6 massacri, 563 morti, zero dimissioni e sempre un silenzio stampa: chi è l’assassino?

L’imposizione di un silenzio stampa a seguito del massacro di Ankara del 10 ottobre ha richiamato l’attenzione sul metodo del governo di trattare con i massacri del passato. Sulla scia dei massacri precedenti, nessun responsabile dell’AKP ha rassegnato le dimissioni, per di più hanno sempre imposto un silenzio stampa

Il 28 dicembre 2011, 34 curdi sono stati uccisi nel massacro di Roboski a Uludere, Şırnak. In risposta, l’allora PM Recep Tayyip Erdoğan aveva espresso la sua gratitudine alle Forze Armate turche e all’Aeronautica turca. Nessuno di quelli politicamente responsabili della strage si è dimesso – anche se hanno fatto emanare un divieto di informazione sugli eventi.

54 persone sono morte in data 11 maggio 2013, a Reyhanlı, un quartiere turco al confine con la Siria che era stato minacciato dagli jihadisti. Anche in questo caso, nessuno si è dimesso, ma il governo ha fatto imporre un divieto di denuncia dei fatti.

Il 13 maggio 2014, 301 minatori sono morti nel massacro di Soma. Come prima, nessuno si è dimesso, ma al pubblico è stato negato il diritto all’informazione sul massacro.

Quattro sostenitori del Partito Democratico dei Popoli (HDP) sono stati uccisi il 5 giugno 2015, mentre altri 400 sono rimasti feriti in un attentato durante un raduno del partito a Diyarbakir. Nessuno si è dimesso, mentre venivano vietate le notizie sull’attacco.

Trentatré rivoluzionari sono stati massacrati a Suruç il 20 luglio 2015. Come i loro predecessori, nessun politico si è dimesso a causa delle uccisioni, ma hanno proibito la diffusione di notizie sull’incidente.

Almeno 128 persone sono state uccise il 10 ottobre 2015 nell’ultima strage della Turchia ad Ankara. Il governo ha immediatamente imposto un silenzio stampa sulla vicenda e, naturalmente, non si è dimesso.