La guerra per mantenere il potere contro la volontà della popolazione
L’ordinamento politico e la spartizione economica del 20° secolo hanno iniziato a disfarsi con la sua fine. Ora viene accelerata la lotta per l’ordine e la spartizione del 21° secolo nel Vicino e nel Medio Oriente. Qui la politica mondiale attualmente si concentra in particolare sulla Siria. La lotta nella e intorno alla Siria caratterizzerà il Vicino e Medio Oriente. Per questo la Siria oggi ha un significato strategico per tutte le parti coinvolte.
La Turchia, l’Iran e la Siria sostengono lo status quo seguito all’accordo di Losanna del 1923. Anche il nuovo Iraq federale non ha ancora pienamente accettato la sua nuova identità. Il rapporto tra curdi e arabi, quindi tra Hewlêr (Erbil) e Bagdad è ancora critico. D’altra parte non funzionano più le strutture centralistiche dello stato che sono state costruite solo su base etnica, confessionale. Per questo la Turchia, l’Iran, la Siria, ma anche l’Iraq, sono bloccati uno stato di crisi permanente. Nel caso della Turchia questa crisi è ancora più marcata. Da un lato per via della lotta curda per l’autodeterminazione, dall’altro, perché la Turchia fa parte della NATO ed è candidata all’ingresso nell‘UE, il che comporta ulteriori impegni da punto di vista di una decentralizzazione come presupposto per un’economia di mercato neoliberista.
Gli USA vedono una soluzione per la regione nel fatto d i suddividere gli stati dell’accordo di Losanna in unità ancora più piccole, secondo appartenenze religiose ed etniche secondo l’esempio dell‘Iraq, che tutt’ora non funziona.
I curdi sono per la decentralizzazione della Turchia, dell‘Iran, della Siria e per l’autonomia democratica. Detto in parole povere questo significa per esempio che la Turchia, l‘Iran e anche la Siria vengono rinnovate in strutture federali democratiche, consentendo in modo esteso l’autogoverno a livello locale. I curdi per parte loro hanno progetti chiari rispetto all’autogoverno locale nelle zone di insediamento curde. Tuttavia non limitano la loro alternativa solo al Kurdistan, ma la propongono per l’intera Turchia, dato che la Turchia presenta un’immensa varietà a livello etnico, culturale e religioso che per dispiegarsi liberamente ha necessità di strutture autonome di autogoverno a livello locale. Lo stesso vale per Iran, Siria e anche per l‘Iraq. Inoltre l’idea di partenza del progetto curdo è di realizzare un cambiamento all’interno dei confini statuali esistenti che a livello internazionale non comporta grandi problemi né a livello giuridico né politico.
Il modello futuro di una Siria democratica è già radicata nel Rojava (curdo per »occidente«). Questo vuol dire che parliamo di una soluzione istituzionalizzata che non può più essere revocata. Ora la lotta curda in Siria sarà per il riconoscimento del Rojava come parte della futura Siria democratica. In questo Rojava è stato costruito un modello di autogoverno che oggi è molto visibile e trova ascolto a livello internazionale.
La lotta per soluzioni e modelli verrà decisa soprattutto in Siria. In parole povere, finora si tratta di tre strategie:
– il mantenimento delle strutture statuali centralistiche come sono state esposte nell’accordo di Losanna (Turchia, Iran, Siria);
– la spartizione degli stati esistenti in unità ancora più piccole (USA e alleati);
– l’autonomia democratica die curdi come parte di strutture decentralizzate.
Rispetto alla domanda su come si andrà avanti, bisogna mantenere l’attenzione sulla Siria. La Siria, data la presenza delle potenze sia globali sia regionali, attualmente è avanzata fino nel centro della politica mondiale. Con le sue differenze e i suoi conflitti a livello politico, sociale e religioso, rappresenta un prototipo per l’intero Vicino/Medio Oriente. Una soluzione qui, avrà effetti sugli altri paesi della regione. Visto da vicino, si nota che Al-Qaeda, Daesh, Al-Nusra, Ahrar al-Sham, ovvero gruppi sunniti, si concentrano qui e reclutano altri miliziani per la loro lotta a livello mondiale. Questi ricevono denaro in quantità impensabili. L’autonominato Stato Islamico (IS) si estende dall’Iraq e Kurdistan irakeno (curdo »başûr« per »sud«, Kurdistan meridionale) fino alla Siria e al Rojava. È stata eletta sua capitale la città siriana di Raqqa. Questi gruppi faranno di tutto, da un lato per mantenere il potere, dall’altro per espanderlo.
