Xelil:Non combattiamo per il potere, ma portiamo avanti una rivoluzione
In primo luogo voglio ringraziarla sentitamente per aver trovato tempo per un colloquio. Per prima cosa potrebbe presentarsi?
Il mio nome è Aldar Xelil. Sono rappresentante del coordinamento TEV-DEM. TEV-DEM è il Movimento per una Società Democratica. Siamo per così dire l’istanza di coordinamento delle strutture di autogoverno di democrazia dal basso. E anche rappresentanti della società civile fanno parte del TEV-DEM.
L’ultima volta che abbiamo avuto un colloquio è stato nell’estate 2015 nel Rojava. Quali sviluppi ci sono stati da allora nella regione del Rojava?
Al momento viviamo una rivoluzione che si espande sempre di più. Viviamo in una fase della nuova costruzione sociale, del modello che chiamiamo Xweserîya Demokratîk – Autonomia Democratica. E ovunque respingiamo IS viene costruito questo sistema. Questo attualmente sta avvenendo in luoghi come Til Hemis, al-Hol, al-Shaddadi, Silûk, Mabrouka, Ayn Isa, Minbic e diversi quartieri di Aleppo che sono stati liberati. E inoltre è in corso l’operazione su Raqqa.
Cosa si è sviluppato in ambito civile?
In ambito civile sono da notare in particolare i lavori per la costruzione di una Siria federale. Così si è svolto un congresso fondativo di particolare successo per la Federazione Democratica Siria del Nord. È stato preparato un contratto sociale per la Federazione e una proposta per una Costituzione per l’intera Siria. Al momento vengono preparate le elezioni per la Federazione.
Inoltre ha continuato a svilupparsi il sistema dell’istruzione nel Rojava, in modo che ognuno riceva istruzione nella propria lingua madre. Si è sviluppata la socialità. Molte cose si sono istituzionalizzate.
Quali sono i problemi maggiori?
Ci sono sviluppi a tutti i livelli nel Rojava, ma anche molti attacchi. Vogliono soffocare tutti questi sviluppi, distruggere il sistema nel Rojava. Ci sono attacchi a livello diplomatico, economico, politico. La Turchia ha in parte occupato il Rojava. Ora sono ad al-Bab, hanno occupato parti della regione di Shehba e cercano di portare sotto il loro dominio altri territori. La Turchia in questo modo vuole almeno partecipare alle decisioni sul futuro della Siria.L’opposizione è stata sconfitta. Ad Aleppo la Turchia si è messa d’accordo con il regime e gli ha consegnato Aleppo. Erdogan ha aiutato il regime nel passaggio di consegne. Nelle trattative per la soluzione non è stato trovato alcun tipo di soluzione, né a Ginevra né ad Astana. Da parte loro non c’è un progetto per una Siria democratica, ma tutti cercano di solo capire come possono aumentare il potere sulla Siria.
Qual è la situazione nel quartiere di Şêx Meqsûd di Aleppo?
Non si tratta solo di Şêx Meqsûd, una volta era così – ora sono sei quartieri liberati. L’embargo è stato un po’ allentato. Il regime ha cercato di esercitare repressione, ma noi continuiamo a resistere. Da ultimo sono intervenuti i russi e hanno mediato. C’è una zona cuscinetto tenuta dalla Russia tra noi e il regime. Il regime non entra nei nostri quartieri.
Quali sono le ragioni della Russia?
I russi sanno anche che il regime non ha potere dappertutto. Inoltre non ci vogliono come nemici. Sanno che non lasceremo i territori e così è stata trovata una soluzione intermedia.
Com’è la situazione con l’embargo?
I nostri territori autonomi sono tutti sotto embargo economico. Ci sono relazioni tra i cantoni, ma complessivamente la situazione è difficile.
Qual è il retroscena della conquista di al-Bab da parte della Turchia?
La Turchia vuole creare una Siria islamica secondo il suo modello. Per questo hanno portato le loro forze nella regione. Al-Bab si trova strategicamente tra Raqqa e Aleppo. Così vogliono mettere sotto pressione il Rojava. Mirano a portare sotto il loro controllo le vie verso Aleppo e Raqqa e ad impedire i collegamenti tra Afrin e Kobanê. Così cercano di fermare il progetto Rojava.
