Report della delegazione in Shengal: La verità sul massacro di Shengal
Il 3 agosto 2014 ISIS ha attaccato Shengal, città incastonata nell’omonima regione montuosa nell’Iraq orientale e da sempre abitata da gli Ezidi, una popolazione depositaria di una cultura millenaria Tutto il mondo è venuto a conoscenza del massacro compiuto da Daesh che ha provocato migliaia di morti, decine di migliaia di persone in fuga, rapimenti di donne e bambini venduti come schiavi sessuali nei mercati di Mosul e Raqqa.
La verità attorno a quello che l’ONU ha definito “genocidio” è rimasta nascosta alla maggior parte dell’opinione pubblica occidentale. Quella stessa verità che è scolpita nelle menti delle vittime e di coloro che hanno combattuto per la liberazione di Shengal e dei villaggi limitrofi.
Abbiamo intervistato il comandante delle YBŞ (Unità di resistenza di Shengal) Serxwebun Azadi, uno dei combattenti in prima linea per la liberazione di Shengal, che ha dipinto descritto lucidamente chi sono stati i mandanti ed il disegno sotteso a questo massacro.
Quando è stato deciso di perpetuare lo sterminio degli Ezidi di Shengal?
Il 3 Giugno 2014 nella città di Amman, in Giordania, si sono riuniti i rappresentanti di Gran Bretagna, Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita, Qatar, Bahrein, Turchia, Iran, Iraq, per definire un progetto di spartizione territoriale del Medio Oriente e di sfruttamento delle sue risorse strategiche.
La strategia non presentava alcun elemento di novità: creare, finanziare ed armare dei gruppi terroristici con lo scopo di destabilizzare gli Stati obiettivo della spartizione, ossia Siria e Iraq, terrorizzando e distruggendo intere popolazioni. Creare così la minaccia per poi potersi presentare come liberatori e portatori di democrazia. Questa è la nuova formula del colonialismo contemporaneo. A quella stessa riunione era presente Massoud Barzani, presidente del governo regionale del Kurdistan iracheno.
Che cosa intendi per progetto di spartizione del Medio Oriente?
L’intenzione era quella di dividere l’Iraq in tre distinte aree, rispettivamente sotto il controllo di sunniti, sciiti e curdi. La Siria avrebbe dovuto essere spartita allo stesso modo. Tale divisione sarebbe stata lo strumento per gli Stati-nazione stranieri per controllare e sfruttare l’area della Mesopotamia attraverso governi fantoccio e corrotti. In particolare, in questo disegno criminale, Barzani vedeva l’opportunità di estendere il proprio dominio sul Rojava (Nord della Siria), creando così un Kurdistan alleato della Turchia e sostenuto dall’Occidente in cambio dello sfruttamento delle risorse petrolifere.
Una giovane Ezida sfuggita alle bande di Daesh ha testimoniato che gli abitanti di molti villaggi non erano fuggiti alla notizia dell’arrivo delle milizie del califfato perché rassicurati da ufficiali Peshmerga (soldati curdi alle dipendenze di Barzani): sarebbero stati loro a dire alle autorità Ezide che Daesh sarebbe passata per le loro terre con il solo scopo di entrare in Siria, senza conseguenze per la popolazione civile. Lei stessa ha raccontato che lei e gli altri abitanti del suo villaggio erano stati salvati dal PKK. Puoi confermare questa versione?
La ragazza Ezida dice il vero. Del resto, questo comportamento connivente è pienamente coerente anche con la facilità con cui Daesh ha conquistato Mosul. La città è caduta senza essere minimamente difesa e i Peshmerga hanno abbandonato le loro armi e mezzi militari al nemico. In qualsiasi esercito del mondo questo atto sarebbe stato punito dai tribunali militari, mentre nel caso dei Peshmerga non c’è stata alcuna conseguenza. Essi stavano infatti obbedendo ad ordini ben precisi. La distruzione del popolo Ezida significava non solo permettere a Daesh di entrare in forze in Siria e terrorizzare il mondo con la propria forza militare, ma anche sradicare un popolo che non rientrava nei piani di divisione e colonizzazione stabiliti ad Amman.
I curdi del Rojava, del Bakur (sud est della Turchia), così come gli Ezidi, sono portatori di una cultura e di una visione di convivenza pacifica tra i popoli che in alcun modo poteva essere assimilata nel progetto coloniale in atto. Del resto, anche l’esclusione dalla conferenza di pace di Ginevra dell’amministrazione autonoma democratica del Rojava è coerente con questa strategia.