Accanto all‘Islam sunnita (Arabia Saudita, Qatar) anche l’Islam sciita (Iran, Iraq, Siria, Libano ecc.) si concentra sulla Siria. Proprio come quello sunnita, l’Islam sciita è consapevole del fatto che il potere in Siria sarà determinante per lo sviluppo all’interno della regione. Il conflitto sunnita-sciita vecchio di quasi 1400 anni qui è un terreno di coltura per conflitti e guerre. Sotto questo pretesto hanno già perso la vita in centinaia di migliaia. Questo conflitto è ancora oggi uno strumento importante per strumentalizzare la fede delle persone ai fini delle lotte di potere.
La Siria ha un significato centrale anche per la Turchia e curdi. Per i curdi non si tratta solo di combattere per i propri interessi, ma di sviluppare attraverso la soluzione della questione curda in Siria, un modello per un intero paese e in questo modo anche per l’intera regione. La strategia curda viene definita »Siria democratica –Rojava autonomo/Siria settentrionale«. Rojava quindi non significa che solo i curdi ottengono i loro diritti.
Anche per gli USA la Siria ha un grande significato. Dopo l’Afghanistan, Iraq, la Tunisia ecc. Hanno bisogno di un successo nella regione. Non da ultimo per via delle prossime elezioni presidenziali. In Siria gli USA vogliono portare al successo il loro Greater Middle East Project. La Siria è l’ultimo bastione arabo che è riuscito a mantenersi in piedi negli ultimi cinque anni nonostante una guerra sanguinosa, centinaia di migliaia di vittime, milioni di profughi, città e infrastrutture distrutte. Questo non c’entra solo con l’appoggio della Russia e dell’Iran, ma anche con il ruolo della Siria soprattutto dopo la seconda guerra mondiale. È stata sempre nota come avanguardia del mondo arabo.
Fine della guerra per procura – nuova tappa nella guerra in Siria
USA, Francia, Regno Unito, Germania, Russia, Iran, Turchia, Arabia Saudita, Qatar, per citare solo alcuni, si concentrano sulla Siria. Con gli attacchi brutali e disumani a Parigi del 14 novembre 2015, singoli paesi europei si sono dichiarati disponibili a una partecipazione diretta nella guerra. Dal 2011 molte di queste potenze hanno condotto le loro guerre per procura. Ora tutti entrano in campo direttamente. Questo è uno sviluppo nuovo e indica tempi molto più difficili e complessi in Siria. Per questo la Siria è diventata un centro strategico importante per tutti. Chi vince qui sarà determinante nel Vicino/Medio Oriente.
La Turchia perde nel Rojava
Dopo che le Unità di Difesa del Popolo e delle Donne (YPG/YPJ) hanno ottenuto grandi successi nella lotta contro IS, soprattutto la Turchia ha dovuto accettare pesanti perdite politiche. Del confine lungo 900 km tra Turchia e Siria, ovvero tra Rojava e Bakûr (curdo per »nord«), 800 km sono sotto il controllo delle YPG/YPJ. La crisi attuale tra la Turchia, i curdi, gli USA e la Russia, riguarda i restanti 100 km, ossia Cerablus (Jarablus). Cerablus significa che si tratta della regione che divide tra loro i cantoni di Kobanê e Afrîn, ma anche della linea di confine ancora aperta, attraverso la quale Daesh riceve sostegno dalla Turchia. Con l’abbattimento del jet russo, la Turchia intendeva soprattutto generare un conflitto tra la Russia e la NATO, da un lato per prendere tempo, dall’altro per rispondere all’offensiva russa che in alcune zone strategiche viene condotta anche contro gli interessi della Turchia, in particolare nella zona dei turkmeni che vengono sostenuti dalla Turchia.
Inoltre la riconquista delle zone Al-Hol nel Rojava, che confinano con il Kurdistan irakeno, soprattutto con Şengal (Shengal), è stata un importante successo curdo per isolare ulteriormente Daesh. A seguito dell’offensiva di Al-Hol, la liberazione della città di Şengal ha potuto procedere in modo più semplice.
