5 giugno 2003, se ne andava Dino Frisullo. Internazionalista e antirazzista, nel cuore e nella testa
Eh si ci manca. Come ci mancano De Andrè e Rino Gaetano, Monsignor Di Liegro e Amalia Rosselli, Alda Merini e Pier Paolo Pasolini. Come ci mancano nomi rimasti confinati in angoli remoti nella Storia di questo cazzo di Paese. Un Paese tanto bravo a dimenticare, rimuovere,a cui al massimo va una viuzza o un ricordo televisivo, ma solo se fa audience o se porta ad aumentare il consenso politico al leader di turno.
Compagni come Dino Frisullo, forse verranno ricordati diversamente quando saremo in un Paese diverso, quando vivremo in un contesto in cui saremo capaci di vergognarci del nostro egoismo, del nostro razzismo diffuso, dell’ignoranza che ha accompagnato le nostre vite. Se ne andava oggi nel 2003, in tempo per compiere i 51 anni, anni vissuti con intensità totale, con la stessa voracità delle sigarette fumate, degli articoli scritti, dei viaggi fatti senza risparmiarsi. Persona incasellabile: giornalista lo è stato ed a un livello che la mediocrità odierna poco conosce, militante antirazzista che non accettava mediazioni al ribasso, compromessi di bottega, doveri di partito. Kurdo fra i kurdi, in carcere come nei colori del Newroz, palestinese fra i palestinesi, in un corteo a Gerusalemme come in una piazza romana, migrante fra gli immigrati, all’occupazione della Pantanella come in una Piazza Navona orgogliosamente antirazzista.
Una vita senza respiro e senza lasciare respiro a chi gli stava intorno, fatta di discussioni interminabili, di vino buono e di cibo delle regioni che più lo avevano accolto, Puglia ed Umbria. Un sorriso contagioso come la capacità di squadernare la vita di chi con lui ha provato a cambiare il mondo, una determinazione pasticciona ed eternamente precaria, senza il bisogno di pensare al futuro come qualcosa di personale. Perché per Dino il futuro e il presente non potevano essere ridotti alla vita individuale. Ci manchi Dino, manca la tua caparbietà e il tuo radicalismo, la genialità arruffona e il tuo vivere prima che dichiararti, da comunista. E manca ancora un Paese capace di non dimenticarti, in cui prevalga la curiosità e la domanda profonda: “Chi c’era dietro quella foto? Perché c’è ancora chi lo ricorda con nostalgia e rabbia?”
di Stefano Galieni