La voce di Asli Erdogan dal carcere turco «Il regime ci odia e l’Europa non vede»

Come in una stazione ferroviaria, «aspetto un treno di cui non conosco l’orario, tra la folla, al freddo. Mi mancano le medicine, ho paura…». È la voce della scrittrice turca Asli Erdogan, che dal carcere femminile di Bakirköy a Istanbul, attraverso la mediazione dell’avvocato Erdal Dogan , è riuscita a rispondere alle domande del Corriere. Con il presidente Recep Tayyip Erdogan ha in comune il cognome, ma anche un destino speculare: è da lui, dice, che dipende la sua condizione attuale.

Asli Erdogan, lei è in cella da agosto: con quale accusa? Qual è la sua linea difensiva?

«Sono stata arrestata il 16 agosto perché consulente editoriale del quotidiano Özgür Gündem (indicato dal governo come organo del Pkk, partito curdo illegale, ndr), nonostante la legge sulla stampa dichiari in modo netto che i consulenti non sono responsabili giuridicamente per la linea e i contenuti del giornale. In Turchia per la prima volta un quotidiano è stato dichiarato “organo di stampa di una organizzazione terroristica”. È completamente illogico, fuori dal diritto, campato in aria… Non c’è una sola prova contro di noi, per formulare l’accusa hanno usato poche frasi estrapolate da quattro miei articoli, mai contestati prima. Il procuratore per nove persone, me compresa, ha chiesto l’ergastolo: la condanna che ha sostituito la pena di morte! In breve: vengo giudicata perché sono il consulente a titolo simbolico di un giornale legale ed è stata richiesto per me l’ergastolo. Per quanto ne sappia, è la prima volta al mondo: baserò la mia difesa su questo nonsense»

Non è l’unica vittima della repressione dopo il tentato golpe di luglio: che cosa sta succedendo in Turchia?

«Negli ultimi quattro mesi sono state arrestate 40mila persone con l’accusa di appartenenza a organizzazione terroristica. Circa 150 “giornalisti” sono in carcere, tra questi scrittori, linguisti, professori di economia. Sono stati chiusi tra 150-200 organi di stampa e case editrici. Ci sono tra i detenuti anche decine di politici. Pochi giorni fa è stato arrestato un giudice nel corso di un’udienza (nel processo per l’omicidio del giornalista armeno Hrant Dink, ndr)».

Perché il presidente Erdogan teme i giornalisti?

«Il regime sta diventando totalitario e vuole assicurarsi di essere il solo e assoluto detentore della verità. Erdogan non riesce a digerire neanche la minima critica, e rovescia tutto il suo rancore e spirito di vendetta contro gli intellettuali. Soprattutto non ha alcun rispetto per le “donne intellettuali”. Non capisco se ci odi o ci tema molto».

Che cosa dovrebbe fare la comunità internazionale, Europa in particolare? Ritiene che gli accordi con Ankara per bloccare il flusso dei rifugiati frenino le pressioni?

«L’Europa deve smettere subito di chiudere gli occhi nei confronti della Turchia per la crisi dei migranti, ha il potere di fare pressioni, anche commerciali. La Turchia sta utilizzando persone disperate come merce di ricatto».

Quali sono le sue condizioni di salute?

«Come potrebbero essere? Una cella gelida, difficoltà di consultare un dottore, di avere medicine, la mancanza d’aria… Come può stare in questa situazione una persona che ha una protesi, che ha avuto quattro interventi, con problemi circolatori e intestinali? Cerco di RESTARE SANA (in maiuscolo nella trascrizione dell’avvocato, ndr)».

Come si svolgono le sue giornate in prigione?

«Ogni giorno è la ripetizione di un altro uguale a se stesso: la conta, l’ora del silenzio, il colloquio con l’avvocato, la conta serale… Come aspettare un treno di cui non si conosce l’orario in una stazione ferroviaria fredda, affollata, stretta».

Che pericolo corre?

«La settimana scorsa, un deputato dell’Akp (il partito del presidente, ndr) ha avvisato: “Ci possono essere delle aggressioni alle carceri, i terroristi potrebbero essere linciati”. Dopo questa minaccia abbiamo avuto davvero paura. È aumentato il numero dei cancelli di ferro, ma più che per proteggerci, per rendere ancora più difficili le nostre uscite! Per cinque notti abbiamo fatto i turni. Domenica è scattato l’allarme, ma mi ci sono talmente abituata che ho continuato a tirarmi le sopracciglia. Per non morire tra le fiamme ho calcolato come potrei facilitare il mio soffocamento… Sono totalmente vulnerabile, come ogni oppositore in Turchia».

Intellettuali di tutto il mondo si stanno mobilitando per chiedere la sua liberazione: pensa che questi appelli possano aiutarla?

«L’arresto mio e di molti altri scrittori e giornalisti è del tutto “politico”, siamo stati messi dentro con un ordine dall’alto, con accuse vuote, senza raziocinio. L’unica modo per venirne fuori è la pressione politica dell’Europa. Naturalmente i leader politici non considerano un problema prioritario la crisi della democrazia in Turchia. L’accordo sui migranti ha messo a tacere l’Europa! Ecco, la responsabilità che ricade sugli intellettuali, gli scrittori, i giornalisti è grande: dobbiamo ricordare all’Europa i valori che fanno di essa l’Europa, e pretenderli».

di Alessandra Coppola
CORRIERE IT