L’agire politico comune di Turchia, Arabia Saudita e Qatar, per contrastare le perdite nel Rojava, è stata di organizzare una conferenza della presunta opposizione siriana a Riad. A questa sono stati invitati rappresentanti di Jabhat al-Nusra e Ahrar Al-Sham, mettendo in dubbio la legittimità dell’incontro, dato che entrambe sono sulla lista delle organizzazioni terroristiche dell‘ONU. Inoltre entrambi i gruppi negli ultimi anni hanno condotto una guerra brutale nel Rojava. Con questo incontro la Turchia, insieme a Arabia Saudita e Qatar, voleva rispondere alla Conferenza della Siria Democratica che si è svolta nello stesso periodo con successo nel cantone di Cizîrê e con una grande partecipazione di rappresentanti arabi, curdi, turkmeni, armeni e ceceni, ma anche con molte organizzazioni di donne. Non ci sono riusciti, dato che i più importanti gruppi dell’opposizione araba e di tribù arabe, così come altri rappresentanti di gruppi sociali della Siria, hanno discusso insieme ai curdi della futura Siria. Inoltre questa conferenza si svolta nel territorio statale del cantone di Cizîrê, mentre l’alta si è tenuta all‘estero.
La vendetta di questo fronte è stata brutale: due giorni dopo la proclamazione del Consiglio Democratico della Siria a Dêrik (Al-Malikiya nel Rojava), tre esplosioni di Daesh hanno portato alla morte di 28 persone nella città di Til Temir nel Rojava.
La Turchia perde anche nel Bakûr
Per i curdi »la battaglia per la Siria« sarà altrettanto vitale. O qui riescono a imporre la loro alternativa Rojava, o perdono di nuovo un secolo.
Dato che però la Turchia rappresenta il più grande pericolo per gli interessi curdi, è importante spingere il governo dell‘AKP, soprattutto Erdoğan, in modo ancora più intensivo a una soluzione politica della queste curda.
La lotta di Öcalan e del PKK negli ultimi tre anni per tematizzare la questione curda nel parlamento turco e poi spianare la strada attraverso una modifica costituzionale, dalla parte curda ha raggiunto un apice politico. Il 28 febbraio la delegazione di Imralı del Partito Democratico die Popoli (HDP) insieme al governo turco, ha annuciato l’accordo in dieci punti di Dolmabahçe. In precedenza, tra Öcalan, PKK, AKP e governo si era negoziato su questo per mesi. Nei dieci punti era anche prevista la concessione dell’autonomia democratica per la Turchia come passo per la decentralizzazione. L’HDP aveva quindi concentrato il suo programma elettorale in modo esplicito su diversi punti dell’accordo di Dolmabahçe. La decentralizzazione era una rivendicazione fondamentale per la democratizzazione del paese.
Poco dopo la dichiarazione dell’accordo di Dolmabahçe, il presidente turco Erdoğan ha dichiarato che non era valido. Ha ricevuto la risposta a questo con la storica vittoria dell’HDP nelle elezioni parlamentari del 7 giugno, ha acquisito voti grazie al suo programma elettorale. La parola d‘ordine »Non ti lasciamo diventare presidente!« non era solo una critica a Erdoğan, ma all’idea di presidente come autocrate detentore di potere. L’idea di Erdoğan era la centralizzazione assoluta del potere in un’istituzione, nella fattispecie nel presidente.
Dopo le elezioni di giugno è stata avviata la pianificazione da parte dello stato degli attacchi dinamitardi di Pirsûs (Suruç) e Ankara, l’arresto di politici curdi, gli attacchi a circa 200 sedi di partito dell‘HDP: l’aggressione dello stato che allo stesso tempo risultava dalla paura per il fatto che i curdi con la loro autonomia democratica stavano facendo sul serio.
Poco dopo le elezioni di novembre, le città capoluogo, più tardi le città più grandi, con il motto »vogliamo amministrarci da soli« hanno iniziato la proclamazione dell’autonomia democratica nel Bakûr.
Quando poi sono stati arrestati e condannati all’ergastolo diversi sindaci e attivisti che hanno preso parte alla proclamazione, uccisi civili, impiegati carri armati e elicotteri contro civili, i giovani curdi delle YDG-H si sono impegnati per la necessaria difesa della popolazione civile. Per la prima volta nella storia della repubblica turca, lo stato non ha avuto accesso politico ai territori curdi. Invece di politici, hanno mandato in Kurdistan carri armati, soldati, unità speciali, poliziotti, elicotteri e questo in una misura tale che non c’era stata neanche negli anni ‘90. Questa è una situazione nuova nel Bakûr.
