Livorno- Incontro con deputata del HDP- 4 luglio

toscana

Dopo la liberazione di Kobanê, avvenuta il 27 gennaio 2015, il conflitto civile esploso in Turchia ha riportato alla ribalta mediatica la questione curda in tutta la sua estensione e complessità.
Tre eventi cruciali devono essere menzionati: la vittoriosa resistenza di Kobanê contro l’assedio dell’ISIS, che ha attirato la solidarietà di tutto il mondo; lo storico successo alle elezioni di giugno dell’HDP, il partito progressista filo-curdo che, contro le aspettative di Erdoğan, ha superato lo sbarramento del 10%, ottenendo ben 80 deputati, tra cui molte donne ed esponenti di altre minoranze; infine, la conquista di Tel Abyad, ex-roccaforte dell’IS situata sulla “porosa” frontiera della connivente Turchia, che ha tagliato una delle principali arterie di uomini e rifornimenti al Califfato, e, soprattutto, ha permesso alle milizie curde del Rojava (Siria del Nord) di congiungere il cantone di Cizrê con quello di Kobanê, interrompendone l’isolamento. Tre eventi che hanno interrotto il progetto “neo-ottomano” di Erdoğan per il Medio Oriente, scatenando una catena di reazioni repressive, interventi militari e attentati che stanno costando la vita a migliaia di innocenti, in Turchia e nel Nord dell’Iraq.

Subito dopo l’unificazione dei due cantoni, l’esercito turco ha inviato truppe e mezzi pesanti al confine, senza però penetrare in Siria. E’ in questo preciso momento che nel Centro “Amara” di Suruç, cuore della solidarietà per il Rojava (Kurdistan siriano), un uomo-bomba si fa esplodere infiltrandosi con facilità in un raduno di giovani socialisti curdi e turchi che portavano aiuti umanitari a Kobanê, uccidendo 33 ragazzi.

Subito dopo l’attentato, avvolto da dinamiche oscure, Erdoğan ha colto al volo l’occasione per uscire dall’angolo e lanciare un’inaudita offensiva contro il “terrorismo”. Da una parte, conducendo qualche raid di facciata contro l’ISIS e, dall’altra, scatenando parallelamente un attacco senza precedenti al popolo curdo, bombardando i villaggi dell’Iraq del Nord e facendo arrestare migliaia di militanti di sinistra ed esponenti politici curdi, di cui 1464 afferenti all’HDP. L’obiettivo era il fallimento delle consultazioni per un governo di coalizione, arrivando così allo scorso novembre a nuove elezioni con il partito filo-curdo in ginocchio e la popolazione spaventata e divisa, nella speranza di sottrarre voti all’HDP accusandolo di connivenza con i “terroristi separatisti”.

Inizia così l’offensiva dell’esercito e della polizia nel Sud-est del paese, a maggioranza curda. Le principali città, come reazione politica, dichiarano dunque con grande coraggio e determinazione l’autogoverno democratico. Lo stato turco continuerà la sua guerra senza quartiere con una lunga serie di assedi, bombardamenti, coprifuoco 24h/24h, devastazioni di edifici e massacri di civili; un dramma durato fino ad oggi nella sostanziale indifferenza internazionale, e arginato solo dall’autodifesa dei cittadini curdi, determinati a difendere la propria terra.
Il 10 ottobre 2015, a ridosso delle imminenti elezioni, due kamikaze vicini all’Isis si sono fatti saltare in aria nella piazza centrale di Ankara, antistante la stazione, dove si stava tenendo un corteo per promuovere la pace con i curdi organizzato anche dall’HDP, in opposizione alle politiche del presidente Erdoğan. Il bilancio finale è di 103 morti e oltre 245 feriti: l’attentato più sanguinoso della storia del paese. L’attacco provocò un’ondata di indignazione nel paese: quel giorno numerose manifestazioni si svolsero a Istanbul, con oltre 10mila partecipanti, accusando il governo di Erdoğan di aver partecipato alla progettazione della strage e invitando il presidente alle dimissioni.

