Kobane sotto il fuoco turco, i curdi in una morsa
La Turchia non si ferma; nonostante le intimazioni da parte dei suoi precari padrini vecchi e nuovi, le truppe corazzate inviate dal regime di Erdogan e alcune migliaia di mercenari dell’Esercito Siriano ‘Libero’ armati e addestrati da Ankara continuano a martellare le postazioni delle Unità di Difesa Popolare del Rojava, sferrando ogni tanto anche qualche colpo ai jihadisti di Daesh.
E ieri a essere presa di mira è stata anche la città martire di Kobane; se fino alla sua liberazione da parte delle Ypg la Turchia si era “limitata” a sostenere, rifornire e agevolare i combattenti del Califfato che la assaltavano, ora Ankara ha deciso di intervenire direttamente. E così ieri le forze armate turche hanno utilizzato cannoni ad acqua, lacrimogeni, pallottole di gomma e pallottole vere contro i manifestanti che da quasi una settimana tentano di impedire la costruzione lungo la frontiera di un muro di cemento che separi Suruc da Kobane. L’intervento delle forze armate turche, che hanno varcato il confine con i carri armati e altri mezzi blindati, ha lasciato sul terreno due morti e varie decine di feriti.
Il giorno precedente le forze armate turche avevano già lanciato un’offensiva contro il quartier generale curdo nel nord-ovest della Siria, sparando decine di colpi di mortaio ed artiglieria contro la sede centrale delle Unità di Protezione del Popolo (YPG) ad Afrin, nella regione di Aleppo. Secondo Ali Battal, membro dell’Unione Democratica Nazionale Siriana, gli attacchi turchi mirano a impedire alle YPG e agli altri gruppi – arabi, assiri, cristiani, circassi, turcomanni ecc – riuniti nelle Forze Democratiche Siriane di continuare a cacciare i jihadisti di Daesh e di altre fazioni fondamentaliste dalla provincia di Aleppo. “Dopo aver invaso la città di Jarablus, la Turchia ha cercato di tagliare di vie di rifornimento nella Siria settentrionale, e di impedire a quelle forze di eliminare i terroristi dell’ISIS” ha dichiarato Battal.
Questo mentre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan rinfacciava di nuovo agli Stati Uniti, principale sponsor internazionale dei curdi siriani, che le “organizzazioni terroriste” – cioè le Ypg – non si erano ritirate ad est del fiume Eufrate, come intimato da Ankara e come più volte assicurato da Washington nei giorni scorsi. E per questo, ha tuonato il ‘sultano’, la Turchia non permetterà che si crei “un corridoio del terrorismo” ai suoi confini. “Si dice che si sono diretti verso est, ma è falso, non hanno attraversato” il fiume, ha detto il leader turco in un discorso all’aeroporto Esenboga, nella capitale turca, riferendosi ovviamente alle Unità di protezione del popolo curdo (YPG).
Le forze curde sono in un evidente impasse; forti del sostegno prima statunitense e poi anche russo, hanno svolto un ruolo fondamentale nella liberazione di ampi territori dai tagliagole dello Stato Islamico e anche di altri gruppi fondamentalisti, rafforzando il proprio modello multietnico e confederale. Ma le numerose vittorie delle Ypg e delle Forze Democratiche Siriane, arrivate ad un passo dall’unificazione dei tre cantoni curdi del nord della Siria a maggioranza curda, hanno non solo spinto Ankara a forzare la mano a Washington dando il via ad una invasione più volte rimandata a causa proprio della contrarietà Usa, ma hanno impensierito anche i governi siriano e iraniano.
Praticamente tutti gli attori del conflitto siriano – una ‘guerra civile’ divenuta fin da subito una ‘guerra per procura’ tra potenze regionali e mondiali – temono la costituzione di una sorta di semistato curdo che dal nord della Siria possa espandersi alla Turchia e all’Iran (i curdi iracheni, per ora, sono invece stabilmente vincolati ai non sempre coincidenti interessi di Turchia, Stati Uniti e Israele). E così alcune delle alleanze stabilite negli ultimi mesi sono rapidamente mutate, con la Russia che ha deciso di chiudere un occhio di fronte all’offensiva turca contro i curdi in nome di un avvicinamento col regime turco che potrebbe rompere l’isolamento internazionale che numerosi paesi competitori tentano di imporre a Mosca. Lo stesso dicasi per Washington, che tenta di non perdere la collaborazione dei curdi siriani – unica forza di terra a sua disposizione in Siria dopo il fallimento dei suoi piani rispetto all’Esercito Siriano Libero ormai sotto il ferreo controllo di Ankara – ma anche di non perdere del tutto una alquanto precaria relazione con la Turchia, bastione della Nato in Medio Oriente. In un contesto del genere i curdi siriani si sono ritrovati ad essere un vero e proprio ‘vaso di coccio’ in mezzo a potenti e spregiudicati ‘vasi di ferro’. La scelta da parte della dirigenza del Pyd di cercare di sfruttare la sfrenata competizione tra i vari attori della guerra siriana, alleandosi su fronti opposti con Washington e Mosca per conquistare posizioni sfruttando la propria forza sul terreno, sembra ora subire un pericoloso effetto boomerang di fronte alle capriole di Russia e Stati Uniti.
Ma la tendenza a strafare che contraddistingue il regime islamo-nazionalista turco sia al proprio interno sia sul piano internazionale potrebbe causare presto un ulteriore mutamento dello scenario. La speranza per i curdi è che la spregiudicatezza del regime turco, che sembra non rispettare gli inviti alla “moderazione” – cessando l’invasione della Siria – che provengono da Washington, Mosca, Damasco e Teheran, spinga le varie potenze a mollare Erdogan e forse addirittura a coalizzarsi contro Ankara per bloccarne i piani.
In un suo intervento invece il primo ministro turco ha anche affermato esplicitamente di voler normalizzare i rapporti non solo con l’Egitto – paese in cui finora Ankara ha sostenuto i Fratelli Musulmani, scalzati dal potere da un colpo di stato militare – ma anche con il governo siriano. “Noi abbiamo normalizzato i nostri rapporti con la Russia e con Israele. Al momento, se Dio vuole, la Turchia ha assunto un’iniziativa seria per normalizzare i rapporti con Egitto e Siria”, ha dichiarato Binali Yildirim in un discorso trasmesso in tv.
Da anni la Turchia sostiene le organizzazioni jihadiste e islamiste che combattono contro il governo di Damasco per rovesciarlo, ma negli ultimi tre mesi la posizione di Ankara sembra almeno formalmente mutata, lasciando intendere che Assad possa rimanere al potere in una eventuale fase di transizione verso un regime che includa anche le forze sponsorizzate dalla Turchia.
Da parte sua il presidente russo Vladimir Putin ha affermato nel corso di un’intervista a Bloomberg che Mosca e Washington potrebbero presto raggiungere un accordo di cooperazione per quanto riguarda la Siria. “Secondo me stiamo gradualmente andando nella giusta direzione e non escludo che saremo in grado di accordarci su qualcosa in un prossimo futuro e presentare i nostri accordi alla comunità internazionale”, ha detto Putin. Tra i funzionari russi e americani sono in corso complessi negoziati a Ginevra, che includono anche una eventuale collaborazione militare contro lo Stato islamico e altri gruppi jihadisti attivi nel paese.
Marco Santopadre