Hozat: AKP usa i profughi come strumento di pressione all’esterno contro l’UE e all’interno contro curdi e aleviti
La co-presidente del Consiglio esecutivo della KCK Besê Hozat è intervistata da Med Nuçe TV
La co-presidente del Consiglio esecutivo della KCK Besê Hozat a colloqui con il canale televisivo Med Nuçe TV valuta l’attuale appello del Presidente del Consiglio dei Ministri turco Davutoğlu per un ritiro del PKK, la minaccia del Presidente turco Erdoğan di revocare la cittadinanza a curde e curdi e i piani dell’AKP di insediare profughi nelle zone di insediamento curdo-alevite.
Da oltre un anno nessuno segno di vita del Presidente del PKK Abdullah Öcalan ha più raggiunto l’opinione pubblica. E proprio in questa fase tesa il Presidente del Consiglio dei Ministri turco Davutoğlu ha fatto determinate affermazioni che hanno attirato l’attenzione. Davutoğlu ha dichiarato che con un ritiro del PKK dalla Turchia come nel 2013 potrebbero riprendere i colloqui di risoluzione. In seguito a questo, il Presidente Erdoğan in una dichiarazione ha chiarito che non ci saranno più negoziato e che gli attacchi andranno avanti fino alla distruzione della guerriglia.
Voi come Movimento di Liberazione curdo, come valutate queste dichiarazioni?
Negli ultimi tempi ci sono discussioni come questa. In questo modo si vuole suscitare l’impressione che ci siano diversità di opinione tra Davutoğlu e Erdoğan su questo tema. Proprio come se Davutoğlu fosse più aperto rispetto alla questione curda, mentre il Presidente seguisse un corso più radicale. Cercano di dare un’impressione del genere. Ma noi sappiamo che non si tratta di molto di più che di una recita. Entrambi sulla questione curda sostengono lo stesso punto di vista, entrambi sostengono il corso di negazione e annientamento dell’AKP su questa questione. Già l’invito di Davutoğlu lo rende chiaro. Cosa è successo nel 2013? Anche all’epoca è stato dichiarato che in caso di un ritiro della guerriglia, il governo avrebbe preso misure in direzione di una soluzione della questione curda. Le guerriglia si è ritirata, i passi del governo sono mancati. Così anche nel 2013 era in azione il piano di annientamento dell’AKP. Appena la guerriglia ha iniziato il ritiro, l’AKP ha messo in moto passi per la preparazione della guerra. Ha costruito nuove stazioni militari, costruito cosiddette dighe di sicurezza e ai fini della “sicurezza” ha costruito nuove strade. Ha ampliato il sistema dei guardiani di villaggio. Ha condotto una guerra contro le conquiste del Rojava. L’AKP quindi non ha mai smesso di condurre una guerra.
E nonostante i colloqui di Imrali anche le condizioni del nostro Presidente Öcalan, il partner negoziale principale nella soluzione della questione curda, non si sono modificate in modo sostanziale. Non sono state create le condizioni per garantire in modo sostanziale la sua salute e la sua sicurezza. L’unica delegazione che durante l’intero processo di risoluzione ha potuto avere colloqui con Öcalan era la delegazione dell’HDP. In realtà in quella fase si sarebbe dovuto aprire un canale di dialogo diretto con noi, quindi con Qandil. Questo non è successo. Anche la richiesta che la stampa e la società civile potessero avere colloqui con lui per poter rendere il processo più comprensibile per l’opinione pubblica, non ha avuto seguito. Una forza terza, indipendente, doveva seguire il processo di soluzione. Anche questo non è stato messo in pratica da parte del governo. Tutti i colloqui non aveva un carattere ufficiale. Non sono stati registrati. Non ci sono documenti firmati congiuntamente da Öcalan e dai rappresentanti dello Stato.
Öcalan aveva chiesto questo nel processo di risoluzione?
Sì, certo. Sia Öcalan che noi avevamo richieste di questo genere perché i colloqui avessero una natura che fosse di tipo vincolante. Ma il governo non ha reagito a nessuna di queste richieste. Perché? Perché non era in corso in processo di soluzione reale. Non era un processo di soluzione, era una politica del prendere tempo, una politica di annientamento. Questo lo provano i contemporanei preparativi di guerra del governo. L’attuale guerra quindi veniva preparata da anni da parte dell’AKP. L’AKP in nessun momento aveva un reale progetto di soluzione per la questione curda. Anche oggi non ha un piano del genere. La sua politica è di allargare con la guerra la politica di annientamento.