Nonostante questi avvenimenti e il clima pesantissimo, l’HDP riesce alle ultime elezioni a superare lo sbarramento del 10%, mantenendo in mezzo a mille difficoltà una cospicua rappresentanza in Parlamento.

La preoccupante situazione politica nella Turchia di Erdoğan e la persecuzione degli esponenti del Partito Democratico dei Popoli (HDP)
L’HDP, nato nel 2012, è un partito progressista costruito dall’opposizione politica curda e da altre minoranze etnico–religiose sottorappresentate, donne, gruppi di lavoratori e di ecologisti/ambientalisti che si sono riuniti intorno a valori della democrazia pluralista, della pace, della giustizia e dell’uguaglianza. Considerando la repressione dei diritti culturali e politici del popolo curdo un problema sistemico dello Stato-nazione monolitico in Turchia, l’HDP sostiene un approccio complessivo alla lotta per l’uguaglianza e la libertà di tutti i settori della popolazione della Turchia. Il profilo del gruppo parlamentare, che comprende rappresentanti curdi, turchi, armeni, siriaci, aleviti e yezidi, così come musulmani democratici, donne, attivisti del lavoro e dell’ecologia, riflette chiaramente questo impegno democratico.

Purtroppo, attualmente la Turchia si sta rapidamente allontanando dalla democrazia e dalla legalità a causa delle politiche sempre più autoritarie del Presidente Erdoğan e del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) – in particolare per quanto riguarda la questione curda, trascindando il Paese nella violenza politica, nella polarizzazione sociale e nell’instabilità socio-economica. L’HDP ha ripetuto più volte che l’unica via d’uscita da questa circostanze è riprendere il processo di pace con il movimento curdo e allargare la sfera delle politiche democratiche. Sfortunatamente la Turchia sta scivolando nella direzione opposta nonostante i negoziati in corso per l’accesso all’UE.

La già debole democrazia parlamentare della Turchia è sotto un nuovo attacco: il Presidente Erdoğan e il governo dell’AKP nel corso degli ultimi due anni hanno sottomesso il potere giudiziario all’esecutivo con diversi interventi governativi e legislativi. Adesso, il parlamento ha approvato una mozione che prevede la sospensione dell’Articolo 83 della Costituzione, il quale garantisce l’immunità parlamentare, per mezzo dell’aggiunta di una clausola provvisoria. In questo modo si estende la presa monopolistica del blocco Erdoğan-AKP sul corpo legislativo e si cerca di espellere così l’opposizione politica.

Questa mozione è un tentativo di golpe politico per distruggere completamente la separazione tra i poteri, subordinando quello legislativo a quello esecutivo e lasciando il primo alla mercé di quello giudiziario, estremamente politicizzato e fazioso. Si tratta di un passaggio assolutamente cruciale perché Erdoğan sostituisca la democrazia parlamentare della Turchia, già due volte dichiarata “finita de facto”, con un sistema presidenziale assolutista.

Quello che questa mozione cerca di distruggere è l’opposizione dell’HDP in Parlamento. Nonostante la soglia elettorale antidemocratica del 10%, arresti di massa e incarcerazioni di migliaia di dirigenti, iscritti e elettori del partito, centinaia di attacchi materiali alle sedi e la costante criminalizzazione e colpevolizzazione, il blocco Erdoğan-AKP non è riuscito ad impedire all’HDP di entrare in Parlamento nelle elezioni del 7 giugno e del 1 novembre 2015. Togliere l’immunità è l’ ultima mossa per escludere l’HDP dal Parlamento. Di fatto, nelle sue molte dichiarazioni pubbliche rispetto alla mozione, il Presidente Erdoğan ha isolato i/le deputati/e dell’HDP e li ha criminalizzati come “sostenitori del terrorismo” con accuse infondate.

