Vinci: Afrin sotto le bombe turche ci chiede aiuto

Care compagne, cari compagni, alcuni tra voi mi conoscono, altri no, sono vecchio e sono fuori dalla politica istituzionale da oltre tredici anni. Per dieci anni sono stato parlamentare europeo, eletto da Rifondazione Comunista, quindi dentro al gruppo della Sinistra Europea. Questo gruppo si impegnò molto, e mi pare lo faccia tuttora, dal lato dei diritti di una popolazione, quella curda di Turchia, massacrata da oltre un secolo, brevi parentesi a parte, da uno dei più protervi, razzisti e genocidari stati contemporanei, quello turco, quali che ne siano stati sino a oggi i governi politici. I movimenti curdi attuali, la cui genesi fu in Turchia, avvenne a fine anni settanta, e si basò su posizioni richiamanti un marxismo-leninismo rigido e stereotipato (tipico allora d’altronde delle sinistre mediorientali in generale), sono poi evoluti nella seconda metà degli anni novanta verso posizioni costituite da un democratismo socialista-partecipativo. Al tempo stesso, questi movimenti hanno rinunciato alla costituzione in proprio stato, o propri stati, e posto a obiettivi il riconoscimento da parte di Turchia, Siria, Iran dei propri diritti linguistici e culturali e l’autonomia dei propri territori. A ciò i regimi di quei paesi hanno sempre reagito con repressioni e massacri; in Turchia, in termini orribili e generalizzati, giunti di recente agli assedi, ai bombardamenti e alle distruzioni di una ventina di città, alla distruzione del centro di Diyarbakır, attualmente, con la ricostruzione di queste località, all’insediamento in esse di profughi arabi e turcomanni dalla Siria.

Vi riporto il motivo di questa lettera, attraverso il messaggio giuntomi iersera da una compagna curda, il cui nome preferisco non porre, ella è tra le figure in Europa nel mirino dei killer del MİT, i servizi turchi, poiché esponente dei movimenti curdi di Turchia e Siria. “Ciao Silvana (è mia moglie), spero che stai bene. La situazione di Afrin è grave. Luigi (io) non può chiamare i politici che contano? Se si può fare qualcosa per favore? (I turchi) bombardano i civili in continuazione e stanno a due chilometri dalla città. Per favore fate qualcosa di serio”.

Io non sono in grado di fare qualcosa di serio se non chiedendo alle compagne e ai compagni che hanno responsabilità politiche e istituzionali di farlo il più possibile loro, cioè guardando e reagendo ogni giorno all’estrema gravità della situazione di Afrin. Operando a livello istituzionale, intanto; inoltre ad allargare la mobilitazione, che in Italia c’è ma è ristretta, mentre è diventata di grande portata in Germania e tende a esserlo in altri paesi, dalla Francia all’Olanda ecc.; infine, premendo sui mass-media italiani, che quando si trattava della lotta dei curdi di Kobanê ne parlavano tutti i giorni, essendoci l’appoggio statunitense a questa lotta, mentre adesso non se ne parla per nulla o con pochi accenni, essendo stati i curdi di Afrin abbandonati a se stessi sia dagli Stati Uniti che dalla Russia, poiché (insensatamente) i loro governi si contendono i favori della Turchia. Grande attivismo dei nostri mass-media dal lato degli imprigionamenti di giornalisti, magistrati, ecc. turchi (ciò che ovviamente è bene fare), silenzio stampa rispetto a quanto accade a una popolazione, l’unica laica, l’unica democratica, l’unica culturalmente occidentale, l’unica ad aver lottato in Medio Oriente contro l’islamismo armato radicale senza bombardare civili e violentare donne e bambini.

Aggiungo questo a proposito del carattere insensato sia occidentale che russo dei favori alla Turchia, addirittura portati alle consegne militari (fanno eccezione mi pare solo Francia, Germania, Belgio). Il comportamento dell’attuale regime turco prospetta un’analogia drammatica rispetto alla situazione europea degli anni trenta, cioè a quella seguita al riarmo della Germania hitleriana. I comportamenti occidentali appaiono dettati, oltre che dal timore di una Turchia troppo avvicinata alla Russia, dalla medesima logica anglo-francese precedente l’attacco nazista alla Polonia: “non si può morire per Danzica”. La Turchia attuale ha denunciato quel Trattato di Losanna (1923) che fissò i confini della Turchia, quindi rivendica apertamente il possesso delle ex province ottomane di Aleppo (effettuabile solo se si spianano i curdi di Afrin) e (in Iraq) di Mosul e di Kirkuk (nel nord dell’Iraq la Turchia ha già stanziato quattro o cinque presidi militari e se ne stropiccia del governo iracheno che ne chiede il ritiro). Essa inoltre dichiara che dopo aver massacrato i curdi di Afrin intende operare analogamente contro Manbij (città alleata ai curdi abitata da arabi, turcomanni, siriaci) e contro Kobanê e il pezzo di Siria orientale liberato dai curdi che le è contiguo; opera in termini minacciosi nelle acque greche dell’Egeo, dove rivendica libertà di movimento e il recupero di alcune isole; rivendica la Tracia greca, cioè una regione enorme, è il tratto settentrionale della Grecia che va dal confine con la parte europea della Turchia fin quasi a Salonicco; tiene occupata la parte settentrionale di Cipro, e recentemente ha impedito, con minacce militari, prospezioni (orientale al rilevamento di giacimenti di idrocarburi) da parte italo-francese nelle acque territoriali contigue alla Cipro greca, argomentando l’intenzione di impedire qualsivoglia presenza del genere da parte europea nel Mediterraneo orientale. Allarme rosso, dunque, altro che guardare dall’altra parte: più da parte europea si farà finta di non vedere, più verranno fatte concessioni, più dal lato turco la conclusione sarà di avere a che fare con governi imbelli e quindi di potersi via via allargare.

Luigi Vinci
Luigi.vinci@alice.it