Le tue affermazioni sono molto pesanti. Cosa hai visto combattendo a Shengal che supporta l’esistenza di un accordo di questo tipo?
Dopo la caduta di Mosul i combattenti del PKK avevano compreso l’urgenza di difendere la zona di Shengal, sia perché strategica, sia e soprattutto perché conoscevano le caratteristiche degli Ezidi, da sempre un popolo pacifico e completamente inerme di fronte ad un attacco militare. Per questo motivo il PKK ha chiesto l’autorizzazione prima a Barzani, poi al PUK (il secondo partito del Kurdistan iracheno guidato da Talibani), per poter inviare mille guerriglieri a difendere Shengal. Nessuno dei due ha permesso alle forze del PKK di intervenire. È stato dunque deciso di inviare 15 combattenti che, passando dal confine siriano, avevano il compito di raggiungere Shengal e organizzare la fuga e portare in salvo la popolazione civile. Quei 15 combattenti si sono trovati a dover attraversare di notte la striscia di terra di cento metri che divideva le trincee di Daesh da quelle dei Peshmerga. Tra queste due forze non vi era alcun combattimento. Quando i Peshmerga hanno compreso il tentativo in atto, hanno tentato di bloccare i combattenti del PKK riuscendo ad arrestarne tre. Solo dodici sono riusciti ad arrivare a Shengal per avvertire la popolazione civile e difendere la retroguardia della colonna di persone in fuga. I tre combattenti arrestati sono stati torturati e tenuti in carcere per dieci giorni a Duhok (Nord dell’Iraq). Il corridoio umanitario organizzato dal PKK ha permesso di salvare da morte certa e dalla schiavitù migliaia di Ezidi.
Arrivando qui abbiamo visto diverse postazioni militari sia delle Unità di resistenza dello Shengal sia del PKK sia dei Peshmerga. Com’è il rapporto fra queste diverse forze?
Solo il PKK, YPG e YPJ hanno combattuto nelle trincee in prima linea a Shengal PKK, dalle YPG e YPJ. Anche la popolazione civile è consapevole di questo e la maggior parte degli Ezidi non ha più alcuna fiducia nei confronti dei Peshmerga che li ha abbandonati nelle mani di Daesh. Ugualmente, il popolo sa che acquirenti delle donne vendute al mercato come bestie sono stati anche occidentali, e nessuno potrà dimenticare gli orrori subiti. Per questo molti giovani Ezidi, uomini e donne, sono entrati a far parte nelle neo-costituite unità di resistenza di Shengal (YBS). I Peshmerga, seguiti da Maslum Barzani in persona, sono entrati in città solo quando le milizie di Daesh erano state sconfitte e scacciate fuori dal centro abitato.
Tuttavia la liberazione di Mosul rimane un obiettivo prioritario ed è necessario collaborare con tutte le forze in campo contro il nemico comune. In questo momento noi stiamo combattendo sulla strada verso Mosul e liberiamo terreno ogni giorno. Sono certo che anche quando Mosul sarà liberata, le forze Peshmerga se ne attribuiranno il merito davanti ai media mainstream occidentali, ma ottenere il merito della sconfitta di Daesh davanti alle telecamere non è il nostro obiettivo.
Come vedi il futuro di Shengal?
L’unico nostro obiettivo è che il popolo Ezida si autodetermini in maniera autonoma e viva liberamente senza per questo distaccarsi dall’Iraq e dal Governo regionale del Kurdistan Iracheno con intenti secessionisti. Se qui si diffonderanno i principi del confederalismo democratico, un sistema democratico orizzontale di convivenza democratica tra tutte le comunità, allora esso potrà diffondersi in tutto il Bashur. Shengal rimane ancora oggi un’area strategica e pertanto a rischio. L’unica forza possibile è quella che deriva dalla collaborazione tra tutti i popoli. Ebrei, armeni, caldei, sunniti, sciiti, assiri, curdi, arabi, ciascuna etnia, religione e cultura che vive in questi territori devono poter vivere in maniera autonoma nel rispetto reciproco. Questa è l’unica strada per un futuro di pace e di libertà.
Coordinamento Toscano per il Kurdistan
Carovana per il Rojava – Torino