Per quanto riguarda l’immunità parlamentare, l’HDP chiede che venga limitata costituzionalmente alle funzioni legate all’incarico di parlamentare. Limitare l’immunità parlamentare all’immunità legata all’ambito dello svolgimento della funzione di deputato garantirebbe un dibattito libero e democratico nel Parlamento e preverrebbe abusi dell’immunità parlamentare per la promozione di interessi illegali personali, famigliari o di piccoli gruppi.

La revoca dell’immunità parlamentare e l’incarcerazione di deputati/e curdi/e del Partito Democratico (DEP) nel 1994 con il pretesto di “combattere il terrorismo” è stato sia un sintomo che un catalizzatore di uno dei periodi più violenti del conflitto curdi in Turchia. Nella svolta totalitaria che il sistema politico turco ha preso di recente, dove chiunque sia critico rispetto al blocco Erdoğan-AKP viene etichettato come “terrorista” o “sostenitore del terrorismo”, la chiusura della rappresentanza parlamentare all’opposizione politica renderà i curdi e altri popoli marginalizzati della Turchia anche più vulnerabili a gravi forme di violenza di Stato e repressione. Per come stanno le cose, il controllo dell’esecutivo sul potere giudiziario ha incoraggiato il Presidente Erdoğan persino a chiedere di revocare la cittadinanza dei suoi avversari politici, dei deputati dell’HDP, dei sindaci curdi eletti, dei giornalisti, degli accademici per la pace e degli utenti dei social media.

L’HDP ha dichiarato che continuerà la sua lotta contro le politiche autoritarie che il blocco Erdoğan-AKP portano avanti per annichilire la vita democratica in Turchia. Viste le ingiustizie nei procedimenti giudiziari contro giornalisti, accademici, sindaci curdi eletti o i cittadini di accusati di aver “insultato il Presidente”, si teme che i tribunali, tenuti sotto il pesante controllo del Presidente Erdoğan, non daranno giustizia ai deputati HDP.

Pochi giorni fa le autorità giudiziarie turche hanno aperto un’inchiesta nei confronti del leader del partito filo-curdo HDP, Selahattin Demirtas, già definito dalla stampa internazionale l’ “Obama curdo” e strenuo sostenitore di iniziative utili ad avviare veri negoziati di pace tra lo stato turco e il popolo curdo in lotta. Demirtas è accusato di “disturbo dell’ordine pubblico” e “incitamento alla violenza”. Demirtas, secondo quanto riferisce l’agenzia turca Anadolu, rischia fino a 24 anni di carcere.

In questa congiuntura politica per la democrazia della Turchia e per una soluzione politica della questione curda, l’HDP invita tutte le persone e le istituzioni che credono nei valori democratici universali a compiere immediatamente azioni concrete, ad alzare la propria voce in solidarietà con questa lotta e contro il progettato golpe politico contro il Parlamento e l’HDP.

Il conflitto nel Sud-Est della Turchia (Kurdistan del nord) e l’emergenza umanitaria
Un processo di pace interrotto
La situazione in Turchia è peggiorata nell’estate 2015, dopo l’affermazione elettorale dell’HDP, che nel mese di giugno è riuscito a entrare in Parlamento, superando la soglia di sbarramento del 10%. Dopo l’attentato al centro Amara di Suruç per mano di kamikake affiliati all’ISIS in Turchia, in cui hanno perso la vita una trentina di giovani attivisti curdi e turchi impegnati in progetti per la ricostruzione di Kobane, Ankara ha improvvisamente tagliato unilateralmente i negoziati di pace con il Pkk, riaccendendo così il conflitto civile, dopo due anni di tregua che avevano garantito stabilità e passi avanti, nonostante l’isolamento carcerario perpetuo di Abdullah Ocalan.

