curdo si impegna per una politica di alleanze flessibili sfruttando le contraddizioni delle grandi potenze e delle potenze regionali. Così sono stati fatti accordi tattici con gli USA, con la Russia e perfino con il regime siriano per usare le rispettive truppe come cuscinetto o scudo protettivo contro gli attacchi dell’esercito turco ai cantoni dell’amministrazione autonoma.
Tanto è necessaria alla sopravvivenza questa forma di politica delle alleanze flessibili per i curdi, quanto è anche un cammino sul filo del rasoio. I curdi attraverso l’attuale collaborazione tra Russia, Iran e Turchia nell’ambito dell’accordo di Astana vengono spinti in una maggiore dipendenza unilaterale dagli USA. Questi a loro volta cercano di portare i curdi in uno scontro con l’Iran e i suoi alleati sciiti. Anche in questo c’è un pericolo, così come nella presenza militare USA nella Siria del nord che andrà oltre l’offensiva di Raqqa.
Rappresentanti del Movimento di Liberazione curdo continuano a sottolineare che l’alleanza con l’esercito USA è solo di natura tattica. Analoghe dichiarazioni provengono anche da Washington, non ultimo per ammansire la Turchia in quanto partner strategico della NATO. Il carattere meramente tattico dell’alleanza si mostra anche nel fatto che gli USA finora hanno impedito qualsiasi partecipazione del PYD ai colloqui di Ginevra sulla Siria e sostengono attacchi aerei turchi contro il PKK in Iraq attraverso informazioni dei servizi. Una collaborazione strategica tra gli USA e il Movimento di Liberazione curdo a fronte delle ideologie antagoniste e degli obiettivi a lungo termine delle due parti è anche impensabile. Mentre gli USA mirano ad imporre i loro interessi capitalistici e geo-strategici, il Movimento di Liberazione curdo è impegnato per il superamento della »modernità capitalista« attraverso un socialismo libertario.
Le Forze Democratiche Siriane (FDS), ormai costituite in maggioranza da combattenti arabi della Siria del nord, il cui nucleo più efficace sono le YPG/YPJ curde, inoltre non agiscono come ricevitori di ordini da Washington, ma per via della mancanza di alternative sul terreno agli USA, come loro partner di pari livello. Così le FDS lo scorso anno hanno potuto imporre la liberazione della città di Manbij, importante per la messa in sicurezza dei cantoni dell’amministrazione autonoma, contro la volontà del governo USA, che aveva dato priorità a un attacco veloce alla capitale di IS, Raqqa.
Diversamente dall’Iraq, dove gli USA dopo il loro ingresso nel 2003 con l’aiuto di collaborazionisti locali come il Presidente curdo-irakeno Masud Barzani, hanno imposto la loro agenda neoliberista, compresa la svendita dei campi petroliferi a imprese occidentali, Washington finora non ha potuto fare alcuna imposizione politica ai curdi in Siria del nord. Perché gli USA attualmente non dispongono più della possibilità di una corrispondente influenza sulle strutture di amministrazione autonoma rette da migliaia di quadri rivoluzionari. La costruzione di queste strutture viene intesa dal Movimento di Liberazione curdo come strategia a lungo termine per il cambiamento della Siria e dell’intera regione secondo la realtà dei popoli.
La legislazione internazionale che regola le relazioni tra Stati, in questo per un movimento rivoluzionario non può costituire un quadro di riferimento per la legittimità del proprio agire nel proprio Paese. Anche dal punto di vista storico-materiale è piuttosto il carattere di classe dello scontro. Secondo Lenin una lotta è giusta quando viene condotta per la liberazione, il consolidamento e lo sviluppo delle classi oppresse e dei loro interessi, le masse popolari vi partecipano e con questo combattono anche per gli oppressi in tutto il mondo. Questi criteri nella lotta delle FDS e la costruzione della Federazione Democratica Siria del Nord sono senza dubbio rispettati. Andrebbero qui citati l’unione delle diverse etnie e comunità religiose, il ruolo guida delle donne e la partecipazione di gran parte della popolazione agli organismi armati, così come all’amministrazione civile basata sulla democrazia dei consigli e non da ultimo il carattere aperto del progetto per la partecipazione di forze internazionali progressiste e comuniste.
Lo sguardo puramente geopolitico di alcuni esponenti della sinistra che si definiscono anti-imperialisti, che ritengono rivoluzionario già il fatto di mettere automaticamente un segno meno lì dove l’imperialismo scrive un segno più, invece ignora il ruolo delle masse popolari e fraintende le effettive di dinamiche di rivolte e guerre di popolo.
di Nick Brauns,Junge Welt