Votare in Kurdistan, tra repressione e speranze
Soldati ovunque, initimidazioni,minacce di brogli: è in questo clima che si sono tenute le elezioni nel sud-est del Paese, regione a maggioranza curda, dove la popolazione fino all’ultimo momento ha sperato, invano, in un nuovo miracolo dell’Hdp.
Lice è uno degli avamposti dell’Hdp, il Partito democratico dei popoli, una città dove il risultato delle elezioni è quasi scontato.
La cittadina è infatti uno dei luoghi più importanti per il movimento curdo. È proprio qui che Abdullah Öcalan, il 27 novembre del 1978, fondò il Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan.
Sempre a Lice è stata eletta la sindaca più giovane di tutta la Turchia, Rezan Zuğurli, di neanche 25 anni. La ragazza è uscita di carcere pochi mesi fa e adesso in prigione si trova il co-sindaco, Harun Herkuş.
L’Hdp, guidato da Selahattin Demirtaş e da Figen Yuksekdağ, aveva ottenuto alle elezioni del 7 giugno il 13 percento dei voti, superando la soglia di sbarramento del 10 percento: per la prima volta nella storia della Turchia una formazione filocurda era così riuscita a entrare in parlamento.
A giugno, però, le varie forze politiche non erano state in grado di dare vita a un governo e Recep Tayyip Erdoğan, presidente della Repubblica e leader storico dell’Akp, aveva indetto delle nuove elezioni per il primo novembre. La speranza di Erdoğan era quella di riuscire a ottenere di nuovo la maggioranza assoluta, detenuta per 13 anni e persa a giugno.
Proprio per evitare brogli e manipolazioni, l’Hdp aveva chiesto l’invio di osservatori internazionali indipendenti. In Italia hanno risposto all’appello Rete Kurdistan e Uiki Onlus, che hanno organizzato delle delegazioni composte da giornalisti, avvocati e attivisti.
Chiedo di poter andare a Lice, città dove ero già stata l’anno prima, e vengo accontentata. Arriviamo in mattinata nella sede dell’Hdp, dove ci spiegano come si svolgeranno le elezioni. Le scuole dove votare sono 14, distribuite nella città e nei villaggi vicini. In questo distretto voteranno circa 26mila persone.
Davanti a ognuna delle scuole ci sono delle statue di Atatürk, il padre della Turchia, un personaggio che qui, nel cuore del Kurdistan, non è certo apprezzato. Questa simbologia si ripete anche all’interno degli edifici: in quasi ogni classe, sopra la lavagna, sono attaccate le sue foto, insieme alla trascrizione dell’inno e al testo del discorso ai giovani turchi.
Girando per i seggi si incontra di tutto: uomini con il vestito tradizionale curdo, anziani che a malapena si reggono in piedi e che vengono accompagnati al seggio, invalidi portati in spalla per le scale, comitive di ragazze dai veli colorati che parlano tra loro mentre aspettano di poter votare.
Potrebbe quasi sembrare un giorno di festa, ma non è così. Davanti alle scuole ci sono militari che portano il mitra sul fianco, mentre fuori dai cancelli sono parcheggiati dei blindati.
Mentre camminiamo per la città, nel nostro giro dei seggi, passiamo di fronte anche ad un parco, il Medeni Yildirin Parki, dedicato ad un ragazzo di 21 anni ucciso dalla polizia mentre protestava contro la costruzione di una caserma. Ed è proprio a causa di una caserma costruita dietro al parco che il giardino è deserto. Poco importa che sia una giornata quasi primaverile o che i giochi siano nuovi di zecca: genitori e bambini non hanno voglia di venire qui, a divertirsi davanti agli occhi della polizia turca.
La tensione è palpabile. Lice è una delle zone dove l’Hdp ha il maggior consenso. Alle elezioni del 7 giugno il partito filocurdo aveva preso oltre il 95 percento dei voti e anche questa volta il risultato di Lice potrebbe essere scontato, ma il timore è che non tutti riescano ad arrivare in tempo per votare.