Amnesty: “I coprifuoco devono finire”. “Le restrizioni draconiane imposte durante il coprifuoco a tempo indeterminato assomigliano sempre punizione collettiva, e devono finire”. Anche Amnesty International è intervenuta il 21 gennaio contro i coprifuoco nella regione curda. L’associazione umanitaria ha sottolineato le “difficoltà estreme che i civili devono affrontare a causa dei tagli ai acqua ed elettricità ed i pericoli che corrono per l’accesso al cibo e alle cure mediche accesso mentre sotto gli attacchi”. I residenti, infatti, denunciano di essere costantemente sotto il fuoco dei cecchini piazzati dal governo. Amnesty inoltre cita una fonte governativa secondo cui circa 90mila persone avrebbero lasciato i distretti di Cizre, Silopi, Sur, e Dargecit per via dei coprifuoco.

Il silenzio della comunità internazionale. Özsoy, vicepresidente dell’HDP con delega agli affari esteri, ha chiamato in causa la comunità internazionale in una lettera aperta in cui esprime preoccupazione per “il silenzio nell’opinione pubblica contro le violenze e i massacri nelle città curde”. Scrive Özsoy: “Negli ultimi due giorni i nostri funzionari di partito e membri del Parlamento hanno cercato di comunicare con i rappresentanti del governo, chiedendo indagini ufficiali e l’apertura di un corridoio sicuro per il trasferimento dei civili intrappolati. Eppure, tutti i nostri sforzi e le richieste rimangono senza risposta”.

Si calcola che ad oggi i civili curdi uccisi in sei mesi a Cizre, Silopi, Gever, Sur, Nusaybin e Idil siano oltre 700. Almeno 150 sarebbero stati bruciati vivi all’interno degli scantinati dove cercavano di ripararsi dai bombardamenti.

Il 10 e l’11 marzo scorso il Partito democratico delle regioni (DBP) aveva diffuso i risultati dell’indagine svolta a Cizre. La maggior parte delle vittime sono bambini, donne e anziani trattati da Ankara come “nemici combattenti”. Molti di loro hanno avuto soltanto una sepoltura anonima mentre altri corpi (e parti di corpi smembrati) si trovavano ancora tra le macerie. Sconvolgente lo spettacolo di alcuni cadaveri che apparivano amputati, torturati, tagliati a metà.

A scopo intimidatorio, anche molti animali domestici erano stati uccisi e buttati in mezzo alle strade mentre sui muri i mercenari turchi scrivevano frasi ingiuriose, razziste e sessiste, contro la popolazione curda e contro le donne in particolare. Almeno l’80% del distretto risultava fortemente danneggiato dai bombardamenti operati dall’esercito turco che aveva fatto ampio uso di carri armati contro le abitazioni.

A Cizre la maggior parte dei quartieri hanno subito 80 giorni di coprifuoco, almeno 500 edifici risultano completamente distrutti e oltre 2000 gravemente colpiti. Danneggiate seriamente anche la rete idrica e le fognature. Una vera e propria rappresaglia per intimidire e punire collettivamente la popolazione. Quanto alle abitazioni rimaste in piedi, molte sono state occupate dai militari.
Tra le richieste immediate del DBP c’era «l’autorizzazione per i comitati nazionali e internazionali di visitare il distretto» e l’avvio di «politiche democratiche allo scopo di evitare che simili catastrofi si ripetano in futuro». Inoltre la Commissione guidata dal foro degli avvocati dovrebbe «perseguire legalmente e punire gli avvenimenti succedutesi nel distretto».

Gli osservatori del DBP concludevano dicendo di «voler sottolineare ancora una volta il dolore immenso, la ferocia e la sofferenza che sono stati vissuti a Cizre durante il coprifuoco durato 80 giorni». E gli effetti umilianti e dolorosi della feroce repressione sono ancora «ben visibili sui volti degli abitanti». Tuttavia, nonostante tutto quello che è successo, questi appaiono resistenti e fiduciosi. Non solo. Molti intervistati si dicono «pronti a tutto, affinché altre persone non debbano affrontare quello che ci troviamo di fronte».