Ora alcuni dicono che il PKK si dovrebbe arrendere e deporre le armi. Erdoğan dice, “o abbassano la testa o perdono le loro teste.” Davutoğlu in effetti dice la stessa cosa. “Se vi arrendete, possiamo di nuovo avere colloqui”. Che tipo dialogo dovrebbe esserci se noi ci arrendiamo. Dal nostro punto di vista queste affermazioni non sono da prendere sul serio. In due anni di dialogo il governo non compiuto alcun tipo di passaggio. Poi nell’ottobre 2014 c’è stata una riunione del Consiglio di Sicurezza della Turchia. Lì è stato decido che dovevano essere di nuovo condotti attacchi aerei contro il Movimento di Liberazione curdo. Anche le operazioni di arresto sono riprese con questa riunione. Poi ci sono stati anche gli attentati di Suruç e Ankara che sono stati fatti in coproduzione con il cosiddetto Stato Islamico. Il piano di annientamento quindi è stato pienamente riavviato. L’attuale distruzione delle città curde è il proseguimento di questo piano. I massacri genocidi che sono stati fatti contro la popolazione curda negli anni di fondazione della repubblica turca, con il governo dell’AKP si ripetono in una forma nuova.
Cosa dice a proposito delle dichiarazioni di Erdoğan secondo le quali ai curdi potrebbe essere tolta la cittadinanza?
Questa in effetti è un’affermazione estremamente ironica. Perché le curde e i curdi non stati mai cittadini effettivo della Repubblica di Turchia. Non sono mai stati accettati come veri cittadini di quel Paese.
I turchi e curdi in Turchia vengono forse trattati nello stesso modo? C’è una cittadinanza con pari diritti nel Paese?
Le persone state sempre confrontate con dei massacri. Venivano messe in carcere. Sono state esposte a un genocidio culturale, politico e economico. La povertà in Kurdistan anche oggi parla da sé. I curdi non trovano lavoro, riescono appena a guadagnarsi il proprio sostentamento. Quando trovano lavoro, lavorano in condizioni prive di dignità, che corrispondono alla schiavitù. Dove si può qui parlare di cittadinanza con pari diritti. Nel Kurdistan settentrionale si parla di 20 milioni di curde e curdi. Ma la loro esistenza, la loro lingua, la loro cultura vengono negate. Parlare di cittadinanza in queste condizioni è assurdo.
Cosa dice sui tentativi del governo di modificare l’assetto demografico nelle zone di insediamento curde? In particolare nella città di Maraş infatti piani del genere sono stati resi noti dai media.
Questo dipende strettamente dalla politica dei profughi dell’AKP. L’AKP ha contribuito attivamente all’intensificazione della guerra in Siria e così contribuito al flusso di profughi. Ha aperto in confini per le persone in fuga. Ora usa in profughi verso l’esterno come strumento di pressione contro l’UE. Verso l’interno cerca di usare i profughi contro i curdi. Questi piani di scacciare la popolazione curda dal Kurdistan non sono nuovi. Da cento anni questi piani sono parte di una politica dello Stato. Ma non è mai stato possibile attuare i piani con successo, perché c’è sempre stata resistenza. Ora il governo punta su una grande guerra contro i territori di insediamento curdi e in questo modo cerca di spingere la gente alla fuga. Al posto degli espulsi si vogliono poi insediare profughi dalla Siria. Molti profughi che dovrebbero essere insediati in Kurdistan sono seguaci di IS. Lo Stato turco vuole costruire campi per questi simpatizzanti di IS in Kurdistan e da lì avere accesso a una riserva di combattenti e agenti.
I curdi non hanno problemi con persone arabe o afgane. Al contrario, sono pronti a convivere in pace con persone appartenenti a qualsiasi popolo. Perché i curdi non sono una popolazione nazionalista. Il problema sono i piani del governo dell’AKP. Insedia consapevolmente simpatizzanti di IS nelle regioni in cui vivono curdi aleviti. Vuole far combattere IS in Kurdistan contro gli aleviti. Il piano a Maraş è di produrre uno scontro tra sunniti e aleviti. Quindi non si tratta solo di un problema della popolazione locale di Maraş. È un problema di tutti gli aleviti. Il governo pianifica una politica genocida nei confronti degli aleviti. A questo gli aleviti devono opporre resistenza, devono sollevarsi. Tutti i curdi devono sollevarsi. Il governo dell’AKP abusa del movimento di profughi per scopi pericolosi.