Perché le YPG hanno deciso di marciare su Raqqa e non di chiudere il corridoio verso Afrin?
Se fossimo andati ad Afrin, ci sarebbero stati combattimenti con la Turchia e in secondo luogo Raqqa è molto importante. Da Raqqa IS minaccia tutti i territori, Kobanê, Cizîrê, Shehba. Raqqa è la capitale di IS, attaccarla e con questo attaccare il terrorismo di IS è un nostro dovere.
Com’è la situazione a Minbic? La Turchia ha più volte dichiarato la città suo prossimo obiettivo.
La Turchia al momento non è abbastanza forte per entrare a Minbic. Ma usano la loro artiglieria e i loro aerei da guerra per bombardare e attaccare la città. La situazione attualmente è che se continuano gli attacchi della Turchia su Minbic, dobbiamo spostare il nostro focus sulla difesa di Minbic. Questo significherebbe anche che ritireremmo le nostre forze da Raqqa.
Supponiamo che Raqqa venga liberata con successo. Cosa succede dopo? Qual è il prossimo obiettivo dal punto di vista militare?
Per noi la cosa più importante è che IS sparisca. Dopo la popolazione di Raqqa deciderà autonomamente cosa vuole. Non desideriamo restarci. Vogliamo consegnare la città alla popolazione di Raqqa. Combattiamo per salvare le persone da IS. Dopo Raqqa non è finita, dopo viene Deir ez Zor. Anche lì è presente IS.
Cosa succede se la Turchia attua il suo piano e cerca di avanzare da Gîre Spî verso Raqqa?
Se entrano lì, ci saranno combattimenti.
Come funziona la convivenza delle diverse identità a Minbic?
La maggioranza degli abitanti di Minbic è circassa, ci sono anche arabi e curdi. Il sistema democratico si adatta bene a Minbic, perché tutti insieme amministrano la città. Funziona molto bene e Minbic da un’idea di come potrebbe essere un sistema democratico in Siria. I gruppi di popolazione in città da un lato si organizzano in modo autonomo. D’altra parte si ritrovano nel Consiglio di Minbic e insieme regolamentano la vita in città.
Come valuta l’esclusione del Rojava, ovvero della Federazione Siria del Nord dai colloqui di Ginevra IV e Astana?
Questo mostra che le potenze internazionali non hanno ancora deciso su una soluzione per la Siria. Perché se volessero una soluzione, coinvolgerebbero anche i nostri rappresentanti nei colloqui. Come si può discutere di una soluzione in un Paese dove c’è la guerra civile, se i rappesentanti di circa ¼ della popolazione di questo Paese vengono esclusi dai colloqui. Se domani prendono una decisione e noi non ci siamo, allora per noi quella decisione non è vincolante.
Quali sono i maggiori successi e i maggiori ostacoli per il Rojava?
Come dicevo siano in una fase di rivoluzione perdurante. La rivoluzione significa sempre anche una nuova costruzione. Siamo in una condizione di guerra e in una fase di creazione delle istituzioni. In particolare forze dall’esterno cercano di attirare le persone. Vogliamo una Siria democratica e poi vogliamo dare una soluzione ai curdi e alla questione curda. Questa lotta continua e durerà ancora per alcuni anni. C’è un embargo da tutti i lati, dal regime, da IS, dal KDP e dalla Turchia. Ma la popolazione resiste con le proprie forze.
Qual è il modo migliore di sostenere il Rojava?
Il Rojava si sviluppa sulla base del modello della Nazione Democratica. Un sostegno importante per noi sarebbe se questo concetto della Nazione Democratica venisse spiegato all’opinione pubblica. Noi desideriamo che le persone capiscano cosa sta succedendo qui. Non combattiamo per il potere, portiamo avanti una rivoluzione. Chi vuole sostenere questa rivoluzione, deve trasmettere questa rivoluzione ad aree più ampie.