Il governo di Ankara ha infatti deciso di spostare i seggi dai villaggi più piccoli a quelli più grandi, ma senza garantire alla popolazione un mezzo di trasporto che gli consenta di poter votare. I cittadini hanno cercato di organizzarsi, mettendo a disposizione macchine e pulmini che fanno la spola tra i villaggi sulle montagne e le scuole. Spesso ogni aula rappresenta un seggio. «Quante persone votano qui?» chiediamo entrando in una delle stanze. «Solo 13- risponde una ragazza – è un villaggio molto piccolo».
Nella prima mattinata tutto sembra in ordine e anche i membri dell’Hdp sono ottimisti. «Ci siamo organizzati, tutti riusciranno a votare» ci dicono. Alle undici però la situazione cambia: una mina esplode lungo la strada che da Bingol porta a Lice, strada dalla quale sarebbero dovute passare circa 3mila persone per raggiungere i seggi. La polizia ha bloccato la via, ufficialmente per motivi di sicurezza, e queste persone hanno solo due alternative: aspettare che venga tolto il blocco oppure passare per le montagne, allungando il viaggio di anche tre ore.
Continuiamo il giro dei seggi mentre alcuni membri dell’Hdp cercano dei mezzi per portarci dove è esplosa la mina. Appena li troviamo, verso l’una, ci dicono però che la polizia ha tolto blocco e che non è più necessario andare.
Approfittiamo dei mezzi a disposizione per andare a vedere com’è la situazione nelle scuole fuori città. Tra due ore chiuderanno i seggi e continuiamo a informarci sull’affluenza. In alcuni casi hanno già votato tutti, in altri invece ci sono dei ritardatari. «Hanno votato 270 persone su 316 – dicono in una scuola a Zürmüt, non lontano da Lice – ma abbiamo appena chiamato quelli che mancano, stanno arrivando con un bus».
In questa scuola, la Zürmüt Ferhat Mutlu, l’aria è più tesa del solito. Dentro il cortile c’è un blindato della gendarmeria e alcuni ragazzi vengono a parlare con noi. «Questa mattina, prima dell’apertura dei seggi, sono arrivati dei poliziotti – racconta uno di loro – prima hanno cercato di entrare nella scuola e poi hanno iniziato a insultarci, dicendoci che l’Hdp non avrebbe vinto e che saremmo stati schiacciati. Fino ad ora non è successo nulla, ma temiamo che possano in qualche modo manomettere i voti quando li porteremo al distretto».
Torniamo a Lice per seguire lo spoglio e vediamo che questo è un timore che hanno in tanti. Non a caso gli scrutatori, una volta finite di contare le schede, fanno una foto con il telefono ai fogli dove sta scritto quanti voti hanno preso i partiti.
Torno alla sede del partito per vedere come stanno seguendo l’uscita dei risultati. In una stanzetta trovo tre ragazzi davanti al computer che contano i voti, seguendo con un occhio la diretta televisiva. Intorno a loro ci sono persone entrano e escono, bevendo çai e fumando in continuazione. All’inizio c’è tanta euforia: come da programma, a Lice l’Hdp ha praticamente sbaragliato gli avversari, ma il problema è quanto sta accadendo nel resto del Paese. Nelle proiezioni che passano alla televisione il partito filocurdo non riesce a superare l’11 percento dei voti. Nella stanza non si perdono d’animo. «Ancora non hanno contato tutte le schede» ci rassicurano. Ma la tensione aumenta. A un certo punto arriva anche un messaggio dalla sede centrale dell’Hdp, con il quale invitano a non dare retta ai risultati dei telegiornali perché parziali. Ma quando lo spoglio arriva a oltre il 90 percento ci si rende conto che non c’è più molto da fare. L’Hdp, che il 7 giugno aveva raccolto il 13 percento dei voti e che sperava di arrivare al 15, si ferma poco sopra il 10 percento, riuscendo per un soffio a superare la soglia di sbarramento necessaria per entrare in Parlamento.
La delusione e la sorpresa hanno preso il sopravvento. Adesso nella stanza sono rimasti soprattutto i ragazzi; tutti gli altri sono fuori in cortile a fumare e a domandarsi come sia potuto accadere. Dalle altre città arrivano voci voci di brogli e intimidazioni contro i candidati curdi. Le strade sono deserte. Solo un gruppo di bambini in lontananza sventola le bandiere dell’Hdp cantando slogan per Öcalan.
di Giulia Sabella , FrontiereNews