A Roma, con il cuore a Suruc
Nella Capitale si è tenuto un presidio per condannare l’attentato del 20 luglio, nel Kurdistan turco, nel quale sono morti 32 ragazzi. I giovani stavano per andare nel Rojava per contribuire alla ricostruzione di Kobane
Cahide è vestita di nero. È inginocchiata a terra e con cura, senza fretta, dispone dei fiori intorno alla foto che ritrae alcuni dei ragazzi curdi uccisi il 20 luglio a Suruç, nel Kurdistan turco. Anche lei è venuta in piazza della Repubblica a Roma per partecipare al presidio organizzato da Uiki Onlus e Rete Kurdistan in sostegno alle vittime del Centro culturale di Amara. «Tutto il popolo curdo è la mia famiglia – spiega – e io oggi ho perso la mia famiglia».
Con lei in piazza ci sono un centinaio di persone: curdi, italiani, attivisti e gente comune, tutti riuniti per denunciare quanto accaduto nella città al confine con la Siria dove un kamikaze si è fatto esplodere, uccidendo 32 giovani e ferendone altri 100. Le vittime facevano parte della Federazione delle associazioni della gioventù socialista che aveva riunito trecento persone (quasi tutti sotto i 30 anni) per una missione di ricostruzione a Kobane, in Rojava, nel Kurdistan siriano.
Le autorità turche non avevano però dato ai ragazzi il permesso di passare al di là della frontiera e loro si erano quindi riuniti nel Centro culturale di Amara, a Suruç per una conferenza stampa. Il kamikaze si è fatto esplodere in quel momento, facendo una strage.
In piazza a Roma ci sono striscioni, bandiere con i colori del Kurdistan e altre con il volto di Abdullah Őcalan, leader del PKK, arrestato nel 1999 e detenuto nel carcere di Imrali.
Tra la folla c’è anche Nazire: è in Italia da due anni e viene proprio da un villaggio vicino a Suruç. I ragazzi che sono morti erano poco più grandi di lei. «Oggi siamo qui perché alcuni dei nostri amici sono stati uccisi. Loro non erano dei terroristi, volevano solo dare una mano a ricostruire Kobane, avevano anche portato dei giocattoli per i bambini. Siamo qui per dire che noi siamo con loro, che siamo la loro voce».
Quella del Centro culturale Amara non è una scelta casuale: tutti coloro che in questi mesi sono arrivati nel Kurdistan turco per andare in Siria e portare aiuto a Kobane sono passati da lì. Si tratta di un centro logistico importante che, con il passare del tempo, è diventato anche un luogo carico di significato, come spiega Amedeo Ciaccheri, attivista del Csoa La Strada, nel suo discorso alla piazza: «Ieri e oggi in tutto il mondo si stanno svolgendo momenti di solidarietà, presidi e manifestazioni che riuniscono coloro che in questi mesi ha collaborato all’esperienza del Rojava e che hanno conosciuto attraverso i racconti o attraverso la presenza fisica ciò che è stato il ruolo del centro culturale Amara».
Ma oltre alla condanna contro i terroristi del Daesh c’è anche quella contro la Turchia. «Siamo qua a sottolineare – continua Ciaccheri – come l’Isis non sarebbe stato in grado di fare nulla se in questi mesi non ci fosse stato il ruolo centrale del servizi segreti e dei militari turchi che hanno permesso il 25 giugno scorso l’attacco a Kobane».
In molti in questi anni hanno sottolineato la connivenza di Ankara con i jihadisti. Alcune settimane fa il quotidiano turco Cumhuriyet ha pubblicato delle foto che mostravano alcuni uomini dei servizi segreti che scortavano un carico di armi dirette in Siria, probabilmente destinate agli uomini dell’Isis. Tutto questo mentre la Turchia impedisce agli attivisti che portano aiuti umanitari di varcare il confine.
In piazza a Roma ci sono anche tante persone che sono state a Kobane e che hanno toccato con mano quelli che sono i problemi che la popolazione del Rojava deve affrontare. Una di queste è Patrizia Fiocchetti, partita a marzo con la staffetta delle donne organizzata da Rojava Calling. «Dobbiamo cercare di organizzare una grossa mobilitazione per far aprire i canali di collegamento dalla Turchia a Kobane perché ci sono moltissimi progetti di ricostruzione che non si riescono a realizzare proprio perché c’è questa chiusura da parte del governo turco – spiega -. Ankara in un certo senso è anche complice di quello che sta accadendo in Siria e nel Rojava e che adesso sta succedendo anche a Suruç».
Roma non è la sola città dove è stata organizzata una manifestazione. In questi giorni dei presidi si sono tenuti anche a Parma, Livorno, Modena, Torino, Palermo, Pisa, Cagliari e Milano.
Intanto tra meno di due mesi a Suruç è in programma un altro appuntamento importante. Il 15 settembre, giorno dell’anniversario dell’attacco a Kobane, sarà organizzata una grossa carovana di solidarietà internazionale per chiedere l’apertura di un corridoio umanitario con la Turchia e per permettere il passaggio in Rojava di un convoglio umanitario carico di aiuti. Un appuntamento che oggi, dopo l’attacco contro il centro Amara, diventa ancora più importante.
di Giulia Sabella
Frontierenews