Né tre anni di trattative tra Öcalan, PKK e AKP, né i cessate il fuoco del PKK hanno indotto lo stato turco a un cambiamento politico. E questo nonostante il fatto che sia Öcalan sia il PKK avessero accettato ampi compromessi per una soluzione della questione curda. Quindi non ci si può più aspettare che i curdi, nel momento in cui per loro nel Vicino/Medio Oriente sono aperte molte possibilità, si lascino fermare dall‘AKP. L‘AKP cerca di impedire loro di partecipare alla politica del Vicino/Medio Oriente per decidere del loro status politico e giuridico irrisolto. Ma non è accettabile che un politico o un sindaco eletto vengano condannati all’ergastolo solo perché hanno letto una dichiarazione di autonomia democratica. E non può neanche essere che vengano uccisi civili perché hanno preso posizione in favore della rivendicazione di autonomia democratica per il Bakûr. E non ci si può nemmeno aspettare dai curdi che accettino che un giurista pacifista come Tahir Elçi, che ha solo detto pubblicamente »il PKK non è un’organizzazione terroristica«, venga assassinato davanti a una telecamera accesa.
La sconfitta turca nel Rojava e in Bakûr porta all’espansione nel Başûr
Sia il successo dei cantoni del Rojava che la nuova resistenza nel Bakûr, hanno acuito la crisi di governo dell‘AKP, cosa ripercuote con effetti sempre più brutali nell’allargamento della violenza dello stato. I curdi nel Rojava e anche nel Bakûr hanno messo un freno all‘AKP e a tutti i suoi sogni e piani espansionistici in Siria e Rojava. Inoltre la sfiducia nei confronti dell‘AKP che è a livello internazionale è in aumento, ha ulteriormente messo alle strette la sua politica.
Con il trasferimento di soldati turchi a Bashiqa, una città vicina a Mûsil (Mossul) nel Kurdistan irakeno, la Turchia cerca una nuova via d’uscita da questa crisi e sconfitta. Non può convincere nessuno del fatto che vuole combattere Daesh in Iraq, dato che le sue azioni in Siria e nel Rojava dimostrano il contrario. Attraverso Mûsil in un primo momento si intende raffozare Daesh, Al-Nusra, Ahrar Al-Sham, che sono stati indeboliti nel Rojava, nell’ambito della nuova formazione Hashdi al-Watani (Esercito Popolare Nazionale). La presa di Mûsil non sarà difficile per loro, dato che la Turchia insieme a Daesh arabo sunnita, già nel giugno dello scorso anno ha partecipato attivamente a far cadere la città. In questo parla anche per Arabia Saudita e Qatar, i cui interessi consistono nel contrastare attraverso Hashdi al-Watani la presenza di Al-Hashd al-Shaabi (Esercito del Popolo) [sciita], per salvaguardare gli interessi sunniti. Per la Turchia, accanto a Mûsil, anche Kêrkuk ha un significato storico. Nell’ambito dell’accordo di Losanna entrambe le regioni erano state promesse agli arabi, cosa che la Turchia non ha mai accettato. Nell’ambito del Misak-ı Millî turco del 1920 (Patto Nazionale), Mûsil e Kêrkuk vengono ancora considerati territori della Turchia. Quindi da un lato per la Turchia si tratta anche di riportare territori sotto il controllo turco-sunnita, dall’altro da qui avvierà attacchi contro il Rojava, dato che la regione di Mûsil confina con il Rojava. Inoltre con il rafforzamento della sua presenza militare nel Kurdistan irakeno si muoverà verso le basi del PKK e attaccherà lì, perché gli attacchi aerei sulle postazioni del PKK nella parte settentrionale del Başûr dal 24 luglio non hanno prodotto successi.
Naturalmente a questo punto è necessario analizzare anche il ruolo delle forze curde del Başûr. Da quando non funzionano più né il parlamento né il governo di Erbil, la politica del paese è di nuovo contesa tra PDK e YNK (Partito Democratico del Kurdistan e Unione Patriottica del Kurdistan). Dall’assalto di Daesh a Şengal nel 2014, il PDK non è più riuscito a ripulire la sua immagine ammaccata. È noto che i peşmerge non hanno combattuto contro Daesh e che sarebbe stata a rischio la vita di centinaia di migliaia di curdi yezidi, se non fossero intervenute le forze guerrigliere del PKK. Questa esperienza è rimasta come un trauma nella memoria della popolazione. Anche la liberazione della città di Şengal a novembre non ha posto rimedio a questo, dato che è avvenuta oltre che grazie ai peşmerge del PDK, grazie alla guerriglia del PKK e con il sostegno dell’aviazione USA.