Verso la metà di marzo, mentre la Commissione del DBP rilevava le nefandezze compiute dall’esercito turco contro la popolazione curda di Cizre, alla periferia di Shengal (monte di Sincar, una cittadina a 120 km da Mosul) riprendevano i combattimenti.

Il ruolo dell’EU e la trattativa sui rifugiati
Negli ultimi giorni rappresentanti dell’UE si sono incontrati con l’ex Primo Ministro turco A. Davutoglu. Si sono impegnati in una scellerata trattativa con la Turchia sulla crisi dei rifugiati, in cui lo stato turco sta usando le vittime fuggite dagli attacchi turchi e di ISIS contro l’UE. Lasciandosi ricattare, l’UE ha ignorato i suoi principi fondamentali di democrazia, diritti umani, diritto alla vita e diritto alla libertà di stampa e di pensiero. Sfortunatamente l’UE ha scelto di rimanere in silenzio di fronte al sostegno dello Stato turco a ISIS in Siria e ora di fronte agli attacchi dello Stato stesso contro il popolo curdo.

Negli ultimi sei mesi lo Stato turco ha bombardato città curde e ucciso civili indifesi. Sta commettendo indisturbato crimini di guerra e contro l’umanità davanti agli occhi del mondo.
E’ necessario creare consapevolezza rispetto a queste atrocità e al silenzio che le circonda, in un periodo nel quale è stato generalmente riconosciuto che il popolo curdo sta difendendo l’umanità nella sua lotta contro ISIS nella regione.

Possiamo elencare i “record” dello stato turco raggiunti negli ultimi sei mesi:
– ricattare l’UE usando la crisi dei rifugiati per ottenere sostegno finanziario e politico, mentre nulla viene fatto per proteggere i rifugiati, ma permettendo loro invece di annegare nel Mediterraneo o uccidendoli al confine siriano, come avvenuto di recente per 8 profughi, tra cui bambini;
– consentire ai profughi di attraversare i propri confini per spingere l’UE in una crisi sui rifugiati;
– usare miliardi di Euro che le vengono forniti dall’UE per combattere una guerra contro i curdi e sostenere ISIS;
– dichiarare che non rispetterà la tregua in Siria continuando a bombardare quotidianamente i cantoni di Kobane e Efrin;
– massacrare civili curdi nel proprio paese: negli ultimi sei mesi sono stati massacrati oltre 700 civili, compresi neonati, bambini, anziani e donne incinte nelle città di Cizre, Silopi, Idil, Nusaybin, Sur e Gever;
-150 curdi bruciati vivi dai militari turchi; l’esercito turco ha bruciato intere città all’interno della Turchia.
– imprigionare centinaia di esponenti politici, sindaci, intellettuali e giornalisti che hanno preso posizione e si sono pronunciati contro queste atrocità.

L’obiettivo principale dell’UE dovrebbe essere invece proteggere i diritti umani fondamentali, la democrazia e la pace.

Chi è la deputata Tugba Hezer

Tugba Hezer è nata nel 1989 a Ercis Zila, nel distretto di Van, un villaggio curdo isolato dal governo centrale dove la scuola locale è stata occupata per anni da un campo militare. Grazie a una borsa di studio, è riuscita a diplomarsi e iscriversi all’Università di Ankara, laureandosi presso il Dipartimento di Gestione delle Istituzioni Sanitarie; contemporaneamente, ha frequentato il Dipartimento di Giustizia dell’Anadolu University. Ha lavorato a Van come responsabile delle risorse umane in un ospedale privato, per poi trasferirsi a Istanbul, dove opera in una società di ricerca internazionale come coordinatrice. Ha inoltre seguito un corso professionalizzate di 6 mesi in formazione pedagogica ad Ankara. Dopo aver completato la sua formazione è tornata a Van, dove ha insegnato fino alla sua elezione come deputato per il Partito Democratico dei Popoli (HDP).