L’itinerario del Presidente della Regione Autonoma del Kurdistan KRG, Mesud Barzanî, prima Riad, poi Ankara, e la contemporanea visita di Erdoğan nel Qatar, hanno suscitato nuovi interrogativi e nuove preoccupazioni nella politica e nella popolazione curda. In questo lasso di tempo si è parlato anche dei soldati turchi a Mûsil. Direttamente o indirettamente, gli interlocutori del signor Barzanî nel suo viaggio non sono amici del popolo curdo.
Come contromossa il governo centrale di Baghdad ha portato Ankara davanti Consiglio di Sicurezza dell’ONU per la violazione della sovranità nazionale irakena. Mentre il PDK legittima la presenza dei soldati turchi a Mûsil per combattere Daesh, YNK e Goran si schierati contro [il PDK], chiedono il loro ritiro e nel farlo si schierano dalla parte di Baghdad. Inoltre deputati YNK e Gorran ora hanno presentato una richiesta al parlamento irakeno che contiene un riconoscimento del PKK come forza che combatte contro Daesh. Il PKK accusa la Turchia di occupazione del Kurdistan irakeno e chiede il ritiro immediato.
La politica curda ora si trova davanti a una sfida nuova e grande. Una polarizzazione tra il campo sunnita e quello sciita sicuramente nuocerà agli interessi curdi. Per questo la strategia di successo della terza via che Öcalan aveva messo all’ordine del giorno per il Rojava e che qui è stata praticata con successo, è di vitale importanza proprio adesso anche per il Başûr. Dato che sia PDK che YNK per via della rispettiva politica di alleanze con la Turchia e l’Iran hanno pochi margini di manovra, sul PKK qui ricade una grande responsabilità. E di nuovo si avvera la previsione di Öcalan: »I curdi nella lotta di potere tra sunniti e sciiti hanno bisogno di una politica unitaria che va decisa in un congresso nazionale curdo come strategia nazionale.« Sia per gli sciiti che per i sunniti, nel Rojava come nel Başûr, il punto è l’assedio e dell’occupazione del Kurdistan. Che la Russia si schieri dietro al fronte sciita e gli USA dietro quello sunnita, i curdi e tutti gli altri gruppi etnici si schierano per la libertà e la sicurezza. Nella lotta per il potere dei grandi, i curdi non devono fare nuovamente l’errore e prendere partito per una parte. Piuttosto, proprio come nel Rojava, nelle loro relazioni con le potenze regionali e globali devono concentrarsi sulla pace duratura nella forma delle loro proposte di soluzione. Perché se noi curdi partecipiamo a queste lotte di potere schierandoci da una parte, prolungheremo la durata della guerra e come nel 20° secolo diventeremo di nuovo uno strumento per la politica mondiale.
Per questo il PKK deve imporre la sua strategia della terza via anche nel Başûr, cosa che sarebbe nell’interesse di tutti. In questo senso la carta curda, contrariamente al suo ruolo destabilizzante nel 20° secolo, ora può essere giocata come un jolly stabilizzante. Perché a parte i curdi, nessuna delle forze ha migliori possibilità di aprire ora un nuovo capitolo per la pace nel Vicino/Medio Oriente. Su di noi grava una grande responsabilità. Per questo il sostegno ai curdi non ha solo un significato regionale, ma globale. Non dobbiamo sfruttare nessuna parte del Kurdistan contro un‘altra, offrendo in questo modo occasioni ai guerrafondai. L’unità nazionale oggi è importante tanto per gli interessi internazionali quanto per la pace e la stabilità. Nel Rojava abbiamo dimostrato che siamo consapevoli della nostra responsabilità e che abbiamo tratto insegnamenti dai nostri errori nel 20° secolo. Ora si tratta di condurre questa lotta più all’offensiva anche nel Başûr per sbarrare le porte del Kurdistan a coloro i quali sono favorevoli alla guerra.
Nilüfer Koç, Co-Presidente del Congresso Nazionale del Kurdistan, Kurdistan Report Nº184